Ansikte mot ansikte : Ingmar Bergman

L’immagine allo specchio

il peggior film di Bergman, troppo urlato, eppure spietatamente umano

Ansikte mot ansikte

Ingmar Bergman

La psichiatra Jenny Isaksson (Liv Ullmann) è rimasta da sola in città: il marito (Sven Lindberg) è via per lavoro, e sua figlia (Helene Friberg) è al campeggio estivo. Nella sua vecchia camera riaffioreranno terribili ricordi e tormenti mai sopiti.

Tra tutte le indagini sulla psicologia femminile fatte da Ingmar Bergman in carriera (si pensi al capolavoro Persona del 1966), L’immagine allo specchio è una delle più intense, struggenti e ricche di tematiche importanti. Il ricordo si mescola all’angoscia esistenziale di una donna infelice, mai amata davvero, che cerca incessantemente un affetto a cui potersi aggrappare. I nonni, la figlia, il ginecologo interpretato da Erland Josephson: tutte le figure di contorno finiscono per essere ennesimi fantasmi che non possono darle la certezza che vorrebbe. Jenny Isaksson fa terribili incubi a occhi aperti, e soffre di allucinazioni che la porteranno a tentare il suicidio. Bergman gioca a fare lo psicanalista, e l’intera pellicola è una seduta la cui paziente è proprio una psichiatra. Qualche macchinosità narrativa di troppo viene tenuta nascosta da una Liv Ullmann in stato di grazia: il suo soliloquio in cui “interpreta” (anche) la madre e la nonna del suo personaggio, cambiando di volta in volta espressione e timbro vocale, andrebbe studiata nelle più importanti accademie d’arte drammatica del mondo. Una performance memorabile (premiata con diversi importanti riconoscimenti) che alza da sola il livello complessivo della pellicola: anche il resto del cast, però, è in ottima forma. Nell’edizione televisiva il film dura 200 minuti ed è diviso in quattro parti.

http://www.longtake.it/movies/info/immagine-allo-specchio-l

 

Ancora una volta la parola “minore” da parte di alcuni critici è usata a sproposito. Quest’opera si riallaccia al Bergman più nero e deprimente, per intenderci quello “onirico” de L’Ora del Lupo o de Il Silenzio. Si alternano quindi le vicende reali della protagonista con i suoi incubi deliranti, e il regista ci fa precipitare con lei in una crisi personale e psichica nerissima, orrorifica,.
Il film è tra i più spietati della sua filmografia, accomunabile in tal senso nella crudeltà a Sussurri e grida. Insomma, come vedete diventa difficile se non impossibile non citare altro del regista perché Bergman ha la capacità unica di fare sempre gli stessi film rendendoli sempre unici, diversi a loro modo.
Se anche L’immagine allo Specchio nasce come film televisivo personalmente non ho risentito dei tagli, anzi la vicenda era già eccessivamente caricata cosi e non avrei sopportato tre ore come in Scene da un Matrimonio sinceramente…
Resta una vicenda potente, con immagini di crudezza sconcertante (dal tentato stupro ai deliri onirici di Jenny), e una prova magnifica di Liv Ullmann che si conferma attrice straordinaria qui nella sua prova forse migliore con Bergman.

Bergman è troppo forte, c’è poco da fare. Incredibile come tutte le volte riesca a coinvolgere e ad emozionare trattando sempre degli stessi temi, addirittura usando quasi le stesse forme.
Ci riesce per il semplice fatto che l’animo umano è un universo estremamente vario e complesso e quasi nessuno si azzarda ad esplorarlo in profondità. Noi stessi (persone normali di tutti i giorni) siamo i primi a trascurarlo, a ignorarlo o almeno a non volerci guardare a fondo. Occorrerebbe uno sguardo impegnativo, scomodo e a volte spiacevole. Trovarsi davanti a qualcosa come un film di Bergman, che scava impietoso, che riporta a galla sensazioni, ricordi, esperienze, suscita tutte le volte tensione, sconcerto, quasi disagio. In ogni caso non lascia indifferenti, sempre che si sia predisposti a questo tipo di “esplorazione” nei meandri dell’animo e del pensiero umani (in caso contrario non si può che provare noia o fastidio). In questo film poi Bergman riesce soprattutto a tradurre in splendide immagini oniriche – ma concrete e forti – quello che è normalmente impalpabile e spirituale.
Il tema è quello della nevrosi, la quale può portare a compremettere seriamente il rapporto con il reale e persino ad atti (auto)distruttivi. E’ lo stesso tema già mirabilmente trattato da Polanski in “Repulsion”. Qui però il punto di vista è più complesso in quanto è soggettivo, ragionato e analizzato (seguiamo l’animo della protagonista e sappiamo tutto direttamente da lei), mentre in “Repulsion” si assisteva dall’esterno allo svolgersi dei fatti e di Carol si arrivava a sapere ben poco.
La singolarità è che Jenny, la protagonista vittima della nevrosi, è guarda caso una psichiatra, cioè una che dovrebbe curare questo tipo di disturbo psichico. Questo implica che la “razionalità” aiuta a conoscere ma non a risolvere il groviglio della propria psiche.
Cos’è che determina il sorgere della nevrosi nella protagonista? Senz’altro la solitudine, un sottile disagio interiore e poi la sensazione di fallimento sia nella vita che nel lavoro (il suo primario ammette tranquillamente il fallimento della psichiatria nel curare le persone: “le puoi aiutare ma non curare”). C’è poi il suo atteggiamento iperrazionale contraddittorio che la porta a togliere qualsiasi spontaneità e naturalezza agli atti e ai sentimenti. E’ un piccolo/grande corto circuito aggravato dall’insonnia e da angosce che si materializzano nella visione (concreta e immaginaria allo stesso tempo) di una persona anziana severa e minacciosa.
A differenza di Carol che sfogava il suo disagio sugli altri, Jenny si sfoga su se stessa.
Tutta la parte del film che segue il tentato suicidio è quella più bella e affascinante. Già in “Il posto delle fragole” e “L’ora del lupo” Bergman aveva girato splendide scene oniriche. Qui si supera e ci regala delle scene oniriche angosciose e cariche di emotività (non si dimentichi che sono montate dopo che Jenny si è addormentata in seguito all’ingestione dei barbiturici).
La parte finale è carica di umanità, di esperienza, di riflessione. Tutto resta irrisolto ma almeno è più chiaro. Il fosso scuro e orribile che separava la rappresentazione di sé e il proprio essere effettivo è stato per lo meno esorcizzato e sono stati costruiti dei ponti sopra. La sofferenza, il ributtare fuori tutto il brutto e il terribile che uno ha vissuto è servito a essere più tranquilli e ad affrontare meglio e con nuovo spirito la vita.

L’immagine allo specchio credo porti con se diversi elementi negativi. Cerco sempre di valutare l’attività cinematografica di Bergman nella sua globalità trovandomi a valutare “Il settimo sigillo” come il film che ha innescato nella sua mente quel meccanismo stupendo e quasi unico che lo ha portato ad analizzare l’uomo nel modo che ben conosciamo. Qualcosa col tempo però si inceppa e “L’immagine allo specchio” a parer mio è uno di quei film in cui viene a mancare quella spontaneità della messa in immagini. Persona, L’ora del lupo, Il silenzio sono estremamente più complicati ma si avverte scena dopo scena che non c’è nulla di forzato, di eccessivo, cosa che invece trovo in “L’immagine allo specchio”. Sento che qualcosa in Bergman si va ad affievolire, che c’è qualcosa nelle immagini che vuole nascondere questa debolezza andando a ricercare rappresentazioni “estreme”, evidenziando una innaturale ricerca di complessità (come l’attuale Sokurov). Semplicemente si placa quell’influsso “divino” che ti comunicava l’inesprimibile,cambiandoti di conseguenza il modo di porti nei confronti del cinema. Che sia ben chiaro,si tratta sempre di un ottimo film ma che ha la sfortuna di essere stato realizzato dopo tanti capolavori.

Film bellissimo, ma dopo la visione sono rimasto con qualche rimpianto perchè forse sarebbe potuto essere migliore. Dal momento che ho visto la versione cinematografica “ridotta”, mi piace pensare che le parti che in questa versione appaiono a mio avviso troppo superficiali o leggermente scollegate siano analizzate più in profondità in quella completa.
Ci sono scene davvero indimenticabili, come alcune (non tutte) delle sequenze oniriche (l’incubo del proprio funerale è bellissimo, anche se quello de “il posto delle fragole” è insuperabile). La forza del film è la protagonista Jenny, che da psichiatra passa dall’altro lato della barricata. La sua depressione è presentata in modo talmente profondo che talvolta sinceramente assume dei tratti che sconfinano (disturbo della personalità? può essere. Borderline? non credo anche se in certe circostanze m’è parso addirittura possibile). La Ullmann, in stato di grazia, probabilmente nella sua interpretazione migliore (perlomeno è quella che preferisco)! Assurda la scena in cui passa dal riso isterico al pianto disperato. Tra i ruoli di contorno, avrei preferito che il personaggio del marito fosse più coinvolto nella vicenda (anche se è una scelta quella di farlo apparire una sola volta, in modo fugace, per evidenziare la sua completa trasparenza). Grande come al solito Gunnar Bjornstrand, nel ruolo del nonnetto rimbambito.
Come il marito, anche la figlia non capisce la madre, e quindi è un personaggio negativo.
Il finale, per come è presentato, non m’è piaciuto molto per questo motivo

http://www.filmscoop.it/film_al_cinema/limmagineallospecchio.asp


 

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