The Devil’s Eye Bergman Ingmar : ocio all’occhio!

 

Bergman Ingmar

L’occhio del diavolo

Ad ogni donna corrisponde un seduttore. La sua felicità sta nell’incontrarlo. Soren Kierkegaard, In vino veritas 

La verginità di una donna è un orzaiolo nell’occhio del diavolo.
Detto irlandese 

 

Un attore narra le vicende d’una beffarda commedia in tre atti. Il diavolo (Stig Järrel), infastidito per un doloroso orzaiolo, scopre che la fonte della sua pena è dovuta a Britt-Marie (Bibi Andersson), giovane vergine scandinava in procinto di sposarsi. Per porre rimedio alla questione, incarica Don Giovanni (Jarl Kulle), prigioniero dell’inferno e dei suoi sogni, di sostare un giorno ed una notte sulla terra per far cadere la virtù della giovane. Accompagnato dal fedele servitore Pablo (Sture Lagerwall), trova il modo, grazie alle “diavolerie” d’un messaggero del demonio, di soggiornare nella casa del pastore padre della ragazza. Accolti nella casa, Don Giovanni e Pablo cominciano la loro opera. Pablo, però, contro il volere del demonio, cerca di sedurre l’ormai arida e disillusa moglie del pastore; non riuscendovi, ma muovendola a compassione. Don Giovanni, forte della sua secolare esperienza d’amante, attira su di sé Britt-Marie, che ne scorge però il profondo dolore e l’inquietudine. All’opposto del disegno teorizzato dal diavolo, è Don Giovanni a cadere nelle reti d’un amore non corrisposto che lacera ulteriormente un’anima oramai dannata e preda dei suoi incubi. Ma il diavolo, al ritorno di Don Giovanni, dopo una prima sensazione di sconfitta, ritrova il suo ghigno accorgendosi che, il lavoro di Don Giovanni, per quanto fallimentare per i suoi scopi, ha cambiato inequivocabilmente le vicende terrene: la ragazza cede alla bugia nei confronti del ragazzo che ama, e sveglia in lei la brama che da quel momento in poi la muoverà alla vita. Don Giovanni, invece, è destinato a vivere i suoi incubi – ora d’amore e non più di conquista – per l’eternità.

Brillante metafora bergmaniana sugli umani sentimenti di contraddizione, L’occhio del diavolo ripropone in forma leggera e di commedia i quesiti cari al cineasta in merito al sottile confine tra il bene ed il male, tra miscredenza e fede. Don Giovanni, afflitto negli inferi dai sogni di passione irrealizzata e dal tempo delle luci – comunque senza amore – in vita, spera di trovare – in terra e per poche ore – il riscatto per la sua natura di conquistatore, e una pace conseguente. Mai avrebbe immaginato che l’innocente – in apparenza – Britt-Marie, avrebbe scombussolato fino ad annientare, le sue secolari certezze sulla propria natura – cinica, insensibile e senza amore – e quella degli esseri umani, deboli di fronte al sorgere del sentimento. La pellicola offre spunti e suggestioni consuete all’analisi di Bergman: la fede si misura sulla coscienza di sé, e non sul dogma cieco; l’amore dà vita e annienta, quasi simultaneamente; compassione e aridità si rincorrono e si scavalcano, e sono il marchio delle umane insicurezze. L’uomo, in fondo, è la sintesi del molteplice, angeli e demoni si mischiano così naturalmente nei lavori bergmaniani, tanto da restituire agli spettatori sensazioni d’uniformità e di continuità: nel linguaggio, nella scena e nei pensieri che muovono le azioni. Ma non è relativismo quello del maestro scandinavo, è riflessione poggiata su un occhio clinico e indagatore dell’animo umano che si svela  a noi attraverso le immaginii. La morale (sarebbe meglio dire l’anti-morale) bergmaniana risiede sull’assunto che siamo tutti comunque peccatori, e che di questo non vi è colpa, né immanente né trascendente, che ricada sull’uomo. È un dato di fatto, è una fotografia della realtà. Jarl Kulle (con Bergman successivamente anche in A proposito di tutte queste…signore) è perfetto nei panni dell’etereo Don Giovanni, Bibi Andersson (ho avuto sempre una grande passione per lei) risplende nel suo angelico – e furbo – volto (quasi) innocente, Gunnar Bjornstrand è assai suggestivo quale distinto narratore, e Stig Jarrel è azzeccato nei panni di un surreale Satana, come lo sono i personaggi di contorno. Le parole con cui Satana lascia Don Giovanni alla sua condanna senza fine sono emblematiche:  “Niente è abbastanza crudele per colui che ama”.

Tratto dalla commedia radiofonica Don Juan vender tillbage (“Ritorna Don Giovanni”) di Oluf Bang, L’occhio del diavolo è uno dei film mediamente noti del regista svedese, ma è decisamente uno dei più riusciti. Anche e soprattutto per l’ottimo ritmo narrativo con cui ci regala – fatto abbastanza raro – una commedia che, per quanto e come altre pellicole sia degna figlia del suo universo inquieto e visionario, non è il genere principe entro cui si esprime questo grande cineasta. Un film intelligente, dunque, per bergmaniani e non.

Curiosità: 1961: nei cinema italiani L’occhio del diavolo fu vietato ai minori di sedici anni.

Regia: Ingmar Bergman. Soggetto e sceneggiatura: Ingmar Bergman, dalla commedia radiofonica Don Juan vender tillbage di Oluf Bang. Direttore della fotografia: Gunnar Fischer. Interpreti principali: Jarl Kulle, Bibi Andersson, Stig Järrel, Gunnar Björnstrand, Nils Poppe, Gertrud Fridh, Sture Lagerwall. Musica originale: Erik Nordgren. Scenografia: P.A. Lundgren. Montaggio: Oscar Rosander. Produzione: Svensk Filmindustri. Titolo originale: Djävulens öga. Origine: Svezia, 1960. Durata: 87 minuti.

http://www.lankelot.eu/cinema/bergman-ingmar-l-occhio-del-diavolo.html

The Devil’s Eye

Stig Järrel plays Satan, who sets Don Juan the task of seducing a virgin and to wipe out all purity on the earth.

Ingmar Bergman on the genesis of the film in Images: My Life in Film

‘The studio had bought the rigths to a dusty Danish comedy called The Return of Don Juan. Dymling and I entered into a shameful agreement. I wanted to direct The Virgin Spring, which he detested. He wanted me to direct The Devil’s Eye which I detested. We were both very satisfied with our agreement through which both could be made, and each one of us felt that we had fooled the other. In reality I had only fooled myself.’

Epilogue

The general view of the contemporary critics might perhaps be encapsulated by a quotation about Ingmar Bergman in Jurgen Schildt’s review in Aftonbladet: ‘(Even) given his occasional lapses into crushing banality he is nonetheless incomparable here in Sweden.’ This would imply that the reviews were, on the whole, very reverential, evinced by the following extract from Robin Hood’s piece in Stockholms-Tidningen:

‘Bergman in this film has such a deft touch. Nothing is forced. And this so obviously carefree game revolves around a serious nucleus. A connoisseur of the female sex, Bergman presents us with two of the most beautiful, true-to-life portraits of women ever created in the cinema. He has the audacity – incredible for our times – to allow goodness and purity to come out on top.’

Staffan Tjerneld’s review in Expressen is also typical of the way the film was received: ‘Ingmar Bergman’s comedy is not of the kind that induces laughter. Yet it is enjoyable. One feels like an elderly gentleman with a glass of sherry in one hand and a classic, leather-bound tome in the other.’ Carl Björkman, writing in Dagens Nyheter, called the film, rather fancifully, ‘a summer-house built in the grounds of a Swedish rectory’.


 

L’uovo del serpente – The Serpent’s Egg : la più “sgradevole” metafora di Bergman

http://www.controappuntoblog.org/2013/06/06/luovo-del-serpente-the-serpents-egg-la-piu-sgradevole-metafora-di-bergman/

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