Lévinas. Attraverso il volto – diversi post su Ingmar Bergman

Lévinas. Attraverso il volto

Scritto il da < Antonella Iovine

Nel semplice incontro di un uomo con l’altro si gioca l’essenziale, l’assoluto:
nella manifestazione, nell’«epifania» del volto dell’altro scopro che il mondo
è mio nella misura in cui lo posso condividere con l’altro. E l’assoluto si gioca
nella prossimità, alla portata del mio sguardo, alla portata di un gesto di
complicità o di aggressività, di accoglienza o di rifiuto.

Emmanuel Lévinas (1906-1995)

Nessun interesse, nessun beneficio e profitto, nessuna buona volontà può giustificare come mai si continui a parlare dell’umano in termini che non possono raggiungerlo.
La conoscenza come una scoperta, il linguaggio come scambio di informazioni, la libertà come semplice scelta, la giustizia come uno stabilire. Tutto ruota tranquillamente intorno all’asse, al fondamento dell’io, e all’allusione sovrana di stare al centro: cardine che non vede differenza, che equipara tutto con tutto, escluso sé stessi nel proprio stare al centro; e che fa di tutto il resto, del mondo e degli altri, qualcosa che deve rimanere – nella sua inevitabile estraneità, nella sua strumentalità – a propria disposizione. L’uomo è chinato su sé stesso, il suo io è ripiegato e il suo sguardo è rivolto verso il basso, sulle cose che lo attraggono, rendendolo schiavo; è impossibilitato ad avere una dimensione orizzontale (l’Altro) e verticale (l’Alto). Un’apertura, una parola d’amore, poetica, profetica, una responsabilità per altri, una restituzione, una disposizione ad accogliere, che non sarebbe immaginabile, pensabile e neppure dicibile.
Eppure, nelle sue gioie e nelle sue sofferenze, nelle sue attese e nelle sue disillusioni, nella sua sofferta quotidianità, il mondo umano è tenuto insieme più da questi fili inafferrabili.
Il confine è sottile, l’argine scivoloso, la destinazione lontana. L’apertura può trasformarsi in epifania, la scoperta in stupore, la poesia in comunicazione, la profezia in propagazione, la responsabilità in opzione, la giustizia in un patto. Niente di tutto questo è però disumano: modo umano, piuttosto, praticare la verità dell’umano, ma senza ricondurla sempre al fondo alla sua stessa umanità. Mondo – nello stesso tempo – troppo desto e troppo intorbidito. Da sempre riassopito, da sempre risvegliato.
Strana allora l’ostinazione: raccontare l’umano in modi che sembrano parlare d’altro. Non possono dire perché la vita si scuote solo dentro intuizioni imprevedibili, perché si scalda con parole diverse dallo scambio d’informazioni, perché si ripensa per intero nei gesti di responsabilità; dove la libertà si sa infinitamente più libera della misura tra scelte spesso presunte. Essa si impegna al pensiero di una giustizia che resta ancora da farsi, rispetto ai conti non di rado falsificati del dare e dell’avere: e dove l’avere pesa sempre più del dare.
Non possono testimoniare, soprattutto, perché non ci si ritrova più, non si è ancora a posto con sé stessi. Finché qualcosa non scioglie il nodo di un io bloccato su sé stesso, finché non si graffia la superficie troppo levigata di un mondo sotto i riflettori, a portata di mano, finché non si rovescia un ordine fittizio (un mondo mediatico, fatto di apparenze, di superficialità, illusorio di una realtà distorta) fin troppo facile da trovarsi, non sarà possibile.
L’esistere dell’umano non giunge a sé stesso, non nasce alla vita, non diventa esistenza, un’epifania, poesia, coinvolgimento, accoglienza, opera di giustizia — senza innamoramento. Solo così appare un altro sapere: non sarà più un vedere, uno scoprire, un prendere con gli occhi della mente e delle mani, ma ritrovarsi scoperti, visti, presi, ammaliati, affascinati restando però vero sapere. Solo così si ode finalmente una parola come fosse pronunciata la prima volta; e allora smette per un momento di essere solo informazione, soltanto comunicazione: attesa trepida piuttosto che un rispondere, e prima ancora risposta originaria a una parola che non proviene da sé, né a sé ritorna — sarà ascolto, preoccupazione, dialogo; sarà dissenso. Solo così la libertà raggiunge la sua libertà: non si limita più nel diritto ossessivo di scelta, che scambia l’essere con un ritrovarsi, fruitore indeciso, ma libertà grazie al coraggio di una responsabilità per altri, non rinnega nulla del proprio orgoglio e delle proprie lotte e conflitti. Solo così la giustizia rende giustizia e diventa impegno – non un liberarsi da (regole, misura, modelli), ma un liberarsi per (vivere nella responsabilità, alterità, perché l’altro mi riguarda).
Ciò che chiarisce il mondo dell’umano è inspiegabile: si definisce in qualche modo tutto, senza essere una spiegazione. Difficile tuttavia coglierlo nel suo sapere paradossale, che contrasta la velata certezza con una diffusa insicurezza. Più facile dare per scontato, far finta di niente, essere cinici, nascondere, denigrare, offendere, sfruttare, approfittare. L’umanità dell’umano: prossimità che si approssima, vulnerabilità, volto imprevisto dell’altro. Non scoperto, non visto, non oggetto, non termine, non soggetto (come me), ma altro per quanto sublime.
Fragilità, vulnerabilità, umiltà, supplica, miseria, povertà, bisogno — fanno giuste ogni dignità e ogni altezza e consentono di dire umanamente di qualsiasi dignità, di qualsiasi altezza. Capovolgono, contestano e manifestano l’ingiustizia senza fondo di una configurazione disumana dell’umano: dove la miseria resta solo miseria, e la dignità solo dignità; la povertà sempre più povera e la regalità sempre più regale; con qualche ammiccante eccezione alla regola.
Epifania — dell’umanità: perché fragile, debole, ferita, incapace di fare scelte. Perché l’umanità non sorge senza un rovesciamento che si contrappone di continuo come nella rincorsa instancabile tra il sole e la luna, senza una rivelazione che si svela sempre di nuovo: fragilità e integrità, debolezza e forza, ferita e felicità. Profondità dell’umano: penetrante e oscuro, visto da altri, mondo mai più uguale a sé stesso, mai più controllabile, prevedibile; fuori disposizione, perché nasce la differenza. Si nasce alla differenza, dove l’altro irrompe nella noia dell’indifferenza, per essere fino in fondo quel che si è. L’altro volto non è un ritratto da appendere in qualche salotto a far da cornice alla propria bontà, intenti magari a mostrare agli altri come essere buoni: trovando così il modo di espiare in anticipo la colpa di far ruotare ancora il mondo su sé stessi; o un’immagine in più di un album fin troppo pieno, per gratificare la propria memoria. Nel suo volgersi, l’altro spezza la visione dell’utilitarismo, abbatte la maschera che ha indossato perché ha dovuto apparire o piacere, taglia lo sguardo, decentra, mostra chi è veramente. Non più collezioni, bisogni, mancanze, egoismi, distorsioni; non solo volontà, protagonismi, ma rischi infiniti, conferme, trascendenze, perdere il proprio io.
Il volto rivela, nel suo essere carne, nel suo farsi parola; perché la parola è nella carne, la carne già parola. Possibilità unica di imparare davvero qualcosa, di ricevere un’educazione, un insegnamento, di conoscere bontà, apprendere giustizia. Fin dall’origine il volto è comandamento, colui il quale non puoi uccidere.
Il volto umano costituisce un’apertura nella membrana dell’essere. L’esperienza assoluta non è svelamento, ma rivelazione: manifestazione privilegiata d’Altri, manifestazione di un volto al di là della forma. Il volto è una presenza viva, è espressione, ogni istante disfa la forma che offre, forma adeguata per presentarsi come Altro, per significare e avere un senso; è significazione senza contesto.
Il volto è senso da solo: tu sei tu (nessun altro può sostituirti). Perciò il volto non è “visto”: è ciò che non può diventare un contenuto afferrabile dal pensiero. Il volto significa l’Infinito. L’Infinito si presenta come volto nella resistenza etica che paralizza il mio potere e si erge solida e assoluta dal fondo degli occhi senza difesa nella sua schiettezza e nella sua indigenza. La comprensione di questa miseria instaura proprio la prossimità dell’Altro. Il pensiero risvegliato dal volto è comandato da una differenza irriducibile; pensiero che non è pensiero di, ma immediatamente un pensiero per, una non in-differenza per l’altro che rompe l’equilibrio impassibile del conoscere. L’accesso al volto è immediatamente etico.
Denudazione al di là della pelle, fino alla ferita da morirne. Il volto dell’Altro è spoglio: è il povero per il quale io posso tutto.
È volto, la sua rivelazione è parola. Il linguaggio nasce dalla vertigine che ci afferra quando siamo di fronte alla rettitudine del volto. La presenza del volto, l’infinito dell’Altro, è presenza del terzo (cioè di tutta l’umanità che ci guarda) e comando che comanda di comandare. Per questo la relazione con altri, o discorso, è solo la messa in questione della mia libertà, l’appello che viene dall’Altro per richiamarmi alla mia responsabilità, non solo la parola che mi impedisce, ma anche la predica, l’esortazione, la parola profetica.
Nell’approssimarsi del volto la carne si fa verbo, la carezza Dire. Un invito al bel rischio dell’approssimarsi; il volto del prossimo mi significa una responsabilità irrecusabile, precedente ogni libero assenso, ogni patto, ogni contratto. Il volto del prossimo mi ossessiona: “Egli mi guarda”, tutto in lui mi riguarda, niente mi è indifferente.
La relazione con il volto si produce come bontà. Il bene non si offre alla libertà — mi ha scelto prima che io lo abbia scelto. E se nessuno è buono volontariamente, nessuno è schiavo del bene.
Questa bontà folle è ciò che vi è di più umano nell’uomo.

Tag: alterità, corpo, etica, giustizia, lévinas, libertà, umanità

http://www.sitosophia.org/2013/04/levinas-attraverso-il-volto/

Emmanuel Lévinas

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Emmanuel Lévinas

Emmanuel Lévinas (Kaunas, 12 gennaio 1906Parigi, 25 dicembre 1995) è stato un filosofo francese di origini lituane.

Formazione

Fin da giovanissimo, come ci dice in Difficile liberté, ricevette un’educazione ebraica tradizionale, seguendo i principi della Torah; la sua formazione si basò molto anche su Puskin e Tolstoj.

Levinas aveva incontrato presto la scrittura di Fëdor Dostoevskij: seguiterà a riferirvisi, per poi però giungere a integrare la traccia di pensatori moderni quali Henri Bergson, Marcel Proust e Paul Valéry, come pure di altri, anteriori, ed ebrei, tra cui Ibn Gabirol e Yehuda Ha-Levi. Avrà inoltre a confrontarsi con la figura di Edmund Husserl, traducendone lui in francese le Meditazioni Cartesiane.

Ha vissuto la rivoluzione russa in Ucraina nel 1917. Dal 1923 frequenta l’Università di Strasburgo, dove, ci dice, insegnavano allora Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron, e più tardi, Guérolt. Ci ricorda l’amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano stati adolescenti al momento dell’Affaire Dreyfus, visione, per un nuovo venuto come lui si considerava, abbagliante di un popolo, quello francese, che eguaglia l’umanità e di una nazione alla quale ci si può dedicare con lo spirito e con il cuore tanto fortemente quanto per le radici.

Soggiornò nel 1928-29 a Friburgo in Brisgovia, dove apprese la fenomenologia attraverso la frequentazione dei corsi, iniziata l’anno prima, di Jean Hering. Prese la cittadinanza francese nel 1930.

Frequentò poi corsi alla Sorbona, di Léon Brunschwig. Ci racconta che ebbe occasione di frequentare nelle serate del sabato l’avanguardia filosofica presso Gabriel Marcel. Ci parla della raffinatezza intellettuale e anti-intellettualista di Jean Wahl e della sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga cattività in Germania.

Il periodo bellico

Durante l’invasione tedesca della Francia nel 1940, Levinas, prigioniero di guerra, fu trasferito in un campo sul suolo tedesco vicino ad Hannover e vi rimase fino alla fine della guerra. Vi fu segregato in speciali baracche per prigionieri ebrei, ai quali era proibita qualunque forma di culto; fu inoltre impiegato dai tedeschi come interprete per la sua conoscenza della lingua russa.

Altri prigionieri riferiscono di averlo visto prendere appunti su di un quaderno, che più tardi avrebbe formato le sue dissertazioni di apertura “De l’Existence à l’Existant”, un punto di riferimento della rivalutazione e critica della filosofia di Heidegger, e “Le Temps et l’Autre” (entrambi del 1948).

Nello stesso tempo sua moglie fu protetta dalla deportazione grazie agli sforzi del filosofo Maurice Blanchot che rischiò anche il proprio benessere vedendo che Levinas era capace di tenersi in contatto con la sua famiglia diretta grazie alle lettere e ad altri messaggi. Gli altri membri della famiglia non furono così fortunati: sua suocera fu deportata e non fu mai più vista, mentre suo padre e i suoi fratelli furono assassinati in Lituania dalle SS.

Insegnamento e filosofia

Dopo la guerra, Levinas divenne un pensatore di punta in Francia, emergendo dal circolo degli intellettuali che circondavano Jean Wahl. La sua opera si basa sull’etica dell’Altro o, come direbbe Levinas, egli ricerca “l’etica come prima filosofia”. Per Levinas, l’Altro non è conoscibile e non può esser ridotto ad un oggetto per sé, come è detto dalla metafisica tradizionale (chiamata ontologia da Levinas). Levinas preferisce pensare la filosofia come la ‘conoscenza dell’amore’ piuttosto che l’amore della conoscenza. Nel suo sistema, l’etica diventa un’entità indipendente dalla soggettività al punto che la responsabilità è intrinseca al soggetto; per questo un’etica di responsabilità precede qualunque ‘oggettiva ricerca della verità’. Levinas fa derivare la preminenza della sua etica dall’esperienza dell’incontro con l’Altro. Per Levinas l’incontro faccia a faccia con un altro essere umano è un fenomeno privilegiato nel quale la prossimità dell’altra persona e la distanza sono entrambi fortemente sentiti. Alla rivelazione del volto il primo desiderio naturale di una persona è di uccidere l’Altro. Allo stesso tempo, la rivelazione del volto costringe l’immediato riconoscimento dell’incapacità di una persona di farlo. Ogni uomo deve istantaneamente riconoscere l’inviolabilità e l’autonomia dell’Altro, riconosciuto come “insegnante”.

Dal 1947 tenne conferenze regolari al Collége Philosophique, che Wahl aveva fondato e che animava. Diresse la centenaria scuola Normale Israelita Orientale, che formava insegnanti di francese per le scuole dell’Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Dagli anni cinquanta Lévinas intraprese uno studio prolungato sulla Bibbia e sul Talmud (con Monsieur Chouchani), attraverso il quale evidenzierà le peculiarità dell’Ebraismo, come la separazione tra uomo e Dio, il libero arbitrio, la capacità di cogliere il comando divino.

Lévinas insegnò presso scuole private ebraiche a Parigi come l’École Normale Israélite Orientale. Negli anni 60 e 70 insegnò all’Università di Poitiers, all’Università Paris X presso Nanterre, e alla Sorbona. Negli anni 1970 e 1980, grazie all’invito della comunità ebraica di Friburgo in Svizzera, Lévinas tenne anche alcuni corsi presso l’Università di Friburgo sul pensiero di Husserl e l’esegesi della Torah.

Tra le tante opere di Levinas i testi-chiave includono “Totalité et infini: essai sur l’extériorité” (1961) (“Totalità e infinito: saggio sull’esteriorità“, Jaca Book, Milano, 1980) e “Autrement qu’être ou au-delà de l’essence” (1974) (“Altrimenti che essere o aldilà dell’essenza“, Jaca Book, Milano, 1983). Entrambi i lavori sono stati tradotti in inglese dal filosofo americano Alphonso Lingis. Nel 1989 ricevette il Premio Balzan per la Filosofia.

Nel tardo pensiero di Levinas seguendo “Totalité et infini”, lui ritenne che la nostra responsabilità per l’altro fosse già radicata all’interno della nostra costituzione soggettiva. Questo può esser visto più chiaramente nel più tardo resoconto di ricorrenza (capitolo 4 da “Autrement q’être ou au-delà de l’essence”). Fin qui Levinas affermava che la soggettività era formata da e grazie al nostro nesso soggettivo verso l’altro. Tanto che il suo punto di vista era che la soggettività fosse primordialmente etica e non teoretica. Cioè che la nostra responsabilità per l’altro non era una proprietà derivata della nostra soggettività; al contrario, l’obbligo fonda il nostro io soggettivo dandogli una direzione significativa e un orientamento.

Produzione bibliografica

  • La traccia dell’altro, Pironti, Napoli, 1979.
  • Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano, 1980/2006.
  • Quattro letture talmudiche, Il Melangolo, Genova, 1982.
  • Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Jaca Book, Milano, 1983/2006.
  • Dell’evasione, Elitropia, Reggio Emilia, 1983.
  • Nomi propri, Marietti, Genova, 1984.
  • Etica e infinito. Il volto dell’altro come alterità etica e traccia dell’infinito, Città Nuova, Roma, 1984.
  • Umanesimo dell’altro uomo, Il Melangolo, Genova, 1985.
  • Dal sacro al santo. La tradizione talmudica nella rilettura dell’ebraismo post-cristiano, Città Nuova, Roma, 1985.
  • L’al di là del versetto, Guida, Napoli, 1986.
  • Di Dio che viene all’idea, Jaca Book, Milano, 1986/2007 (con una conversazione inedita con Emmanuel Lévinas).
  • Dall’esistenza all’esistente, Marietti, Genova, 1986.
  • Difficile libertà, La scuola, Brescia, 1986.
  • Il tempo e l’altro, Il Melangolo, Genova, 1987.
  • Etica come filosofia prima, E. Levinas – A. Paperzak, Guerini e Associati, Milano,1989.
  • Trascendenza e intelligibilità, Marietti, Genova, 1990.
  • Fuori dal soggetto, Marietti, Genova, 1992.
  • Su Blanchot, Palomar, Bari, 1994.
  • Dio, la morte e il tempo, Jaca Book, Milano, 1996.
  • Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo, introduzione di G. Agamben, Quodlibet, Macerata 1997.
  • Tra noi, Jaca Book, Milano, 1998.
  • Nell’ora delle nazioni. Letture talmudiche e scritti filosofico-politici, Jaca Book, Milano, 2000.
  • La teoria dell’intuizione nella fenomenologia di Husserl, Jaca Book, Milano, 2002.
  • Difficile libertà. Saggi sul giudaismo, Jaca Book, Milano, 2004.
  • Etica e infinito, Castelvecchi Editore, Roma, 2012.
  • Kierkegaard, Castelvecchi Editore, Roma, 2013.

Fonti

  • F. Dal Bo, Ebraismo e filosofia. Levinas e la comunità occidentale, in La comunità, la sua legge, la sua giustizia, a cura di R. Panattoni, Padova, Il Poligrafo, 2000, pp. 117-127;
  • M. Salomon, Emmanuel Lévinas. La vita e la traccia, trad. da Claudia Poliedri, Milano, Jaca Book, 2003
  • J. Cohen, Alternances de la métaphysique. Essais sur Emmanuel Lévinas, Paris, Galilée, 2009.
  • Marie-Anne Lescourret, Levinas, Paris, Flammarion, 1994
  • A. Paris, Trauma e sostituzione. Emmanuel Levinas tra esperienza ed etica, Roma, Aracne, 2012.




 

Hamnstad (Città portuale) 1948 – Persona (1966)

http://www.controappuntoblog.org/2013/05/26/hamnstad-citta-portuale-1948-persona-1966/

Sussurri e Grida – Ingmar Bergman [1972]

http://www.controappuntoblog.org/2012/11/30/sussurri-e-grida-%E2%80%93-ingmar-bergman-1972/

Il silenzio Tystnaden : il film più tosto di Bergman, per me

http://www.controappuntoblog.org/2012/11/24/il-silenzio-tystnaden-il-film-piu-tosto-di-bergman-per-me/

Ingmar Bergman – Prison (Fängelse) – 1949

http://www.controappuntoblog.org/2012/11/24/ingmar-bergman-prison-fangelse-1949/

Musik i mörker (Musica nel buio)

http://www.controappuntoblog.org/2013/01/01/musik-i-morker-musica-nel-buio/

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