José Saramago: Le intermittenze della morte ed altro

Cos’accade quando la morte improvvisamente decide di scioperare e lasciare l’uomo nell’incapacità di gestire un’eternità infinita?

“Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, poiché assolutamente contrario alle norme della vita, causò negli spiriti un enorme turbamento, cosa del tutto giustificata, ci basterà ricordare che non si riscontrava notizia nei quaranta volumi della storia universale, sia pur che si trattasse di un solo caso per campione, che fosse mai occorso un fenomeno simile, che trascorresse un giorno intero, con tutte le sue prodighe ventiquattr’ore, fra diurne e notturne, mattutine e vespertine, senza che fosse intervenuto un decesso per malattia, una caduta mortale, un suicidio condotto a buon fine, niente di niente, zero spaccato.”

Traduzione: Rita Desti

E’ l’inizio da cui prende vita il romanzo  ” Le intermittenze della morte “ di José Saramago e che darà il via a una serie di avvenimenti che catapulteranno il lettore in un paese non ben definito.

E se l’inizio appare semplice e la narrazione resta in sordina, già dopo poche pagine ritroviamo lui, José Saramago, diretto e preciso, che accarezza cuore e mente con le sue frasi lineari, la sua punteggiatura fuori regole, e ci mette davanti cose che solo all’apparenza sono ovvie, racchiudendo invece un significato profondo.

Allo scoccare della mezzanotte di un 31 dicembre, s’instaura l’eternità, perché nessuno muore più. Questo crea negli uomini un senso di smarrimento perché per quanto faccia paura, la morte rappresenta l’unica certezza nella propria esistenza.

E cosa c’è oltre la morte se non la morte della stessa, una morte suprema che permea ogni cosa creata su questo e negli altri universi.

Ma se la morte si prende una vacanza, tutto quello che da essa deriva, invece, sembra continuare normalmente il proprio corso.

Le malattie avanzano, gli incidenti si susseguono, la vecchiaia incombe.

Immediatamente il paese si ritrova a dover fronteggiare un numero sempre più crescente di persone per le quali la morte sarebbe una naturale liberazione.

Anche socialmente, gli abitanti sono costretti a subire dei disagi impensabili: gli ospedali traboccano di malati terminali, l’industria mortuaria con tutto il suo indotto si ritrova improvvisamente senza lavoro, gli edifici sono adibiti a ospizi per ospitare i vecchi che da quel momento in poi non faranno che invecchiare eternamente.

La Chiesa stessa senza la morte, e il timore di essa, si trova improvvisamente senza una motivazione reale per la sua sussistenza. Lo spauracchio della morte, dell’incontro con il Padre Eterno, rappresenta il cardine della fede degli essere umani.

Insomma quello che la filosofia illustre dell’eternità ha sempre rappresentato per l’uomo, si rivela come l’ennesima beffa della vita, tanto che gli abitanti di quel paese decideranno di portare i propri cari, moribondi, ma destinati all’eterna agonia, oltre il confine, dove tutto procede regolarmente.

Anche la Mafia che prima gestiva le pompe funebri si rinnoverà iniziando a controllare il traffico di morti viventi da un paese all’altro, sotto lo sguardo cieco delle autorità, che lasciano proseguire, per non dover fronteggiare il problema direttamente.

Ma la morte (utilizzando il minuscolo come lei stessa vorrebbe), compreso forse il suo enorme potere, decide di sospendere lo sciopero, facendosi annunciare, da quel momento, all’interessato attraverso una lettera di color viola.

Ecco il nuovo sconvolgimento che renderà ancora una volta instabile il paese.

Una morte a tempo, per concedere agli uomini, di terminare le ultime faccende terrene, prima di lasciare del tutto la propria esistenza.

Tutto torna a scorrere secondo nuove regole, sino a quando, una delle missive indirizzata a un musicista, torna al mittente.

Cosa è accaduto? La morte sarà costretta per la prima volta a prendere sembianze umane, e con esse le fragilità tipiche degli esseri mortali.

Il finale lascia senza fiato, un’armonia sublime, chiusa nelle ultime pagine da Saramago.

Una storia che, nella sua assurdità, quasi alla maniera di Gogòl, si dipana attraverso una lucida razionalità e troverà alla fine un significato profondo: non un inno alla morte ma una meravigliosa celebrazione della vita.

di ©A.Cerami

https://www.segretodonna.com/le-intermittenze-della-morte-jose-saramago/

Le intermittenze della morte

di Jose Saramago

Descrizione

Un paese senza nome, 31 dicembre, scocca la mezzanotte. E arriva l’eternità, nella forma più semplice e quindi più inaspettata: nessuno muore più. La gioia è grande, la massima angoscia dell’umanità sembra sgominata per sempre. Ma non è tutto così semplice: chi sulla morte faceva affari per esempio perde la sua fonte di reddito. E cosa ne sarà della chiesa, ora che non c’è più uno spauracchio e non serve più nessuna resurrezione? I problemi, come si vede, sono tanti e complessi. Ma la morte, con fattezze di donna, segue i suoi imprendibili ragionamenti: dopo sette mesi annuncia, con una lettera scritta a mano, affidata a una busta viola e diretta ai media, che sta per riprendere il suo usuale lavoro, fedele all’impegno di rinnovamento dell’umanità che la vede da sempre protagonista. Da lì in poi le lettere viola partono con cadenza regolare e raggiungono i loro sfortunati (o fortunati?) destinatari, che tornano a morire come si conviene. Ma un violoncellista, dopo che la lettera a lui indirizzata è stata rinviata al mittente per tre volte, costringe la morte a bussare alla sua porta per consegnarla di persona.

https://www.lafeltrinelli.it/libri/jose-saramago/intermittenze-morte/9788807881350?utm_source=trovaprezzi.it&utm_medium=cpc&utm_campaign=comparatore&zanpid=2674638412673528832

Il Vangelo secondo Gesù di José Saramago

Caín – José Saramago | controappuntoblog.org

José Saramago : Ensaio sobre a Lucidez pdf – Ensayo sobre la ceguera pdf

Cecità : Saramago José | controappuntoblog.org

Saramago José : Ensayo sobre la ceguera pdf, video , film Blindness

Ensayo sobre la ceguera – SCORPIONS [ BIG CITY NIGHTS …

Tassidermia, o poeticamente ipocrita – LUOGO COMUNE …

José y Pilar : l’amour malgré tout | controappuntoblog.org

Pubblicato in cultura, documenti politici | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su José Saramago: Le intermittenze della morte ed altro

Fahrenheit 451 (1966) – Futuristic Interactive TV

ahrenheit 451 (1966) – Futuristic Interactive TV –

 

Bücherverbrennungen 10 maggio 1933 ; texts full Sandro Botticelli Aby Warburg – Farenheit 451

http://www.controappuntoblog.org/2017/05/10/bucherverbrennungen-10-maggio-1933-texts-full-sandro-botticelli-aby-warburg-farenheit-451/

Bücherverbrennungen 10 maggio 1933 | controappuntoblog.org

Per monstra ad sphaeram Aby Warburg Abscondita Aesthetica …

Fahrenheit 451 – Film Completo | controappuntoblog.org

Pubblicato in cultura, documenti politici | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su Fahrenheit 451 (1966) – Futuristic Interactive TV

Il CoronaVirus e lo Stato di Eccezione Individuale – Il corpo è il bersaglio perfetto del potere sovrano – di Fulvius Styx by francosenia.blog

sabato 14 marzo 2020

Vietare & Imporre

 

 

Il CoronaVirus e lo Stato di Eccezione Individuale
– Il corpo è il bersaglio perfetto del potere sovrano –
  di Fulvius Styx

« Il potere è dominio: può solo vietare e imporre l’obbedienza.» (Michel Foucault)

A chi crede ancora, lungo tutto lo spettro politico, che i nostri imperi si preoccupino realmente della loro popolazione — «stavolta vogliono davvero il nostro bene» — o, detta altrimenti, che i nostri imperi non nutrano alcun interesse in questa crisi sanitaria, ci permettiamo di rispondere aggiungendo qualche riga all’eccellente descrizione fornita da Agamben sul Manifesto qualche giorno fa.
Promemoria per gli studenti della prima fila: il modello di contratto sociale che ha maggiormente ispirato e tuttora ispira la rete di potere non è quello di Jean-Jacques Rousseau, ma quello del Leviatano di Thomas Hobbes. Un’opera che ha dato vita ad altre correnti, tra cui quella utilitarista — alla quale dobbiamo il Panopticon di Jeremy Bentham. Questo brillante trattato di urbanistica (Il Panopticon!), in mano ai nostri governanti, ha partorito la maggior parte dell’architettura carceraria, ma anche di quella scolastica. Ma forse siete poco interessati alla scienza politica e all’urbanismo carcerario, e vi starete chiedendo: «che rapporto ci sarà mai tra il contratto sociale e l’aspetto terrorizzante di questa nuova influenza?»
Promemoria per gli studenti dell’ultima fila: l’etimologia di «strategia» viene da «strategemma» («complottista!»), e dovrebbe portarci a considerare un’evidenza: che l’astuzia dell’avversario è sempre relativa, e si definisce sempre in rapporto alle nostre qualità percettive — alla nostra capacità cioè di leggere tra le righe nei discorsi dei governanti e dei loro galoppini senza qualità.
Ma ahimè, non è la relatività ciò che limita le nostre qualità percettive; e l’astuzia dei governanti opera unicamente per quelli che hanno fatto della loro stupidità uno sport da combattimento.
La strategia è la scienza (il cammino o il metodo: methodos) relativo ai mezzi che permettono a uno strategos (il capo dell’esercito!) di difendere il proprio paese e sconfiggere il nemico. (Sulla strategia, Trattato anonimo bizantino)

A partire da qui, il problema più grande è che la rete di potere conduce la propria guerra, in maniera più o meno discreta e larvale («le nostre famose qualità percettive!»), non già contro altri stati o imperi (secondo la definizione classica di guerra) ma contro la sua propria popolazione.
Quando non ci sono nemici, bisogna inventarli: regola numero uno di ogni geopolitica. Ecco perché quando Giorgio Agamben dice che lo stato di eccezione è divenuto il paradigma normale di governo, ci invita ovviamente a pensare l’incessante rinnovamento della figura del nemico, oltre alle nuove leggi di stampo terrorista e alla militarizzazione (con polizia al seguito) delle nostre città.
Dalle flashball LBD al data mining passando per i droni e il 5G, non preoccupatevi: ci stiamo avvicinando a Gattaca «per il vostro bene». Come dice giustamente il filosofo italiano: «si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di provvedimenti d’eccezione, l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto ideale per ampliarli oltre ogni limite». E quando leggiamo la lista di restrizioni previste dal decreto e riguardanti i comuni «colpiti» dall’influenza (per i quali invito alla lettura dell’articolo), possiamo stare certi che un domani sarà impossibile per un professore di filosofia o un cittadino militante descrivere qualcosa come una città ai suoi interlocutori.

«L’altro fattore, non meno inquietante, è lo stato di paura che in questi anni si è evidentemente diffuso nelle coscienze degli individui e che si traduce in un vero e proprio bisogno di stati di panico collettivo, al quale l’epidemia offre ancora una volta il pretesto ideale. Così, in un perverso circolo vizioso, la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo».

Questo «vero e proprio bisogno di stati di panico collettivo» è il nodo centrale del contratto sociale hobbesiano. Per passare dallo stato di natura (definito dalla guerra di tutti contro tutti) alla società civile (definita dal termine della guerra di tutti contro tutti), occorre accettare, sorretti dalla ragione, un contratto attraverso il quale tutti  «possano guadagnarci» — dato che, sottomettendosi, i cittadini troverebbero sicurezza e libertà nel passaggio dal mito dello stato di natura all’artificio della società civile. Si tratta di rimpiazzare una finzione con un’altra: ma questi racconti producono evidentemente degli effetti reali. Al fine di assicurare la stabilità dello stato, il principe deve produrre e instillare la paura, assicurando al contempo la sicurezza dei suoi cittadini. In altre parole: la garanzia che non moriranno di morte violenta (la morta paradigmatica dello stato di natura hobbesiano). Non è un caso allora che Hobbes sia stato uno dei primi a considerare il corpo come metafora dello stato, o che sia ancor oggi il filosofo più studiato nelle facoltà di scienze politiche da Parigi a Melbourne.
Dal corpo politico al corpo individuale, la Neolingua ci vende l’idea che dobbiamo prenderci cura di noi stessi — quando  invece è evidente, almeno a partire dalle ricerche di Canguilhem e di Foucault, che il corpo è l’obiettivo per eccellenza del potere sovrano: «Il momento storico delle discipline e` il momento in cui nasce un’arte del corpo umano che non mira solamente all’accrescersi delle sue abilita`, e neppure all’appesantirsi della sua soggezione, ma alla formazione di un rapporto che, nello stesso meccanismo, lo rende tanto piu` obbediente quanto piu` e` utile, e viceversa» (Michel Foucault, Sorvegliare e punire)
Lo dimostrano le centinaia di migliaia di cinesi in auto-quarantena senza l’intervento della polizia, il ritorno di fiamma della delazione, il «lato pratico» di due miliardi di videocamere «pubbliche». Il biopotere che ci riguarda qui e ora rappresenta un approfondimento del potere disciplinare e della società di controllo, dal momento che viene esercitato sia sull’individuo che sulla popolazione, modificando radicalmente i termini del contratto: lo scambio di diritti e di doveri tra stato e cittadini subisce un’integrazione di doveri da parte dello stato in ciascuno di noi; e la maggior parte dei cittadini agisce inconsciamente contro ciò che le resta della città e dei diritti. Chiudere il proprio quartiere contro «un’influenza terrorizzante» in maniera «autonoma», «organizzandosi solo tra vicini»: sostanzialmente il servizio militare volontario. Se va bene. Ma se va male… è l’estensione del concetto di campo di concentramento al pianeta intero. O, perlomeno, ciò che mi sono permesso di chiamare — in termini più penali e, beninteso, riallacciandomi ai lavori di Agamben — lo stato di eccezione individuale.

Un’influenza come causa di uno stato di eccezione planetario, come arma di distruzione di massa della paura: nessun complottista di professione (dal basso!) avrebbe osato immaginare un pitch del genere. Da Euronews all’Università cattolica di Lovanio, nessuno smette di ripeterci in continuazione una lista di semplici precauzioni, neanche fossimo dei bimbi di diciotto mesi. Eppure, malgrado tutto, bisognerebbe considerare con un po’ di serietà il terzo consiglio fornito ai cittadini dell’impero (dopo 1. Lavarsi le mani, e 2. Evitare di tossire o starnutire vicino ad altre persone). Un corollario imagologico del secondo punto che ci permette di percepire come la rete di potere desideri aggravare la psicosi diffusa: «3. Evitare i contatti con persone manifestanti sintomi respiratori». Traduzione: «Prestate ancora attenzione ai sunniti e agli sciiti barbuti, sono e restano terroristi non solo tra le rovine siriane ma anche in Iran. Ma, a dispetto di questo pericolo, cari concittadini, vogliate inaugurare questo anno 2020 sotto il segno del sospetto per chi tossisce». Non dobbiamo andare in panico perché ce lo chiedono. La seconda legge della termodinamica ha certamente subito un’accelerazione a causa di questo sistema mondo, ma è ancora ben lontana dal terminare l’opera.

Fulvius Styx29 febbraio 2020 – pubblicato su lundimatin#232, del 4 marzo 2020 – Traduzione di Quieora

PS. Non prendere posizione, è prendere posizione per il disordine costituito.

PPS. Il disastro è prima di tutto il carattere durevole della catastrofe; durevole perché da rinnovare incessantemente; da rinnovare incessantemente perché profittevole.

PPPS. «La sicurezza è libertà». Questa frase, beninteso, viene dalla più celebre distopia orwelliana, quella plagiata da Marco Minniti, e rappresenta soprattutto la direttrice delle politiche economiche cinesi, europee e americane.

PPPPS. Non si sa mai «tutta la verità» su niente. Nel mondo spettacolarmente capovolto, vero e falso sono intercambiabili. Guy-Ernest Debord esclamava: «la vita concreta di tutti si è degradata in universo speculativo». Siamo tutti filosofi per contingenza: impariamo a divenirlo per necessità, e cominciamo a rimettere in questione automaticamente tutto ciò che portiamo, tutto ciò che trasmettiamo, tutto ciò che vendiamo.

PPPPPS. Quando Agamben dice che lo stato di eccezione è divenuto il paradigma normale di governo, bisogna intendere che la rete di potere governa tramite la crisi. In altre parole, che coltiva un immaginario della catastrofe le cui problematiche ci riguardano, senza dubbio, ma sulle quali non abbiamo alcuna presa. Che sia ambientale, sanitaria, terroristica o finanziaria, noi — popolo dal basso — non abbiamo alcuna presa sui processi decisionali. «Tu parli tanto del cittadino, ma resta tutto molto astratto». Il cittadino è prima di tutto una finzione giuridica, politica ed economica ereditata dal contratto sociale e dall’illuminismo, e concretizzata (o, per meglio dire, riconcretizzata) dalla rivoluzione francese e dai moderni stati-nazione. Un mito, prima di tutto, quello dell’individuo, dell’essere integrato, intero, non separato, preso entro un rapporto di assoggettamento allo stato — un rapporto almeno apparentemente retto dal dare-avere (il contratto) fatto di diritti e di doveri. Questa sottomissione consensuale definisce la figura del soggetto — quantomeno da un punto di vista di grammatica istituzionale e di storia della lingua della rete di potere.
Le arti della guerra e del governo si sono sviluppate a tal punto negli ultimi millenni che abbiamo finito per crederci a questa finzione, a questo mito, a questa figura. Sono state a tal punto naturalizzate da noi occidentali che non ne mettiamo più in discussione né la positività né il luogo del loro esercizio.
Il cittadino è prima di tutto quell’essere che riceve il proprio nome e il proprio statuto attraverso la propria natività. La nascita, e il luogo della nascita, diviene da quel momento in avanti il marcatore, la cifra, la traccia della sovranità. Detta altrimenti, il primo respiro come persistenza della legge. Il suo gesto ultimo, prima della crisi ambientale, era il voto. Oggi fa la differenziata e, quando il portafogli lo permette, prova a mangiare bio. Altro di legale? Nulla. Ogni cittadino, in quanto tale, è illegale e rivoluzionario poiché deve prima di tutto reinventare una qualche forma alternativa di città, che è come dire che deve lottare contro la figura attuale della cittadinanza.
In quell’altrove che è qui, invece, lo straniero, il migrante, il deportato, il sans-papier senza nome mettono in crisi questa costruzione giuridico-politico-economica. La eludono  in quanto residuo dei colonialismi di ieri e di oggi, con in quali l’occidente capitalista deve fare sempre i conti. E anche se nessuno di noi sa dire con precisione perché parte della rete di potere si è affrettata a esclamare «level-five-epidemic is a good option», «l’evento coronavirus» è destinato a incrementare a dismisura i controlli alle frontiere, rendendo ancora più difficili gli spostamenti e l’accoglienza dei migranti. L’eccezionale figura del deportato necessita di un immediato quadro di riferimento e di misure assolutamente eccezionali — anche se gradualmente integrata dal diritto nazionale e internazionale, dagli studi accademici e dai giornalismi al fine di canalizzare «il problema», di limitarlo proprio ingigantendolo nel linguaggio e nell’immaginario sociale dominante.
Lo stesso processo si manifesta per quanto riguarda la figura del manifestante-rivoltoso a livello nazionale come quella del terrorista a livello internazionale. Viene delineato il profilo della minaccia per diffonderlo all’estremo, instupidire l’immaginario dei più e soprattutto per distrarre dalla minaccia ultima: noi stessi.

PPPPPPPS. «Noi come minaccia ultima?» La diminuzione del plusvalore porta la rete di potere a reinventare incessantemente forme minori di insostenibilità affinché ci si dimentichi della sua.

fonte: Quieora

Pubblicato in documenti politici | Contrassegnato | Commenti disabilitati su Il CoronaVirus e lo Stato di Eccezione Individuale – Il corpo è il bersaglio perfetto del potere sovrano – di Fulvius Styx by francosenia.blog

“«l’Italia chiamò» Goffredo Mameli poeta e guerriero” (Gabriella Airaldi, Alessandro Barbero)

“L’Italia chiamò”: Goffredo Mameli poeta e guerriero

Salerno editrice, 2019 – 227 pagine
Un libro che, attraverso una scrittura biografica, cerca di rivivere la stagione risorgimentale senza cadere in facili miti e nei luoghi comuni del patriottismo. Suddiviso in quattro sezioni, nella prima si analizzano il contesto familiare di Goffredo Mameli e l’ambiente della sua crescita; si tratta di fattori assai importanti considerando le forti personalità che vi agiscono. La seconda parte è dedicata alla formazione di Mameli fino alla giovinezza, alla sua maturazione intellettuale e politica con l’essenziale punto di riferimento nel pensiero e nell’azione di Giuseppe Mazzini. Da questo intenso incontro nasce la stesura dell”Inno’. La terza sezione del libro esamina l’azione intellettuale e politica di Mameli, il suo impegno attivo pronto allo scontro, da Genova alle Cinque Giornate di Milano, fino alle esperienze in Toscana e nella Prima Guerra d’Indipendenza. La Questione Romana, la nascita della Repubblica Romana, l’insurrezione e la strage di Genova, le battaglie combattute fino alla morte e la successiva caduta della Repubblica Romana sono lo sfondo storico della pur breve ma straordinaria parabola di vita di Goffredo Mameli, erede del programma mazziniano. Il capitolo conclusivo “La gloria del maestro” intende sottolineare la novità di una biografia connotata finalmente dal desiderio di prefigurare nell”Inno’ l’azione di un popolo.
https://books.google.it/books/about/L_Italia_chiam%C3%B2_Goffredo_Mameli_poeta_e.html?id=cw0dxQEACAAJ&redir_esc=y

 

Pubblicato in memoria | Contrassegnato | Commenti disabilitati su “«l’Italia chiamò» Goffredo Mameli poeta e guerriero” (Gabriella Airaldi, Alessandro Barbero)

La percezione del rischio La pandemia di COVID-19 e gli strumenti, a volte irrazionali, che la nostra mente usa per valutare i pericoli.by iltascabile

La percezione del rischio

La pandemia di COVID-19 e gli strumenti, a volte irrazionali, che la nostra mente usa per valutare i pericoli.

Giancarlo Sturloni è un giornalista scientifico e un esperto di comunicazione del rischio. È autore di diversi saggi tra cui “La comunicazione del rischio per la salute e per l’ambiente” (Mondadori Università, 2018) e “Il Pianeta tossico” (Piano B, 2014).

D avvero dobbiamo preoccuparci così tanto per la pandemia di COVID-19? In questi giorni convulsi, molti di voi si saranno fatti la stessa domanda. In fondo, il mondo è pieno di rischi: dallo smog che soffoca le nostre città al riscaldamento globale, dagli incidenti sul lavoro allo spettro della recessione economica.

È un dilemma ricorrente: ogni volta che cerchiamo di valutare l’entità di un rischio, niente sembra seguire le logiche della razionalità e dei calcoli probabilistici. Le persone, lamentano gli esperti, si preoccupano sempre delle cose sbagliate. E c’è un fondo di verità: spesso la percezione pubblica dei rischi non rispecchia le valutazioni tecniche che, seppure non possano dirsi infallibili, possono almeno sorreggersi alle statistiche. Ma di solito tutto questo ha più a che fare con la natura della mente umana che con la presunta irrazionalità dei non esperti.

Oggi abbiamo un’idea piuttosto chiara su come si formano i nostri giudizi sui rischi. A partire dagli anni Ottanta, infatti, nel tentativo di comprendere perché alcune tecnologie come il nucleare o l’ingegneria genetica trovassero tanta ostilità nell’opinione pubblica, si è sviluppato un corpus di studi multidisciplinari raggruppati sotto l’etichetta della “percezione del rischio”. Grazie a questi studi si è compreso che il modo con cui percepiamo i rischi – che costituisce un presupposto per la loro accettabilità – è influenzato da un pluralità di fattori psicologici, etici e culturali.

L’approccio psicometrico, in particolare, ha misurato l’influenza dei diversi fattori cognitivi a cui attingiamo per formulare i nostri giudizi sul rischio. Si è così scoperto che l’accettabilità di un rischio non dipende solo dalla gravità della minaccia ma anche da altri elementi in grado di influenzare la percezione dei pericoli. Ne sono un esempio la volontarietà o meno all’esposizione, l’equità nella distribuzione fra rischi e benefici, la famigliarità con il pericolo, l’incertezza sulle possibili conseguenze, la reversibilità o l’irreversibilità del danno, la fiducia accordata alle istituzioni deputate alla gestione del rischio, e molti altri ancora.

Ogni volta che cerchiamo di valutare l’entità di un rischio, niente sembra seguire le logiche della razionalità e dei calcoli probabilistici.

La percezione e l’accettabilità di un rischio, in altre parole, risultano influenzate da diversi fattori aggravanti o attenuanti che, pur differendo da quelli impiegati nelle valutazioni quantitative degli esperti (basate sul calcolo delle probabilità di accadimento e sulle stime delle perdite economiche e di vite umane), spesso non appaiono affatto irragionevoli. Per esempio, nel caso di conseguenze potenzialmente gravi e irreversibili, non è affatto irragionevole, in base a un sano principio di precauzione, dare importanza al rischio anche quando le probabilità che si manifesti sono basse. Così come, per fare un secondo esempio, un rischio a cui si è esposti a propria insaputa o contro la propria volontà è comprensibilmente meno tollerato di un rischio che si è liberamente scelto di correre. Più che di percezioni “distorte” si tratta perciò di criteri differenti per giudicare i rischi.

Nel caso della COVID-19 il fattore che più influisce sulla percezione pubblica è il fatto di trovarsi di fronte a una nuova minaccia. L’emergere di un nuovo agente infettivo rientra infatti nella categoria dei cosiddetti rischi emergenti, cioè dei pericoli che affrontiamo per la prima volta. Questo aggrava la percezione del rischio perché l’incertezza sulla natura del pericolo e sulle possibili conseguenze sanitarie, economiche e sociali amplifica la sensazione di non poter esercitare un controllo sugli eventi, e la mancanza di controllo è un fattore aggravante della percezione del rischio. Persino alcune reazioni indubbiamente eccessive, come fare scorte di generi alimentari, possono essere lette come il tentativo di mantenere un controllo personale sulle tante incognite che gravano su ciò che potrebbe accadere. D’altro canto, per fronteggiare l’epidemia sono state adottate misure senza precedenti e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elevato l’allerta globale al massimo livello possibile.

Siamo del resto in presenza di una malattia contagiosa per ora incurabile, capace di diffondersi in poche settimane in oltre cento nazioni di ogni continente e di mettere a dura prova anche i sistemi sanitari delle nazioni ad alto reddito. “Certo che le persone sono preoccupate, perché non dovrebbero esserlo?”, ha detto lo scorso 29 gennaio Mike Ryan, direttore esecutivo delle emergenze sanitarie dell’OMS: “C’è un  nuovo virus, non abbiamo né vaccini né terapie: se qualcuno si preoccupa non dovremmo criticarlo”. Senza contare che, se le persone non avvertissero alcuna preoccupazione, come si potrebbe pretendere che seguano le indicazioni di autoprotezione, dal lavarsi spesso le mani al rispettare le restrizioni imposte per contenere la diffusione del contagio?

Nel caso della COVID-19 il fattore che più influisce sulla percezione pubblica è il fatto di trovarsi di fronte a una nuova minaccia, nella categoria dei cosiddetti rischi emergenti.

La famigliarità a un pericolo, al contrario, agisce come un fattore attenuante nella percezione del rischio e induce a sottovalutare la minaccia. La famigliarità spiega perché, nonostante l’elevato numero di vittime, quasi non facciamo più caso a rischi importanti ma a cui siamo ormai assuefatti, come gli incidenti automobilistici, l’inquinamento dell’aria (circa 75.000 decessi all’anno in Italia secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente) o, per restare nel regno delle malattie infettive, l’influenza stagionale, che in Italia provoca ogni anno circa 6.000 morti per cause dirette o indirette.

Azzardare paragoni fra i rischi è però un esercizio sempre scivoloso, per diverse ragioni. In primo luogo perché, come ha mostrato la teoria socioculturale del rischio, le nostre valutazioni sono fortemente influenzate anche da valori etici e norme sociali: se sono violati principi morali di libertà, equità o giustizia, un rischio può risultare socialmente inaccettabile anche in presenza di un numero limitato di vittime. Nelle pagine del saggio Come percepiamo il pericolo (Feltrinelli, 1991) l’antropologa Mary Douglas scriveva che, nel ritenere inaccettabile un rischio, spesso le persone non sono affatto allarmate ma, piuttosto, sono arrabbiate o indignate. Ecco perché non è detto che rischi giudicati meno importanti in virtù di una bassa probabilità di accadimento o di un numero minore di vittime siano più facilmente accettati.

L’accettabilità, d’altro canto, non richiede neppure l’assenza di ogni rischio. Nella nostra quotidianità conviviamo con molteplici fonti di rischio che, nella gran parte dei casi, accettiamo tacitamente in virtù dei benefici che riteniamo di ottenere in cambio. La ricerca sociale ha per esempio mostrato che il sostegno o il rifiuto delle diverse tecnologie dipende da una comparazione dei rischi e dei benefici percepiti associati al loro impiego. Nel caso del nucleare, per esempio, mentre la produzione di energia elettrica nelle centrali atomiche è osteggiata, l’impiego di radiazioni nei reparti di medicina è accettato in virtù dei vantaggi diretti per i pazienti. In modo analogo, nel caso delle biotecnologie, le applicazioni con ricadute in campo sanitario, sebbene percepite come non esenti da rischi, sono considerate utili e dunque accettabili, mentre gli alimenti geneticamente modificati, giudicati privi di benefici dai consumatori europei, sono stati rifiutati.

Siamo del resto in presenza di una malattia contagiosa per ora incurabile, capace di diffondersi in poche settimane in oltre cento nazioni di ogni continente e di mettere a dura prova anche i sistemi sanitari delle nazioni ad alto reddito.

Questo rende più complesso affrontare le cause del degrado ambientale, perché sono intrinseche al nostro modello di sviluppo: per preservare gli ecosistemi da cui dipendiamo, oggi ci troviamo di fronte alla necessità di rinunciare ai vantaggi offerti dallo sfruttamento intensivo – ma inquinante e non sostenibile – dei combustibili fossili. Per gli attori politici ed economici è più facile ignorare la minaccia dell’inquinamento o del riscaldamento globale rispetto ai rischi di una pandemia, che non può essere considerata un effetto collaterale della crescita economica e che, tutto sommato, richiede sacrifici solo a breve termine.

In ogni caso è inutile indignarsi se, al cospetto dell’emergenza scatenata dal nuovo coronavirus, persino la minaccia dei cambiamenti climatici – sulla cui gravità gli esperti hanno raggiunto il più ampio consenso che si possa immaginare – passa in secondo piano. Siamo fatti così: per non venire sopraffatti e paralizzati dalla molteplicità dei pericoli che gravano su di noi, riusciamo a concentrarci soltanto su un rischio per volta. E le minacce incombenti hanno sempre la precedenza.

Nel caso della COVID-19, infine, giudicare l’effettiva entità del rischio è complicato anche dal fatto che, trattandosi di un rischio emergente, troppe incognite rendono azzardato qualsiasi pronostico su quel che accadrà, al punto che gli stessi esperti si sono divisi nel tentativo di fare paragoni con l’influenza stagionale o con altre epidemie del passato, in una disorientante altalena di allarmi e rassicurazioni.

Per non venire sopraffatti e paralizzati dalla molteplicità dei pericoli che gravano su di noi, riusciamo a concentrarci soltanto su un rischio per volta. E le minacce incombenti hanno sempre la precedenza.

L’incertezza è un ulteriore elemento che aggrava la percezione pubblica del rischio e  nel tentativo di placarla siamo portati a cercare informazioni. Se non ne trovassimo, sarebbe un guaio perché il senso di incertezza rischierebbe di sfociare in più pericolosi sentimenti di sospetto, ansia e paranoia. Oggi però affrontiamo anche il problema opposto: l’ubiquitaria ridondanza delle informazioni. Al punto che l’OMS parla di infodemia, un’epidemia di informazioni non sempre attendibili, talvolta contraddittorie, spesso difficili da interpretare. E più se ne parla – sui giornali, in radio e in tv, sui social media e nelle nostre conversazioni quotidiane, dando vita a un ingorgo comunicativo che finisce per autoalimentarsi – più la COVD-19 assume rilevanza. È quel che gli esperti chiamano “amplificazione sociale del rischio”: come animali sociali, prestiamo più attenzione a ciò che conquista anche l’attenzione degli altri.

A questo si aggiunge la cosiddetta euristica della disponibilità: tendiamo a dare più importanza agli eventi che abbiamo in mente o che possiamo facilmente recuperare dalla memoria. Vale anche nella percezione del rischio e, naturalmente, vale per la COVID-19, al centro di una narrazione in cui da settimane siamo immersi in modo ossessivo, e che rievoca le epidemie del nostro passato recente e lontano. Più in generale, le euristiche sono scorciatoie del pensiero a cui tutti ricorriamo in modo inconscio per semplificare la complessità e non restare paralizzati di fronte all’incertezza. Gli psicologi Amos Tversky e Daniel Kahneman hanno dimostrato che per affrontare i rischi la mente umana preferisce affidarsi all’euristica piuttosto che al calcolo probabilistico. È un processo inconscio che influenza in modo involontario anche le decisioni degli esperti, perciò non ha molto senso ridurlo all’incapacità di comprendere le statistiche. “Il mondo dentro la nostra testa non è una replica precisa della realtà,” ha scritto Kahneman nel saggio Pensieri lenti e veloci (Mondadori, 2013). E le euristiche fanno parte del nostro modo di percepire la realtà e reagire alle minacce.

E ben pensarci, ancora una volta, c’è un perché. Talvolta si tende a contrapporre percezioni e razionalità, ma le percezioni sono la nostra finestra sul mondo e, per quanto imperfette, si sono rivelate indispensabili per sopravvivere nella complessità del mondo. “Anche le emozioni sono razionali, servono a proteggerci. Persino la paura è razionale: ci aiuta a evitare i pericoli”, spiega Paul Slovic, tra i massimi esperti di percezione del rischio.

Talvolta si tende a contrapporre percezioni e razionalità, ma le percezioni sono la nostra finestra sul mondo e, per quanto imperfette, si sono rivelate indispensabili per sopravvivere nella complessità.

Del resto, abbiamo imparato a nostre spese come, di fronte a un rischio imminente, sia meglio prendere una decisione in fretta, anche basandoci su informazioni sommarie e a costo di sbagliare, piuttosto che perdere la vita. Se anziché reagire aspettiamo di essere sicuri che quella macchia nel folto della foresta sia davvero una tigre, potrebbe essere troppo tardi.

Il prezzo da pagare è la possibilità di cadere in errori di valutazione sistematici (o bias) che possono indurci a sopravvalutare o sottovalutare un rischio, facendoci prendere decisioni sbagliate. Ma che ci piaccia o no, le percezioni giocano un ruolo cruciale nell’orientare le nostre scelte individuali e collettive. Sono il metro che la mente umana usa per misurare i pericoli, talvolta anche in barba alle statistiche e ai calcoli probabilistici. Senza però che questo delegittimi in alcun modo le valutazioni quantitative della risk analysis, che restano strumenti irrinunciabili nella gestione del rischio. I risultati degli studi sulla percezione del rischio devono considerarsi complementari e non in contrapposizione alle analisi tecniche.

Il punto, semmai, è chiedersi se questo strumento che la nostra mente ha affinato per affrontare i rischi dell’epoca pre-moderna – quando si trattava di difenderci da minacce imminenti, che agivano su una scala temporale breve, causando danni localizzati a un numero ristretto di persone – sia adeguato per interpretare le minacce della modernità. Un incendio nella foresta non è il riscaldamento globale, così come l’attacco di un coccodrillo non è una pandemia. Nel mondo globalizzato e iperconnesso che abbiamo costruito, siamo in tanti, siamo ovunque e siamo terribilmente impattanti. E la nostra percezione dei rischi, imperfetta, certo, ma capace di farci arrivare fin qui, potrebbe non essere adeguata alle minacce dell’Antropocene.

La percezione del rischio

dilemma del prigioniero : TEORIA DEI GIOCHI, speciale scienza e non solo

http://www.controappuntoblog.org/2012/10/17/dilemma-del-prigioniero-teoria-dei-giochi/

John Nash : intervista – A Beautiful Mind film

http://www.controappuntoblog.org/2015/05/25/john-nash-intervista-a-beautiful-mind-film/

Pubblicato in cabala del cavallo pegaso | Contrassegnato | Commenti disabilitati su La percezione del rischio La pandemia di COVID-19 e gli strumenti, a volte irrazionali, che la nostra mente usa per valutare i pericoli.by iltascabile

Epitteto Manuale (Enchiridion) Traduzione dal greco di Giacomo Leopardi

EpittetoManuale (Enchiridion) (Antichità)
Traduzione dal greco di Giacomo Leopardi (1825)
Preambolo del volgarizzatore

Fisiologia e stoicismo ne «Le passioni dell’anima» di Cartesio

http://www.controappuntoblog.org/2014/03/15/fisiologia-e-stoicismo-ne-%c2%able-passioni-dell%e2%80%99anima%c2%bb-di-cartesio/

Seneca ,LETTERE A LUCILIO libro primo :7 ; post Seneca e C.

http://www.controappuntoblog.org/2018/08/17/seneca-lettere-a-lucilio-libro-primo-7-post-seneca-e-c/

SENECA LUCILIO SUO SALUTEM : Vale ; films del giorno Satyricon

LUCIO ANNEO SENECA: DE CLEMENTIA (testo integrale …

Lucio Anneo Seneca – controappuntoblog.org

Seneca : video | controappuntoblog.org

De tranquillitate animi, De Otio: Lucio Anneo Seneca …

seneca : De vita beata ad Gallionem | controappuntoblog.org

LUCIO ANNEO SENECA: DE CLEMENTIA – controappuntoblog.org

L’infelicità ostinata ha un solo vantaggio, che finisce per rendere forti …

SENECA : CONSOLAZIONE ALLA MADRE ELVIA

The Seneca effect visually shown | controappuntoblog.org

SENECA : CONSOLAZIONE ALLA MADRE ELVIA …

Lucilio Santoni Lettere a SenecaLettere a Lucilio Seneca

Seneca e il teatro elisabettiano | controappuntoblog.org

Hercules da Seneca a Jasper Heywood a Vivaldi …

LUCIO ANNEO SENECA: DE CLEMENTIA – controappuntoblog.org

I terremoti,Naturales quaestiones Seneca, vescovo di Rieti; Gadda …

storiografia e senso dell’antico nel Fellini Satyricon – Satyricon “Federico Fellini” 1969 – Filme Completo (Full Movie) / Legendado PT

Seneca: de Constantia The Latin Library – Das höhere Prinzip 1960 film

http://www.controappuntoblog.org/2017/01/01/seneca-de-constantia-the-latin-library-das-hohere-prinzip-1960-film/

I terremoti,Naturales quaestiones, VI, 21, 2 ss. : Lucio Anneo

ultima opera di W. A. Mozart “La Clemenza di Tito” (Act I) for .

Non piu di fiori vaghe catene – Finale-Sextet and Chorus ..

“I due Dittatori” – La Clemenza di Tito (1734) : La ragione, s

La clemenza di Tito – Terzetto ‘Se al volto mai ti senti’

http://www.controappuntoblog.org/2015/10/15/la-clemenza-di-tito-terzetto-se-al-volto-mai-ti-senti/

7 Ringraziate gli dei perché insegnate a essere crudele a uno che non può imparare.

IL PENSIERO DOMINANTE – PENSIERI LXXXII

Nunc age, quae ratio terrai motibus extet : Lucrezio , Seneca & C. i post

http://www.controappuntoblog.org/2016/10/30/nunc-age-quae-ratio-terrai-motibus-extet-lucrezio-seneca-c-i-post/

Pubblicato in cultura, Giacomo Leopardi | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su Epitteto Manuale (Enchiridion) Traduzione dal greco di Giacomo Leopardi