Nunc age, quae ratio terrai motibus extet : Lucrezio , Seneca & C. i post

Nunc age, quae ratio terrai motibus extet
percipe. et in primis terram fac ut esse rearis
supter item ut supera ventosis undique plenam
speluncis multosque lacus multasque lucunas
in gremio gerere et rupes deruptaque saxa;
multaque sub tergo terrai flumina tecta
volvere vi fluctus summersos [cae]ca putandumst;
undique enim similem esse sui res postulat ipsa.
his igitur rebus subiunctis suppositisque
terra superne tremit magnis concussa ruinis,
subter ubi ingentis speluncas subruit aetas;
quippe cadunt toti montes magnoque repente
concussu late disserpunt inde tremores.
et merito, quoniam plaustris concussa tremescunt
tecta viam propter non magno pondere tota,
nec minus exultant, si quidvis cumque viai
ferratos utrimque rotarum succutit orbes.
Fit quoque, ubi in magnas aquae vastasque lucunas
gleba vetustate e terra provolvitur ingens,
ut iactetur aquae fluctu quoque terra vacillans;
ut vas inter [aquas] non quit constare, nisi umor
destitit in dubio fluctu iactarier intus.
Praeterea ventus cum per loca subcava terrae
collectus parte ex una procumbit et urget
obnixus magnis speluncas viribus altas,
incumbit tellus quo venti prona premit vis.
tum supera terram quae sunt extructa domorum
ad caelumque magis quanto sunt edita quaeque,
inclinata minent in eandem prodita partem
protractaeque trabes inpendent ire paratae.
et metuunt magni naturam credere mundi
exitiale aliquod tempus clademque manere,
cum videant tantam terrarum incumbere molem!
quod nisi respirent venti, [vis] nulla refrenet
res neque ab exitio possit reprehendere euntis;
nunc quia respirant alternis inque gravescunt
et quasi collecti redeunt ceduntque repulsi,
saepius hanc ob rem minitatur terra ruinas
quam facit; inclinatur enim retroque recellit
et recipit prolapsa suas in pondere sedes.
hac igitur ratione vacillant omnia tecta,
summa magis mediis, media imis, ima perhilum.
Est haec eiusdem quoque magni causa tremoris.
ventus ubi atque animae subito vis maxima quaedam
aut extrinsecus aut ipsa tellure coorta
in loca se cava terrai coniecit ibique
speluncas inter magnas fremit ante tumultu
versabunda portatur, post incita cum vis
exagitata foras erumpitur et simul altam
diffindens terram magnum concinnat hiatum.
in Syria Sidone quod accidit et fuit Aegi
in Peloponneso, quas exitus hic animai
disturbat urbes et terrae motus obortus.
multaque praeterea ceciderunt moenia magnis
motibus in terris et multae per mare pessum
subsedere suis pariter cum civibus urbes.
quod nisi prorumpit, tamen impetus ipse animai
et fera vis venti per crebra foramina terrae
dispertitur ut horror et incutit inde tremorem;
frigus uti nostros penitus cum venit in artus,
concutit invitos cogens tremere atque movere.
ancipiti trepidant igitur terrore per urbis,
tecta superne timent, metuunt inferne cavernas
terrai ne dissoluat natura repente,
neu distracta suum late dispandat hiatum
idque suis confusa velit complere ruinis.
proinde licet quamvis caelum terramque reantur
incorrupta fore aeternae mandata saluti:
et tamen inter dum praesens vis ipsa pericli
subdit et hunc stimulum quadam de parte timoris,
ne pedibus raptim tellus subtracta feratur
in barathrum rerumque sequatur prodita summa
funditus et fiat mundi confusa ruina.

Ora, suvvia, ascolta quale sia la causa dei terremoti.
E anzitutto induciti a credere che la terra,
di sotto, come di sopra, è dappertutto piena di spelonche
ventose, e racchiude nel grembo molti laghi
e molti stagni e rupi e massi dirupati;
e si deve pensare che molti fiumi, nascosti sotto il dorso
della terra, travolgano con violenza flutti e massi sommersi.
Difatti, che la terra sia ovunque simile a sé, lo esige la realtà stessa.
Essendo, dunque, tali cose connesse e poste sotto di essa,
la terra di sopra trema scossa da grandi rovine,
quando di sotto il tempo ha scalzato vaste spelonche;
giacché cadono interi monti, e alla grande scossa d’un tratto
tremori di lì si diffondono serpeggiando per ampio spazio.
Ed è naturale, poiché scosse dai carri tremano le case
lungo la strada, per un peso non grande tutte quante,
e non meno sussultano i carri stessi se un sasso della strada
fa sobbalzare i cerchi ferrati delle ruote dall’un lato e dall’altro.
Avviene anche, quando in grandi e vasti laghi rotola
una massa enorme che il tempo ha distaccata dalla terra,
che anche la terra si agiti e vacilli sotto il fluttuare dell’acqua;
come un vaso talora non può star fermo, se il liquido
dentro non ha cessato di agitarsi con instabile fluttuare.
Inoltre, quando il vento per le caverne sotterranee
si raccoglie e da una parte sola si rovescia e sospinge,
premendo con grande forza sulle spelonche profonde,
la terra inclina ove spinge la precipite forza del vento.
Allora le case che sono costruite sulla terra,
e tanto più quelle che più s’innalzano verso il cielo,
s’inclinano e restan quasi sospese, tratte verso la stessa parte,
e le travi, spinte fuori, pendono pronte a cadere.
E si rifugge dal credere che un tempo di distruzione e rovina
incomba sulla natura del vasto mondo,
quando si vede pencolare una massa di terra tanto grande!
E se i venti non cessassero di spirare, nessuna forza potrebbe
porre freno alle cose, né ritrarle dalla rovina mentre cadono.
Ora, poiché alternamente cessano di spirare e rinforzano
e, come raccolti, ritornano all’attacco e respinti cedono,
perciò la terra minaccia rovina più spesso che non rovini
davvero; s’inclina infatti e ritraendosi si raddrizza
e, dopo esser caduta in avanti, riprende la propria posizione
tornando in equilibrio. Così, dunque, le case vacillano tutte,
in cima più che al mezzo, al mezzo più che alla base, alla base pochissimo.

C’è anche un’altra causa dello stesso grande tremore:
quando il vento con una subitanea massa grandissima d’aria,
sorta o dall’esterno o dentro la terra stessa,
si è scagliato nelle cavità della terra, ed ivi freme
dapprima con tumulto fra le grandi spelonche
‹e› turbinando scorrazza; poi l’impetuosa forza
sfrenata erompe fuori e, insieme squarciando
profondamente la terra, produce una grande voragine.
È ciò che accadde in Siria, a Sidone, e avvenne ad Egio,
nel Peloponneso, città che furono distrutte
da tale erompere di vento e dal terremoto che insorse.
E, oltre a queste, molte mura crollarono per grandi
movimenti nella terra, e molte città s’inabissarono
in fondo al mare coi propri abitanti.
E, anche se non prorompono, tuttavia l’impeto stesso dell’aria
e la fiera forza del vento si diffondono per i fitti canali
della terra come un brivido, e di lì provocano un tremore;
come il freddo, quando penetra a fondo nelle nostre membra,
loro malgrado le scuote e le costringe a tremare e a dimenarsi.
Per duplice terrore si trepida dunque nelle città:
di sopra temono le case, di sotto paventano le caverne,
che la natura della terra non le disgreghi d’un tratto,
e squarciata spalanchi ampiamente la sua voragine
e sconvolta voglia riempirla delle sue rovine.

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