John Nash : intervista – A Beautiful Mind film

Bluefield, 13 giugno 1928[1] – Monroe, 23 maggio 2015

 

Intervista a JOHN NASH

di Piergiorgio Odifreddi

Uscirà nei prossimi mesi, pubblicato da Longanesi, il nuovo libro di Piergiorgio Odifreddi, Incontri con menti straordinarie. Sono 50 incontri-interviste con i maggiori protagonisti dell’economia, matematica, fisica, chimica e biologia. Pubblichiamo la sua intervista a John Nash, un’intervista esemplare, che conferma l’abilità straordinaria di Odifreddi nell’approfondire e mettere in risalto ogni caratteristica del personaggio intervistato.

Un libro di Sylvia Nasar (Rizzoli, 1999) e un film di Ron Howard, entrambi intitolati A beautiful mind e di grande successo, hanno raccontato la strana storia di John Nash, il genio che ha legato il suo nome a una serie di risultati ottenuti nel giro di una decina d’anni e pubblicati in una decina di articoli, recentemente raccolti da Harold Kuhn e Sylvia Nasar in The essential John Nash (Princeton, 2002), un paio dei quali gli sono valsi il premio Nobel per l’economia nel 1994.

E’ una tragica ironia del destino che un uomo che ha vissuto venticinque anni da squilibrato, soffrendo di schizofrenia paranoide e credendosi l’Imperatore dell’Antartide e il Messia, sia passato alla storia per aver introdotto la nozione di equilibrio oggi universalmente usata nella teoria dei giochi: di un comportamento, cioè, che non può essere migliorato con azioni unilaterali, nel senso che lo si sarebbe tenuto anche avendo saputo in anticipo il comportamento dell’avversario.

Grazie agli uffici del comune amico Kuhn abbiamo potuto passare il pomeriggio del 13 ottobre 2003 con questa “mente meravigliosa”, parlando a ruota libera di matematica e pazzia e ripercorrendo alcune tappe della sua singolare vicenda scientifica e umana.

La sua autobiografia per la Fondazione Nobel incomincia con una strana frase: “la mia esistenza come individuo legalmente riconosciuto è iniziata il 13 giugno 1928”.

Non ricordo perchè ho detto così allora: quando scrivo cerco di essere spontaneo e senza costrizioni, e le cose escono diverse a seconda delle volte. Ma il concetto di inizio varia: ad esempio, in Cina si misura dal momento del concepimento. In Occidente invece una persona non esiste legalmente fino a che non è nata.

In certi ambienti c’è un analogo problema relativo al momento in cui il nascituro acquista un’anima.

Le cose sono cambiate nel tempo, e oggi i cattolici la pensano come la gente comune di qualche secolo fa. In fondo, tutto si riduce a una competizione di numeri.

Lei è religioso?

Ho cambiato varie volte idea, quand’ero mentalmente disturbato. Si rischia di uscire di testa pensando troppo alla religione, soprattutto se si fa della scienza e si cerca di tenere fede e ragione in compartimenti separati. Un’osservazione elementare, però, è che le varie religioni sono logicamente incompatibili fra loro: non possono dunque essere tutte vere.

La stessa cosa vale per la politica, di cui lei ha scritto che è un inutile spreco di energia intellettuale.

Mi riferivo soltanto alla mia esperienza personale, influenzata dalla malattia mentale: ho cominciato a guarire quando ho rifiutato alcune delle mie illusioni in questo campo. La politica non è certo uno spreco di energie per i politici di professione!

 

A proposito di pensiero logico, la nozione di equilibrio che porta il suo nome sembra derivare più da un’analisi filosofica che da una problematica matematica.

In effetti l’interesse non era semplicemente matematico, anche se bisogna osservare che Cournot aveva già sviluppato un concetto simile. Però c’era una parte strettamente matematica, riguardante l’esistenza di questi equilibri, e questa è un’altra storia. Ad esempio, gli equilibri nel senso di Von Neumann e Morgenstern non sempre esistono: quindi, il problema non era banale.

Sembra che von Neumann non abbia apprezzato il suo lavoro, all’epoca.

Dopo aver sviluppato la mia teoria sono andato a esporgli le mie idee, e lui mi ha subito chiesto se la mia dimostrazione usava il teorema del punto fisso. Mi è sembrata una tremenda intuizione, da parte sua, in accordo con la sua fama di essere una mente brillante. Ma in seguito ho capito come aveva fatto a indovinare: io avevo usato il teorema del punto fisso di Kakutani, che era stato ispirato dal lavoro di von Neumann negli anni ’30, e quel genere di risultati è difficile da provare in altri modi.

E’ lo stesso metodo usato anche da Arrow e Debreu per la loro teoria degli equilibri dei mercati.

Credo che loro abbiano invece avuto l’idea di usare il teorema del punto fisso di Kakutani da me. Ma non sarei disposto a testimoniarlo in tribunale, o di fronte all’Ufficio Brevetti: meglio non fare discussioni inutili.

Oltre a von Neumann, lei ha anche conosciuto Einstein qui a Princeton.

Quando sono andato da lui un suo assistente, John Kemeny, gli stette sempre vicino e in silenzio, come una guardia del corpo. Probabilmente Einstein incontrava un sacco di matti, e aveva bisogno di un minimo di protezione.

E di cosa era andato a parlargli?

Lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali delle galassie lontane di solito si interpreta come un effetto dell’espansione dell’universo. A me era venuta l’idea che si potesse invece interpretare come una perdita di energia gravitazionale della luce, più o meno come una barca che si muove nell’acqua perde energia producendo onde.

 

E Einstein come la prese?

La cosa non gli piacque troppo, e mi disse: “Giovanotto, credo che le farebbe bene studiare un pò di più”. Non so se la mia fosse una buona idea, ma certamente in seguito anche altri l’hanno avuta e ci hanno scritto su.

Dopo la laurea lei ha lavorato per la Rand Corporation, che era un covo di reazionari.

Sì, per tre estati. Era sponsorizzata dall’Aviazione, e costituiva uno dei modi indiretti attraverso il quale il governo finanziava la ricerca: invece di dare i soldi direttamente agli scienziati, li dava ai militari che poi li davano agli scienziati.

Non è un pò sospetto che la ricerca venga fatta coi finanziamenti militari?

Non è solo sospetto, ma anche paradossale. L’Aviazione però non era così conservatrice, lo era molto di più la Marina. E poi, i militari sono automaticamente conservatori? In Italia, ad esempio?

Non lo sono per definizione?

Il conservativismo è multidimensionale, e si può essere conservatori in un senso senza esserlo in un altro. Ad esempio, l’esercito turco è di destra, ma non rappresenta il fondamentalista islamico.

Tornando al suo lavoro, quando lei si spostò da Princeton al Mit lasciò la teoria dei giochi per la geometria differenziale.

Parlando con un collega rimasi sorpreso del fatto che il problema dell’immersione delle superfici negli spazi euclidei fosse un’area di ignoranza, e pensai che avrebbe dovuto essere possibile risolverlo. Dapprima trovai una scorciatoia, in un caso che non era mai stato studiato: invece di considerare superfici liscie, con un certo numero di derivate, mi limitai alle superfici con un’unica derivata continua, e risolsi quel problema. Poi riuscii a estendere il risultato a superfici con tre ordini di derivabilità. Si dovrebbe riuscire a farlo anche con due, ma finora non è stato fatto.

I suoi interessi matematici sembrano essere stati molto estesi, e anche un pò incompatibili, nel senso che l’intuizione logica e quella geometrica sono molto diverse. Come è riuscito a conciliarli?

In fondo io sono un analista. Il problema dell’immersione era sostanzialmente analitico, e in seguito mi sono interessato di equazioni differenziali alle derivate parziali.

Trovando il grande teorema che lei e De Giorgi avete dimostrato indipendentemente.

Sì, lui è stato il mio rivale. A proposito, ecco un bell’esempio di un matematico religioso! Anzi, un esempio estremo di religiosità, quasi da monaco.

E il fatto che anche lui avesse ottenuto lo stesso risultato le costò la medaglia Fields.

Non solo a me, anche a lui.

Ma lei sembra esserci stato più vicino, nel 1958. Ci fu addirittura uno spareggio con Thom, no?

Mah, così si dice. Nel 1962 sarebbe stato più ovvio, ma io ero già disturbato mentalmente. Così la diedero a Hormander: uno svedese, in un congresso in Svezia …

Vuole dire che la cosa è sospetta?

Beh, sì. Sarebbe lo stesso se ci fosse un congresso in Cina, e la medaglia la vincesse un cinese. Non è successo, è successo che non è successo, ma sarebbe stato sospetto. Invece in Svezia è successo: tra l’altro, con due sole medaglie, invece delle quattro che si danno oggi.

Così lei ha perso la medaglia Fields, ma ha vinto il premio Nobel. Avrebbe preferito il contrario, se avesse potuto scegliere?

La medaglia Fields sarebbe stata molto prima, avrebbe cambiato il corso della mia vita. Se fossi stato sano nel 1962, avrei potuto prenderla: ero ancora nei limiti d’età. Ma il mio lavoro non fu immediatamente riconosciuto: nemmeno le cose più facilmente comprensibili, come il problema dell’immersione. In seguito si cominciarono ad applicare i miei metodi in altri campi, ad esempio la stabilità del sistema solare con il teorema di Kolmogorov, Arnold e Moser. Anche se quasi subito Arrow e Debreu avevano visto come applicare il teorema del punto fisso di Kakutani nel loro lavoro sugli equilibri dei mercati.

E’ vero che a quel tempo ha cercato di risolvere l’Ipotesi di Riemann?

Questo lo dice il film. La funzione Zeta è certamente affascinante, ma io non ho mai seriamente attaccato il problema, nemmeno quand’ero malato. La teoria quantistica, quella sì. Ma probabilmente era un’illusione, una mancanza di buon senso, anche quando non ero legalmente matto.

Siamo tornati alla legalità.

Dovrebbe essere chiaro che la malattia mentale è un concetto legale.

Ad esempio, uno dice che fa miracoli, e invece di matto lo chiamano santo!

Più che dirlo, bisogna riuscire a farlo dire a qualcun altro: non “io faccio miracoli”, ma “lui fa miracoli”. Meglio poi se a dirlo è un cardinale o un vescovo, con voce ispirata.

O, per fare un altro esempio, uno come Monitz inventa la lobotomia, e invece di finire in galera prende il premio Nobel per la medicina.

La lobotomia era veramente un’operazione drastica, ma la cosa è sottile. Si può confrontarla con il trattamento farmaceutico, e vedere con che metodo una persona diventa socialmente più controllabile. E’ difficile, non si sa in anticipo come un paziente reagirà alle medicine e che effetto avranno su di lui. Ma si sa che riducono l’impulso suicida, che è uno dei pericoli maggiori, oltre che una causa di internamento.

 

Lo scopo quindi è il controllo.

E’ l’economia, nel senso che si tratta di minimizzare il costo per la società e per le famiglie dei malati. Una pazzia che non dà problemi, che non influenza il comportamento esteriore, è come una religione che non interferisce con il tuo lavoro: in tal caso a nessuno importa a che setta appartieni. Ma se un malato mentale ha tendenze suicide, questo è sufficiente a determinare l’internamento coatto. Anche se oggi gli avvocati riescono a renderlo più difficile, il che allo stesso tempo fa risparmiare soldi allo stato.

Negli anni ’70 in Italia il movimento antipsichiatrico è riuscito a far chiudere i manicomi.

Tutti?

Sì, tutti.

Saranno però rimasti i reparti psichiatrici degli ospedali normali.

Molti malati mentali sono stati effettivamente dimessi.

Negli Stati Uniti la medicina psichiatrica è diventata un’industria: molta gente viene internata anche se non è veramente pericolosa, e non dovrebbe essere possibile senza il consenso del paziente.

Anche le prigioni sono diventate un’industria: il numero dei carcerati negli Stati Uniti è imbarazzante: quindici volte superiore alla media europea.

Però se si tolgono le persone che appartengono a certe categorie etniche, come i neri o i latini, la percentuale dei carcerati bianchi è probabilmente la stessa che in Europa.

Lei ha sempre cercato di opporsi legalmente ai suoi internamenti.

La prima volta sono riuscito a farmi dimettere. Le altre volte ho tentato, ma senza grandi risultati. Credo che l’effetto sia stato duplice: può aver impedito certi eccessi di cure, ma aver prolungato la durata della deten- zione.

Lei ha detto esplicitamente di aver subìto torture.

Si possono interpretare i coma insulinici e gli elettroshock come torture. Ma avvennero appunto in un periodo in cui non avevo un avvocato.

Ha anche detto che guarire da una malattia mentale non dà la stessa gioia che guarire da una malattia fisica, perchè la razionalità del pensiero impone un limite al concetto che una persona può avere della sua relazione col cosmo.

Vede, io mi vedevo come un grande profeta o un messia …

Come Zarathustra?

Ho fatto quell’esempio solo perchè non ci sono troppi suoi seguaci in giro. Citare Maometto poteva essere rischioso, nel 1994 c’era il rischio di una fatwa.

Non parliamo di Gesù Cristo, poi.

Bisogna essere cauti, in certe cose. Naturalmente, Gesù Cristo è un tipico esempio di pensiero illusorio: ce ne sono molti nei manicomi.

A volte più d’uno nello stesso posto, come nel famoso caso dei tre Cristi di Ypsilanti.

Non si può allo stesso tempo essere razionali, e credersi un grand’uomo universalmente riconosciuto. Dopo essere stato internato ho quindi fatto una specie di compromesso con me stesso, per cercare di comportarmi normalmente.

Anche i maniaci depressivi, tra i quali molti scienziati, vivono una specie di compromesso tra euforia e depressione.

Il mio caso era diverso, perché non soffrivo di depressioni ma di allucinazioni. Quanto agli scienziati, mi sembrano relativamente sani: sono i logici, che sono matti! Più della maggior parte dei matematici.

Mi sta prendendo in giro?

No, ne ho parlato al Congresso Mondiale di Psichiatria di Madrid nel 1996, e anche Gian-Carlo Rota ha osservato che tra i logici la percentuale di matti è inusuale. Pensi a Post, che veniva curato periodicamente con l’elettroshock. O a Godel, che si lasciò morire di fame. O a Church, che magari era sano ma si comportava ben stranamente: parlava sempre da solo ad alta voce, si mangiava tutti i biscotti ai parties, …

Quando studiavo a Ucla sono andato a una sua lezione, ed è stata l’unica volta in cui ho visto tutti in un’aula dormire dalla noia, compreso il docente.

Anch’io da studente ho seguito un suo corso, noiosissimo. L’ho anche avuto come membro della mia commissione di laurea.

Lasciamo stare i logici, se no poi mi deprimo io. Parlando più in generale, ci sono aspetti patologici nella matematica?

Certamente c’è una mistica dei numeri, dalla quale a volte mi sono lasciato anch’io trascinare. Un musulmano mi ha mandato un libro in cui si cerca di mostrare che nel Corano c’è una struttura numerica nascosta, basata sul numero primo 19. Poi c’è il codice della Bibbia, che permette di ritrovare riferimenti a cose già accadute, benchè mai profezie di cose che devono ancora accadere: non sarebbe male, trovare una vera profezia!

Il Socrate di Platone sentiva delle voci, che gli dicevano di non fare certe cose.

Durante la mia malattia anch’io sentivo delle voci, come quelle che si sentono nei sogni. Agli inizi avevo solo idee allucinatorie, ma dopo due o tre anni sono arrivate queste voci, che reagivano criticamente ai miei pensieri e sono continuate per vari anni. Alla fine ho capito che erano solo una parte della mia mente: un prodotto del subconscio, o un percorso alternativo della coscienza.

 

E le servivano per la matematica, come per Ramanujan?

Forse in certe società, quali l’antica Grecia o l’India, è possibile coltivare queste voci come un normale pensiero razionale: potrebbe funzionare. Ma nel mio caso non erano piacevoli.

E poi hanno smesso?

Più che altro le ho soppresse io. Ho deciso che non volevo più sentirle o esserne influenzato.

Quindi è guarito perché ha deciso di guarire, con la forza di volontà?

Non so, non è così chiaro come funzioni la forza di volontà: certo non basta per dimagrire. Ma la guarigione dalle malattie mentali non sembra essere provocata dalle medicine, e a un certo punto io ho smesso di prenderle. Voler essere sani, questa è essenzialmente la sanità mentale.

E non ci sono fattori genetici?

Non sono convinto. La malattia mentale può essere una fuga dall’infelicità. E spesso è l’ambiente famigliare che la determina: ad esempio, credo  che questa sia una causa della malattia di mio figlio, che è un caso clinico.

La rappresentazione delle voci che è stata fatta nel film l’ha soddisfatta?

Era un modo di rendere visibile e comprensibile queste cose. Sarebbe difficile farlo in maniera scientificamente accurata, perché non si può vedere dentro la mente di qualcuno.

Ma lei, che ha visto dentro alla sua, non potrebbe scriverne?

Quando sarà il momento giusto per farlo, probabilmente avrò l’Alzheimer e non ricorderò più ciò che dovrei raccontare.

http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/Interventi/Odifreddi/Nash/Nash.htm



John Nash vince (anche) il Premio Abel 2015, il “Nobel .

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