Michelangelo Antonioni da Zabriskie Point a Il Deserto Rosso

ZABRISKIE POINT

NazioneItalia/U.S.A.
Anno Produzione1969

Genere

Durata112′

TRAMA

Mark partecipa alle rivolte studentesche e, erroneamente accusato di omicidio scappa con un aereo rubato, incontra, nel deserto, Daria con cui fa l’amore prima di tornare all’aeroporto.

RECENSIONI

Un aereo da turismo descrive dei cerchi sempre più stretti attorno ad un’automobile che percorre solitaria una strada nel deserto, gioca con la paura e con il vuoto assolato.
Antonioni procede quasi allo stesso modo iniziando con la minuziosa descrizione di un dibattito di studenti per i diritti dei neri per poi continuare a seguire la fasi preparatorie di una rivolta fino a giungere al momento – magistrale falsificazione involontaria del medium – in cui Mark, il giovane con la pistola che non ha sparato, viene frainteso come effettivo assassino d’un poliziotto.
Inquadrare un ambiente, costruirlo per quadri nitidi, accerchiare il personaggio in un contesto che lo stritola e poi virare improvvisamente. La fuga, l’incontro casuale, l’amore estatico, il collasso del mondo. Caos e Caso sono una coppia perfetta nell’America di Antonioni in cui i giovani ribelli sono attorniati da scritte pubblicitarie ormai divenute arte ed il deserto diventa luogo di comunione in una delle sequenze più giustamente celebrate di Zabriskie Point.
Il rifiuto dello spazio umano emozionalmente debilitante, la metropoli americana come l’industria italiana in Deserto Rosso, conduce ad una riscoperta immancabilmente punita: Mark torna rinvigorito dal deserto e dall’emozione che lì ha conosciuto, in un delirio di onnipotenza – l’aereo ridipinto vistosissimo che dovrebbe passare inosservato- e la sua arroganza così umana viene stroncata dall’ordine costituito. Un doppio carrello aereo circolare a stringere sul velivolo immobile sulla pista d’atterraggio con il giovane morto.
Daria, diretta alla mostruosa abitazione del suo uomo, aggrappata come in uno stupro ad una roccia, decide di andarsene, dove? verso il tramonto, non prima d’aver vittoriosamente imposto la sua fantasia ad un mondo da cancellare: gli oggetti, la villa, esplodono al rallentatore, decine di volte, in un sacrificio ben più che simbolico.
La società dei consumi, la violenza, la falsità (falsificabilità) dei media di contro alla riscoperta della solitudine dell’individuo e della casualità come fonte di un barlume di speranza.

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Troisi La madonna che ride

Massimo Troisi : annunciazio’ , annunciazio’

Massimo Troisi : Le vie del Signore sono finite clip e Scusate il ritardo clip

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(Il Postino). Luis E. Bacalov Soundtrack – Escena del cartero

Massimo Troisi – Quando c’è l’amore c’è tutto …

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Cunusc’ a Lello tu?”..auguri 2013 aggiornati a ‘o 2014 …

Quelli che accettano tutto, fuorchè il Berlusca – Troisi

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2018 gli scienziati evevano avvisato : La lezione dell’epidemia di Spagnola del 1918 by lescienze.

Particelle del virus influenzale H1N1 1918 ricostruite dagli scienziati dei Centres for Disease Control and Prevention nel 2005 (© SPL/AGF)

La lezione dell’epidemia di Spagnola del 1918

09 ottobre 2018

A cent’anni dalla pandemia influenzale del 1918, che causò 50 milioni di morti, uno studio mostra che il suo eccezionale tasso di mortalità fu il risultato di una complessa interazione tra fattori virali, ospiti e fattori sociali. La comprensione di questi elementi è vitale per prepararsi a una possibile pandemia futura altrettanto letale, in particolare potenziando la risposta delle strutture sanitarie pubbliche

Una metanalisi delle ricerche sulla pandemia influenzale del 1918, la cosiddetta Spagnola, di cui quest’anno ricorre il centenario, ha fatto emergere una serie di indicazioni sulle precauzioni che le autorità sanitarie nazionali e internazionali devono prendere in vista di possibili future pandemie virali.

Lo studio, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università del Queensland a Brisbane dell’Università di Melbourne, in Australia, è illustrato su “Frontiers in Cellular and Infection Microbiology”.

Nel 1918 l’intero globo fu interessato da una gravissima malattia influenzale, di cui all’epoca era ignoto l’agente eziologico, che in tre successive ondate – nella primavera  e nell’autunno del 1918 e nell’inverno 1918-1919 – infettò oltre un terzo della popolazione mondiale provocando circa 50 milioni di vittime, molte delle quali erano giovani adulti precedentemente sani.

In seguito, ci sono state altre tre pandemie influenzali (la cosiddetta Asiatica del 1957, la Hong Kong del 1968 e l’influenza suina del 2009) che, pur avendo avuto conseguenze molto meno devastanti, hanno mostrato che i virus influenzali continuano a essere una grave minaccia: alcuni studi hanno stimato che se oggi si scatenasse una pandemia simile alla Spagnola per contagiosità e virulenza il numero di morti potrebbe arrivare a 147 milioni.

L’impressionante mortalità della Spagnola – ha detto Carolien E. van de Sandt, coautrice dello studio – “è stata il risultato di una complessa interazione tra fattori virali, ospiti e fattori sociali. La comprensione di questi fattori è vitale per prepararsi a una possibile futura pandemia influenzale”.

Un elemento importante sono state anzitutto le caratteristiche del virus, un ceppo del sottotipo H1N1 dell’influenza A (lo stesso sottotipo dell’influenza suina del 2009). Il virus del 1918 aveva alcune peculiarità genetiche che, come hanno dimostrato alcuni studi, gli consentivano di diffondersi anche a tessuti diversi da quelli delle vie respiratorie, causando ulteriori danni, e di trasmettersi più facilmente tra gli esseri umani.

Oggi, a differenza del 1918, è possibile valutare il potenziale pandemico dei nuovi virus, sia negli animali che ne sono il serbatoio naturale, sia negli esseri umani una volta che un ceppo è riuscito a fare il salto di specie. Ma perché queste analisi siano davvero utili bisogna però che la capacità di eseguirle e gli sforzi di monitoraggio virale siano estesi e potenziati in tutto il mondo. Tanto più che “i cambiamenti climatici colpiscono i serbatoi animali di virus influenzali e i modelli di migrazione degli uccelli” ha detto van de Sandt, “e questo potrebbe diffondere i virus in nuove località e in una gamma più ampia di specie di uccelli.”

Un altro fattore importante, secondo gli autori, è lo stato della salute pubblica. Nel 1918, la malnutrizione era piuttosto diffusa, così come diverse malattie batteriche (a partire dalla tubercolosi) che rendevano molto più probabile un esito infausto della malattia virale. Oggi la malnutrizione potrebbe aumentare in seguito alla riduzione dei raccolti provocata in molte regioni dai cambiamenti climatici, e l’aumento della resistenza agli antibiotici potrebbe causare una maggiore diffusione e problematicità delle superinfezioni batteriche. Anche l’obesità e i disturbi che la accompagnano potrebbero aumentare il rischio di morire a causa dell’influenza.

Ma anche il profilo demografico della popolazione ha un ruolo. Stranamente, uno dei gruppi più falcidiati nel 1918 furono i giovani adulti. I ricercatori pensano che forse gli anziani furono relativamente risparmiati a causa di precedenti esposizione a virus simili, ma meno virulenti, che avevano dato loro una maggiore resistenza al ceppo del 1918.

Tuttavia, dato che l’influenza stagionale uccide tipicamente gli anziani, l’attuale invecchiamento della popolazione (che arriva in media a un età ben superiore a quella degli anziani del 1918) potrebbe rappresentare un’altra drammatica sfida.

I ricercatori osservano anche che durante la Spagnola alcuni presidi di base contro la trasmissione della malattia, come il divieto di raduni pubblici e il lavaggio delle mani, in alcuni paesi contribuirono a ridurre i livelli di infezione e di morte, ma solo là dove erano stati applicati con tempestività e per tutta la durata della pandemia.

Fino a quando non sarà disponibile un vaccino ampiamente protettivo, i governi devono informare il pubblico su cosa aspettarsi e come agire durante una pandemia“, ha concluso van de Sandt. “Una lezione importante dalla pandemia influenzale del 1918 è che una risposta pubblica ben preparata può salvare molte vite umane.”

https://www.lescienze.it/news/2018/10/09/news/lezione_pandemia_spagnola_1918_anni_versario_riduzione_diffusione-4146511/?rss
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Aleksandr Puskin Festino in tempo di peste ed altro di Puskin & C.

Festino in tempo di peste – Aleksandr Puskin

7 febbraio 2014

(dalla tragedia di Wilson, The city of the Plague)
Una strada. Una tavola imbandita.
Uomini e donne che banchettano.
UN GIOVANE
Illustre presidente, ricorderò un uomo a tutti noi ben noto, le cui facezie, storielle amene, risposte argute e critiche mordaci e divertenti, pur nella loro serietà, la nostra tavola han rallegrato, allontanando la tristezza che oggi il contagio, nostro ospite, sui più brillanti ingegni, diffonde. Solo due giorni fa, onoravamo, ridendo, i suoi racconti; impossibile, dunque, in questa nostra allegra festa, dimenticare Jackson. Questo suo posto vuoto, sembra quasi aspettare la sua giovialità… mentre lui già è sceso nelle fredde dimore della terra, anche se il vigore della sua facondia non s’è estinto nella tomba. Ma siamo ancora in molti a vivere, e senza alcuna ragione di tristezza. Propongo, allora, un brindisi alla sua memoria; gioiosi alziamo i calici in un urrah! festoso, come se fosse vivo.
PRESIDENTE
Fu il primo, tra di noi, a lasciarci. Beviamo in silenzio in suo onore.
IL GIOVANE
Beviamo!
(Tutti bevono in silenzio)
PRESIDENTE
La tua voce, Mery, sa esprimere con integra purezza le natie canzoni. Seguita a cantar con quel tuo tono mesto, per riportarci poi alla gioia, così, senza ragione, come chi, preso da una visione, dalla terra s’allontana.
MERY (canta)
C’era un tempo in cui il paese, nella pace prosperava: le domeniche la chiesa, di fedeli si riempiva; voci allegre di bambini risuonavan nelle scuole e nei campi sotto il sole balenavano le falci. Ora la chiesa è vuota; la scuola muta, è chiusa; fermo è il raccolto; deserto è il fitto bosco; ed il villaggio sembra un luogo dall’incendio visitato. Silenzio ovunque – solo il cimitero si riempie e non tace. Portano altri morti e i vivi con timidi lamenti, a Dio chiedono per loro, pace eterna. Serve altro spazio, e le bare, pressate l’una accanto all’altra, come un gregge spaventato, restano in attesa. Se una morte prematura mi tocca in sorte, io, che ti ho tanto amato e il cui amore, felice m’ha reso, io ti prego: non avvicinarti al corpo della tua Jenny, non sfiorare le sue labbra spente, seguila da lontano. Lascia il villaggio! e vai là dove tu possa lenire il tuo tormento e riposare. Quando poi tutto sarà passato, vieni alla mia tomba, Jenny, anche se in cielo, Edmondo non abbandonerà.

PRESIDENTE
Ti ringraziamo Mery pensierosa per questa tua malinconica canzone! Di certo, questa stessa peste ha già in passato visitato le tue valli e le tue terre, e questi tristi pianti già si sono uditi lungo quei fiumi e quei ruscelli che ora lieti e tranquilli scorrono nel selvaggio paradiso del tuo paese natale. E di quel lugubre anno che tante vittime ha visto cadere, forti, buone e belle, rimane un’esile memoria solo in qualche triste, semplice e gradevole canzone pastorale… No, tra tante gioie, nulla più ci rattrista di una musica languida che tocca il cuore.
MERY
Oh! Se non avessi mai cantato, lontano da casa mia! Piaceva ai miei genitori ascoltare la loro Mery. Io stessa mi vedo cantare sulla soglia di casa loro. La mia voce, allora, era più dolce: era, la voce, dell’innocenza?
LUISA
Queste canzoni, non son più di moda! Eppure quante anime semplici ancora, felici, si fidano ciecamente di una donna che piange. La donna crede irresistibile lo sguardo languido, ma se la stessa cosa del ridere pensasse, certo, sarebbe tutta sorrisi. A Walsingham piacciono quelle lagnose del Nord: eccone un bell’esempio. Odio il giallo di quelle loro chiome di Scozia.
PRESIDENTE
Ascoltate: un cigolio di ruote! (Passa un carro carico di cadaveri, guidato da un negro) Ehi! Luisa è svenuta. Da come parlava, sembrava forte come un uomo. Ma un duro è più fragile d’uno sensibile e la paura scuote un’anima dalle passioni scossa! Mery, gettale dell’acqua in viso, starà meglio.
MERY
Sorella nella vergogna e nel dolore, abbandonati al mio petto. LUISA (riprendendosi) Un demonio orribile, ho sognato: era tutto nero, con gli occhi bianchi… sul suo carro mi invitava, dove già dei morti mormoravano orribili parole sconosciute… Ditemi: era veramente un sogno? È passato un carro?
IL GIOVANE
Su, Luisa, riprenditi. Anche se la nostra strada è un tacito rifugio dalla morte, dove indisturbati possiamo banchettare, sai che quel nero carro, ha il diritto di passare ovunque. Non possiamo noi fermarlo! Ascolta Walsingham: per troncar ogni contesa e smetterla coi deliqui femminili, cantaci una canzone gioiosa, disimpegnata, non ispirata dalla malinconia scozzese, ma una canzone vigorosa, bacchica, come dopo una coppa spumeggiante.
PRESIDENTE
Di questo tipo non ne conosco, ma un inno canterò, alla peste. L’ho scritto la notte scorsa, quando ci lasciammo. È la prima volta in vita mia che mi prende l’estro poetico! Ascoltatemi, allora: la mia voce rauca s’addice alla canzone.
MOLTI
Un inno alla peste! Ascoltiamolo! Un inno alla peste! Magnifico! Bravo! Bravo!
PRESIDENTE (canta)
Quando il grande freddo, destro condottiero, su di noi scaglia le sue aspre schiere dei nevischi e dei ghiacci, ardano crepitanti i caminetti e nei banchetti ci sia allegra animazione. Regina minacciosa, ora è la Peste che ci viene incontro, attratta da abbondante messe; e giorno e notte, alla finestra batte col suo funesto badile. Che fare? A chi chiedere aiuto? Dalla Peste difendiamoci, come dall’inverno fastidioso! In casa a piene luci, alte le coppe, nell’allegria i pensieri affoghiamo e tra danze e banchetti, il regno della Peste celebriamo! C’è l’estasi della battaglia, e dell’orlo d’un abisso, e del mare tempestoso con le sue nere onde minacciose, e l’estasi dell’alito lieve della Peste. Tutto, tutto ciò che sa di morte, procura al cuore umano inesplicabili piaceri – ipoteca, forse, d’immortalità! Felice chi, pur tra turbamenti, sa trovarli e riconoscerli. Dunque, gloria a te, o Peste! Noi non temiamo il buio delle tombe, non ci sgomenta il tuo richiamo! Dalle coppe spumeggianti, gioiosi il soffio aspiriamo della vergine-rosa forse… già contagiato dalla peste. (Entra un vecchio prete)
IL PRETE
Sacrilego banchetto, folli scellerati, con le vostre feste e i canti depravati profanate il tetro silenzio, diffuso, ormai, ovunque, dalla morte! Nell’orrore di tristi funerali, tra volti consunti, io al cimitero prego, mentre questo vostro cinico entusiasmo, il silenzio offende delle tombe e scuote la terra che ricopre i morti! Se la fossa comune non fosse benedetta dalle preghiere dei vecchi e delle donne io potrei pensare che dei demoni l’anima tormentino d’un empio, trascinandolo con risa giù all’inferno.
ALCUNE VOCI
Parla bene dell’inferno! Vattene vecchio! Vattene per la tua strada!
IL PRETE
Io vi scongiuro, per il sacro sangue del nostro Salvatore, morto in croce per noi. Questo mostruoso banchetto interrompete, se volete, in cielo, ritrovare le anime perdute dei vostri cari. Ritornate nelle vostre case!
PRESIDENTE
Tristi sono le nostre case, la gioventù ama la gioia.
IL PRETE
Non sei tu, Walsingham, quello che solo poco tempo fa, in ginocchio stringevi, tra i singhiozzi, tua madre morta e disperato gridavi sulla sua tomba? Non pensi che lei ora pianga, che non versi, lassù, amare lacrime, vedendo il proprio figlio come un empio banchettare, udendo la tua voce cantare, tra tante preghiere e tanti pianti, simili forsennate canzoni? Vieni via con me!
PRESIDENTE
Perché vieni qui, a tormentarmi? Io non posso, non devo seguirti: la disperazione, mi trattiene, insieme ad orribili ricordi e alla consapevolezza d’essere un fuorilegge, oltre all’orrore di quel vuoto mortale che in casa mia m’accoglie. Ma mi trattiene anche la novità di queste folli feste, e il benefico veleno di questa coppa e le carezze (Dio mi perdoni) d’una creatura morta, ma pur sempre cara… L’ombra di mia madre da tutto questo non mi staccherà. Troppo tardi sento la tua voce che mi chiama. Rispetto i tuoi sforzi per salvarmi… vecchio! Va’ dunque in pace; e maledetto sia chi ti seguirà! MOLTI Bravo! Bravo! Un vero presidente! Questo per te! Ora va’ via! Via!
IL PRETE
L’anima pura di Matilde ti chiama.
PRESIDENTE (si alza)
Giurami con la tua rugosa mano rivolta al cielo, di lasciare nella tomba quel nome ormai muto per sempre. Oh! Se ai suoi occhi immortali questo spettacolo potessi risparmiare! Una volta mi credeva puro, coraggioso, libero, conobbe il paradiso tra le mie braccia!… Dove sono? Divina creatura della luce! Io ti vedo laddove la mia anima perduta non potrà mai raggiungerti…
VOCE FEMMINILE
È pazzo! Delira, vede la moglie sepolta.
IL PRETE
Andiamo, su andiamo…
PRESIDENTE
In nome di Dio! Padre, lasciami!
IL PRETE
Che il Signore ti protegga!
Addio, figliolo!
(Esce. Il banchetto continua. Il presidente rimane assorto, immerso in profondi pensieri).

Festino in tempo di peste – Aleksandr Puskin

Novelle del defunto Ivan Petrovič Bjelkin – La figlia del capitano Puškin pdf ed altro di Puškin & C.

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Sergej RACHMANINOV Nié poï krasavista pri mnié ,Testo Puskin

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Жил на свете рыцарь бедный,il cavaliere povero Puskin – Rachmaninov Piano Concerto No. 1 in F# minor, Op. 1, II. Andante

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Puskin– Il talismano | controappuntoblog.org

Elegìa Puskin | controappuntoblog.org

Eugene Onegin, 1955 – Belov / Vishnevskaya / Lemeshev, Boris

Eugenio Oneghin di Aleksandr Puskin – Eugene Onegin …

Pikovaya Dama Act I – II – Pastoral – controappuntoblog.org

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Eugene Onegin, 1955 – Belov / Vishnevskaya / Lemeshev, Boris

Mazepa di Petr Il’ic Cajkovskij | controappuntoblog.org

Eugenio Oneghin di Aleksandr Puskin – Eugene Onegin Vishnevskaya Kibkalo Khaikin Complete Soundtrack 1958

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Pushkin His African Heritage by daily.jstor.org – piccole tragedie ed altro di Pushkin ; Rimsky-Korsakov: Mozart and Salieri

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Pique Dame

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Pikovaya dama) | controappuntoblog.org

Eugene Onegin, 1955 – Belov / Vishnevskaya / Lemeshev, Boris …

Eugenio Oneghin di Aleksandr Puskin – Eugene Onegin …

Pikovaya Dama Act I – II – Pastoral – controappuntoblog.org

Gli Zingari di Puškin in in romanes | controappuntoblog.org

Antonin Dvorak Rusalka : opera e film | controappuntoblog.org

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Eugene Onegin, 1955 – Belov / Vishnevskaya / Lemeshev, Boris …

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il carcere al tempo del coronavirus ora non ci restano che le lettere….e la rivolta

I colloqui in carcere al tempo del coronavirus ora non ci restano che le lettere…

La lettere di una compagna di un detenuto recluso in una delle carceri lombarde. Racconta le vicissitudini dei primi colloqui, quando ancora potevano essere svolti adottando precauzioni per evitare contagi. Scene surreali, la paura di avere qualche grado di febbre in più, la solitudine, la promessa di rivedersi alla prossima visita.Poi la brusca interruzione dei colloqui. Se ne riparlerà alla fine dell’epidemia

All’inizio il colloquio ha tenuto duro. Certo, con delle limitazioni, ma, in un momento emergenziale, del tutto accettabili e giustificabili. Colloqui vietati ai bambini sotto i 12 anni, un solo familiare ammesso ogni persona detenuta, obbligo dell’utilizzo della mascherina da parte del familiare, controllo della temperatura all’ingresso.

Il primo colloquio in tempo di coronavirus ha avuto una partenza a singhiozzo, prima confermato, in un secondo momento pareva dovesse essere stato annullato. Ma la speranza è sempre l’ultima a morire e così la mattina prevista mi reco lo stesso a colloquio. L’accesso agli uffici è sbarrato da un paravento e da una porta a vetro con un foro all’altezza della fronte. L’accesso si sarebbe effettuato previa compilazione di un’autodichiarazione in merito alla non residenza nella zona rossa e al controllo della temperatura. Fortunatamente il nuovo confine ha lasciato il libero accesso ai bagni ( senza sapone!) e alle macchinette distributrici di viveri e bevande. La giornata è calda e soleggiata, si sta volentieri fuori, al sole. Siamo solo in 5. La mascherina è il vero lasciapassare, un uomo non ce l’ha e si dispera; arriva da lontano, è sveglio dalle 3 del mattino, non può rinunciare al colloquio per via della mascherina. Le guardie non ne hanno: “sapevate che il colloquio si poteva fare solo con mascherina”. Quel “sapevate” è tutto da capire, visto che le notizie ciascuno se le è reperite da solo sui vari social o con il passaparola. Fortunatamente una signora estrae dalla borsa le introvabili mascherine e gliene offre una. In questi casi la solidarietà è forte.

Nell’attesa un po’ si legge, un po’ si fuma, un po’ si chiacchiera. Un ragazzo chiede come mai non ha visto posti di blocco lungo le strade: pensava di trovarsi nella zona rossa! In questo scenario, già in parte surreale, iniziano le operazioni di controllo. Al di là del vetro ci sono un’agente donna e una persona con il camice verde che brandisce lo strumento della selezione: un termometro ad infrarossi.

Il primo ad appoggiare la fronte al foro nel vetro divisorio supera la prova. Al secondo, invece, l’accesso viene negato: temperatura 37°. Anche alla seconda possibilità concessa dal potere il verdetto è negativo. L’incontro con il suo caro è rimandato. Da oggi le relazioni affettive in carcere hanno un nemico in più, la temperatura oltre i 37°. Anche per una seconda persona il termometro dice 37,4 e un altro familiare viene mandato via, la sola concessione è di far entrare il pacco. Io, al secondo diniego, mi spavento, sono rimasta un’ora al sole come una lucertola, prendo tempo e vado in bagno, polsi e fronte sotto l’acqua gelata. Obiettivo raggiunto. Entro e, per oggi, la mia relazione affettiva è blindata, da lì non si torna più indietro. Consegnati i pacchi e depositati gli effetti personali negli armadietti i controlli oggi sono quasi informali.

L’agente donna ci chiama: “donnine venite qui che vi controllo”. Eccezionalmente viene concesso di portare all’interno la regina Amuchina. La distanza di sicurezza ( droplet per i precisi) per noi parenti è facile da rispettare, siamo rimasti solo in tre. Fino a qui tutti indossiamo la mascherina, parenti e agenti. Nell’area colloqui, invece, le guardie non portano la mascherina. Visto che siamo in pochi ognuno è destinato ad una sala diversa, dunque, pericolo contagio per assembramento uguale a zero. Pochi attimi e arriva il mio compagno, spalle curve, volto provato, sguardo preoccupato, ed è senza mascherina.

Baci e abbracci; tempo 15 secondi irrompono nella stanza due guardie minacciose: “signora, se non rimette la mascherina sospendiamo il colloquio”. Mi dicono che il pericolo “viene da fuori” ( appunto, anche loro, come me, vengono da fuori, ma in questo luogo, dove sembra di starci solo per gentile concessione e non per diritto, meglio evitare polemiche). Fare il colloquio da soli nella stanza è molto bello. Non è necessario parlare a bassa voce per non aumentare il frastuono, ma anche per non far sentire agli altri i propri discorsi. La preoccupazione sono i tempi, il mio compagno, veterano del carcere, sa che ritornare alla normalità dentro richiede sempre molto più tempo, rispetto a fuori. Ci salutiamo con la promessa di rivederci la settimana prossima. La lontananza pesa molto e la voglia di rivederlo il prima possibile mi fa anticipare il secondo colloquio. Per non rischiare la bocciatura, mezz’ora prima del fatidico controllo temperatura prendo una tachipirina, male non fa.

Questa volta siamo in sei, tutte donne, tutte munite di mascherina e tutte in salute. A provare la temperatura non c’è più il “camice verde”, ma solo un’agente in divisa blu. Anche questa volta la perquisizione avviene “di gruppo”, tanto siamo tutte donne. Nella sala d’attesa sono comparse due nuove disposizioni. È fatto divieto per le persone detenute portare bevande e generi alimentari nella sala colloqui. Si deve sapere che, subito dopo i saluti, la prima cosa che tutti fanno è apparecchiare il tavolo, vale a dire mettere una tovaglia e poi riempirla con bibite, patatine, merendine… da consumare insieme. Una scarna riproduzione di un ambiente familiare, ma che in qualche modo rende felici e appaga il bisogno di intimità. Da oggi la tavola imbandita è fuori legge. L’altra disposizione riguarda i colloqui non consumati; per ogni colloquio annullato è possibile sostituirlo con una telefonata da 10 minuti.

La situazione appare sempre più grave e allarmante. Tuttavia, si va incontro al proprio caro con il sorriso, si cerca di pensare al futuro. Questa volta tanti abbracci ma niente baci, anche se la stanza è ancora una volta tutta per noi. Parlare con la mascherina modifica un po’ la voce e per chi non è abituato dopo un po’ diventa una tortura, eppure si fa finta di niente, l’importante è mantenere in vita la relazione, anche in regime di coronavirus. Io vorrei tornare un’altra volta a colloquio, nella stessa settimana, ma il rischio è di rimanere 15 giorni senza vedersi e dentro è tutto ancora più complicato. Le giornate trascorrono lente, senza fare niente, senza vedere nessuno, senza sapere. All’uscita dalla sala colloqui la guardia ci dice: “toglietevi pure un po’ la mascherina”. Distribuzione di umanità gratuita o tanto le mascherine non servono a nulla? Quando esci pensi al tuo compagno che ritorna nella stanza, sdraiato sulla branda ad aspettare che il tempo passi. L’unica immagine che ti consola è il pacco che a breve gli verrà consegnato con le cose cucinate, l’odore di casa riempirà la cella.

Io devo decidere se anticipare il prossimo colloquio, che nel dubbio ho già prenotato, ma il decreto 2 marzo 2020 n° 9 decide per me. a decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto sino alla data del 31 marzo 2020 i colloqui sono svolti a distanza. Chiamato l’ufficio colloqui mi conferma quanto sopra, ma vista la prenotazione già effettuata posso consegnare il “pacco”. Magra consolazione, ma per non soccombere ci si appella a qualsiasi brandello di normalità. Così, come ogni settimana, ho portato il pacco in carcere, solo che questa volta il pacco arriverà prima di me, anzi io non arriverò proprio. Tutto è rinviato al 31 marzo.

Nonostante le misure di precauzione adottate anche i colloqui sono stati spenti. Tra tutte le restrizioni di questi giorni questa è l’unica ad avere già una data così lontana. È già stabilito che per un mese non si faranno colloqui, comunque vadano le cose. Come a dire: ‘ una volta deciso non ci si pensa più’. Questo decreto ha reciso l’ultimo contatto vivo con l’esterno visto che tutto il resto era già stato soppresso nei giorni scorsi. I nostri cari sono soli, isolati. Si sta infliggendo a tutti, persone detenute e loro familiari, un regime di carcere duro, senza colpe. Ora, io che non ho il numero fisso autorizzato a ricevere le chiamate, posso solo aspettare che mi venga recapitata una lettera, forse tra una o due settimane.

I colloqui in carcere al tempo del coronavirus ora non ci restano che le lettere…

Coronavirus: rivolta in carcere a Modena, tre morti e 80 trasferiti

Nel penitenziario emiliano si sono registrati momenti di forte tensione che ancora non sono terminati, con i detenuti ancora barricati all’interno

Tre detenuti sono morti nel carcere di Modena, dove si è sviluppata oggi una vera e propria rivolta dei carcerati, circa 530, in segno di protesta per le restrizioni ai colloqui dovute all’emergenza coronavirus. Altri due si trovano in rianimazione: sono in corso indagini sull’accaduto, mentre si registrano ancora forti tensioni all’interno del penitenziario, dove gli agenti stanno cercando di rientrare forzando le sbarre.

“Devastato anche il carcere di Modena dopo quello di Salerno e di Poggioreale, trasferiti 70/80 detenuti in altre carceri”, dichiarano Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Francesco Campobasso, segretario nazionale. “Si tratta solo di quei detenuti – spiega Durante- che erano riusciti a raggiungere il cortile, per tentare di evadere. Al momento, ci riferiscono i colleghi, gli altri detenuti si trovano all’interno del carcere, dove sono barricati e probabilmente in possesso di armi improprie. Si sta valutando come e quando intervenire per ripristinare la legalità, all’interno di un carcere che, da quanto ci viene riferito, è ormai completamente distrutto”.

“Sembra sia stato addirittura incendiato anche l’ufficio matricola, dove sono custoditi i fascicoli dei detenuti” spiega ancora Durate. Una protesta, quella di questi giorni, che testimonia la situazione di grave insicurezza delle carceri. “Da tempo stiamo dicendo che nelle carceri non c’è piu’ sicurezza – conclude il segretario del Sappe – un solo agente deve gestire 70-80 detenuti e non si riesce più a garantore l’ordine.

Una situazione rispetto alla quale dovrebbero assumersi la responsabilità morale alcuni politici e amministratori che hanno governato il sistema penitenziario negli ultimi anni. Riteniamo anche assolutamente inopportuna la richiesta di indulto e amnistia fatte in questi giorni da alcune associazioni – conclude Durante – in piena emergenza coronavirus”.

https://www.agi.it/cronaca/news/2020-03-08/coronavirus-carcere-modena-7383460/

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Il Vangelo secondo Gesù di José Saramago

Il Vangelo secondo Gesù Cristo

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La storia ce l’hanno già raccontata. Prima Marco, Matteo, Luca e Giovanni. Poi, per tutti i duemila anni successivi, un po’ chiunque. Il figlio di Dio – fatto uomo nel grembo di una donna di nome Maria, sposata a un falegname – padre putativo di nome Giuseppe – scende sulla terra per redimere gli uomini dai loro peccati, morendo in croce per loro. Niente di nuovo, quindi, se non fosse per alcune variazioni sul tema; si comincia con un concepimento molto meno divino di quanto raccontato e dipinto nelle varie “Annunciazioni”, frutto di un rapporto carnale tra Maria e Giuseppe e non di un chiacchierata con l’Arcangelo Gabriele; si continua con Giuseppe che, salvato suo figlio dallo sterminio ordinato da Erode, verrà tormentato fino alla fine dei suoi giorni (33 anni, morto in croce per mano dei romani, causa equivoco) da sogni orribili e angoscianti. Gli stessi che, morto lui, farà Gesù, ma da una diversa prospettiva. Inquietato il ragazzo lascerà la sua casa, cosa assolutamente inaudita per un primogenito. Ma tant’è, Gesù cerca la sua strada, finisce per mettersi a servizio di un misterioso personaggio chiamato Pastore, facendo con lui il mestiere omonimo, e per quattro anni continua così, fino alla prima apparizione di Dio. Informato di essere legato a doppio filo alla divinità, la vera vita di Gesù inizia: nelle sue peregrinazioni l’incontro con Maria Maddalena, la prostituta con la quale conviverà, il lavoro da pescatore – o meglio, da procacciatore di pesci- i miracoli, gli apostoli, la morte cruenta…

È sicuramente un libro particolare a partire dallo stile asciutto, essenziale, con una punteggiatura – tipica dell’autore – molto poco ortodossa, in cui non c’è spazio per virgolette, punti interrogativi o altro; l’intenzionalità linguistica è data dal ritmo degli eventi e dall’interazione dei personaggi. Il contenuto, colpevole della violazione di qualche dogma (la verginità della Madonna) o la negazione della divinità di Cristo, ha fatto gridare allo scandalo nel cattolicissimo Portogallo, patria di Saramago, o in Italia, ma la vera matrice rivoluzionaria di questo libro non è la rivisitazione poco fedele dei fatti evangelici, bensì la spiazzante caratterizzazione dei personaggi. Giuseppe come da tradizione è paziente, fedele, ma qui appare anche incredibilmente più erudito, dignitoso e protagonista di quanto ci sia mai stato raccontato. È lui che percepisce la divinità del figlio, la vive e la accetta nei suoi conflitti interiori, mentre Maria, pur da spettatrice diretta di inequivocabili segni divini, è guardinga, spaventata – e ben lungi dall’essere la serva del Signore – non ottenendo guadagni immediati dalla “diversità” del figlio cerca di reprimerla con una petulanza e un’ottusità che rasentano la grettezza. E infatti, per questo umanissimo Gesù, la madre ha un ruolo marginale nella sua esperienza di vita; nella quasi passiva accettazione degli eventi che lo coinvolgono e che cerca di capire innalzandosi dall’esperienza concreta, lei, con le sue paure e la sua stupidità non fa altro che distrarlo, mentre molto pù determinante sarà il ruolo di Maria Maddalena, figura femminile dignitosa e discreta, a dispetto della sua professione. I due personaggi più interessanti, sono però Pastore, ossia Satana, e Dio. Immagini complementari e allo stesso tempo speculari: se dal primo ci aspettiamo crudeltà, otteniamo solo degli inquietanti momenti in cui le sue tentazioni ci appaiono se non allettanti, meno crudeli delle richieste di quello che dovrebbe rappresentare i buoni. Dio, infatti, non chiede a Gesù di morire per l’umanità: gli promette gloria in cambio di un incremento della sua fama. Anime come voti, rastrellate – questo non lo nasconde – pagando anche nei secoli un alto prezzo di dolore, sangue, guerre. Ma non si preoccupa né di questo, né della concorrenza del Diavolo. Non si tratta di salvare anime, si tratta di reclutarle, è una lotta per la popolarità. È un Dio sicuramente diverso da quello misericordioso della tradizione cattolica e che fa sembrare quasi simpatico il Dio degli ebrei che mandava cavallette e piaghe assortite. Una figura controversa, che cela la riflessione di uno scrittore dichiaratamente ateo sulla religione e sulle sue conseguenze sociali in termini di odio tra i popoli e strumentalizzazione. È certamente una scelta radicale e che può urtare la sensibilità dei credenti, quella di usare divinità e personaggi oggetti di culto come attori di questa rappresentazione dei mali del mondo; eppure è una lettura interessante, un punto di vista inedito ma in fondo rispettoso e non così distante dagli insegnamenti dell’etica cristiana. Consigliatissimo, a meno che non consideriate l’apertura mentale come un peccato mortale.

http://www.mangialibri.com/libri/il-vangelo-secondo-ges%C3%B9-cristo

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