I fratelli Karamazov di Petr Zelenka

Posted 03/27/2014 by Daria Pomponio

I fratelli Karamazov

di Petr Zelenka

Petr Zelenka rilegge, tra cinema e teatro, I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, per un’opera corale, sperimentale, crudele e ironica.

Siamo solo di passaggio

Polonia. In una calda giornata estiva un gruppo di persone viaggia verso un’acciaieria abbandonata: sono attori di un teatro di Praga, giunti per provare uno spettacolo tratto da I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, che si terrà il giorno successivo. Alcuni operai sono ancora al lavoro, le uniche creature viventi rimaste. Mentre le prove hanno inizio, la realtà penetra nella finzione teatrale, con la sua cruda tragedia: solo il giorno prima il figlio di uno degli operai è infatti caduto da una passerella e si è rotto la spina dorsale. [sinossi]

L’effimero e il suo potere deflagrante, la complessità e caducità dell’individuo – e di ciò che questi produce in vita – rapportata al suo peso sulla Storia. Sono solo alcuni dei temi portanti de I fratelli Karamazov del regista e drammaturgo cecoslovacco Petr Zelenka, lavoro complesso e ricchissimo che, dopo aver mietuto premi in tutto il mondo, raggiunge finalmente (il film è del 2008) le nostre sale grazie a Distribuzione Indipendente.

Protagonisti sono alcuni dei maggiori interpreti del teatro cecoslovacco contemporaneo, in trasferta in Polonia, nei pressi di Cracovia, per mettere in scena, all’interno di un festival che si svolge in un’acciaieria dismessa, un adattamento de I Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij. Tra le vestigia di un glorioso passato industriale oramai irrecuperabile, si muovono, oltre agli attori, anche gli ultimi operai della vecchia fabbrica. E il dramma di uno di loro, il cui figlio è caduto da una passerella il giorno prima e ora lotta tra la vita e la morte, finisce per scardinare l’andamento delle prove, provocando un innesto fatale tra realtà e finzione.

Dostoevskij incontra Stanislavskij in questo complesso lavoro animato da una continua dialettica tra realtà e rappresentazione e tra romanzo, teatro e vita. Ma non è tanto la reviviscenza e il vissuto degli attori a rendere “vere” le loro interpretazioni, bensì la tragedia presente, eppure nascosta ai nostri occhi, di una giovane vita che potrebbe spegnersi, e che diventa ben presto il motore immobile del racconto. Oltre al presente ne I fratelli Karamazov secondo Zelenka, gioca un ruolo fondamentale la Storia, quella della Polonia, della Cecoslovacchia e della madre Russia, che tutto soverchia o ha soverchiato ai tempi del blocco sovietico, qui rievocato in sagaci battute che pongono in luce un discorso potente sull’identità, nazionale e personale, che si fa strada inesorabilmente all’interno del film, pulsa dalle tempie degli attori, ora concentrati sul proprio lavoro, ora distratti e sfibrati da quello che li circonda.

Frutto di un lungo lavoro sul romanzo di Dostoevskij durato oltre dodici anni, il film di Zelenka lascia espandersi nello spazio e nel tempo i gravosi conflitti tra i protagonisti del libro, ovvero un padre e quattro figli, di cui uno illeggittimo, tutti, seppur in dosi differenti, assassini, idioti, erotomani, ubriaconi, santi e filosofi.
La centralità del dialogo, caratteristica dello stile del grande scrittore russo e della struttura polifonica dei suoi romanzi, ben si adatta a una resa teatrale e, ancor di più, si sposa perfettamente con l’universo plurimo messo in scena da Zelenka dove, proprio come nei romanzi di Dostoevskij, tutto è detto e nulla è mai rivelato una volta per tutte. E in tal senso, la soppressione dell’episodio centrale del libro, forse il più studiato e analizzato, ovvero La leggenda del Grande Inquisitore, appare come una scelta quanto mai appropriata. Il senso ultimo di quel capitolo, dove un Cristo tornato sulla terra affrontava l’inquisitore opponendovi solo il proprio silenzio per non privare l’uomo del libero arbitrio, aleggia infatti sull’intero film, si fa strada nei dialoghi tra i personaggi in scena per raggiungere infine la realtà degli attori e degli operai. L’umanissimo e vano anelito verso un senso da attribuire agli eventi (e all’evento sommo, ovvero la morte), appartiene d’altronde tanto ai personaggi dostoevskiani quanto agli interpreti di Zelenka, oltretutto impegnati nella ricerca ciascuno della vera natura del proprio personaggio.

Così, in un’acciaieria che non produce più acciaio, ecco che le parole di Dostoevskij cercano di connettere, ancora una volta, l’uomo con il divino e l’uomo con sé stesso, i suoi bassi istinti e la sua inalienabile libertà. Condanna o dono divino che essa sia. Trasportati dal flusso della rappresentazione, ci ritroviamo a vagare in questo luogo del non-senso e del non-più-senso, al fianco dei macilenti operai, spettatori spettrali, lacerti di un passato – industriale, artistico – glorioso e ora decadente, ridotto a mera scenografia per un festival-contenitore che riunisce in un’unica accozzaglia – volgare e vitale al tempo stesso – ballerini e marionette, arte alta e bassezze umane, esibizioni circensi e tragedie reali. Perchè forse, sembra volerci dire Zelenka, l’uomo è fragile, incompito e non necessario al pari dell’arte, forse il più alto e al tempo stesso il più labile tra i suoi prodotti.

Non manca un’alta dose di sapida ironia ne I fratelli Karamazov, che si riversa nei discorsi sul “tipico spirito russo” e dunque sulla sua vulgata, così come sulla religiosità del popolo polacco, ben incarnata qui dalla sua immagine per eccellenza: una foto di Giovanni Paolo II che viene prima dileggiata e poi, non a caso, sostituita da un’icona sacra.
Immaginario condiviso, Storia e realtà (quella dei corpi degli attori, quella fictionale ma diegeticamente vera, del dramma dell’operaio) sono dunque uniti in un intrico fieramente irrisolto, perché tutto è già stato detto, per il resto resta il silenzio, o il fuori campo, con la sua aperta e suprema tolleranza.

https://quinlan.it/2014/03/27/i-fratelli-karamazov/


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