CALVINO Da Le Citta’ invisibili : Argia, Isaura, Eusapia, Laudomia

Argia

Ciò che fa Argia diversa dalle altre città è che invece d’aria ha terra. Le vie sono completamente interrate, le stanze sono piene d’argilla fino al soffitto, sulle scale si posa un’altra scala in negativo, sopra i tetti delle case gravano strati di terreno roccioso come cieli con le nuvole. Se gli abitanti possono girare per la città allargando i cunicoli dei vermi e le fessure in cui s’insinuano le radici, non lo sappiamo: l’umidità sfascia i corpi e lascia loro poche forze; conviene che restino fermi e distesi, tanto è buio. Di Argia, da qua sopra, non si vede nulla; c’è chi dice: e non resta che crederci; i luoghi sono deserti. Di notte, accostando l’orecchio al suolo, alle volte si sente una porta che sbatte.

Isaura

Isaura, città dai mille pozzi, si presume sorga sopra un profondo lago sotterraneo.

Dappetutto dove gli abitanti scavando nella terra lunghi buchi verticali sono riusciti a tirar

su dell’acqua, fin là e non oltre si è estesa la città: il suo perimetro verdeggiante ripete

quello delle rive buie del lago sepolto, un paesaggio invisibile condiziona quello visibile,

tutto che si muove al sole è spinto dall’onda che batte chiusa sotto il cielo calcareo della

roccia. Di conseguenza religioni di due specie si dànno a Isaura. Gli dei della città, secondo

alcuni, abitano nella profondità, nel lago nero che nutre le vene sotterranee. Secondo altri

gli dei abitano nei secchi che risalgono appesi alla fune quando appaiono fuori della vera

dei pozzi, nelle carrucole che girano, negli argani delle norie, nelle leve delle pompe,

nelle pale dei mullini a vento che tirano su l’acqua delle trivellazioni, nei castelli di traliccio

che reggono l’avvitarsi delle sonde, nei serbatoi pensili sopra i tetti in cima a trampoli,

negli archi sottili degli acquedotti, in tutte le colonne d’acqua, i tubi verticali, i saliscendi,

i troppopieni, su fino alle girandole che sormontano le aeree impalcature d’Isaura, città

che si muove tutta verso l’alto.

Eusapia

Non c’è città più di Eusapia propensa a godere la vita e a sfuggire gli affanni. E perché il salto dalla vita alla morte sia meno brusco, gli abitanti hanno costruito una copia identica della loro città sottoterra. I cadaveri, seccati in modo che ne resti lo scheletro rivestito dipelle gialla, vengono portati là sotto a continuare le occupazioni di prima. Di queste, sono i momenti spensierati ad avere la preferenza: i più di loro vengono seduti attorno a tavole imbandite, o atteggiati in posizione di danza o nel gesto di suonare trombette. Ma pure tutti i commerci e i mestieri dell’ Eusapia dei vivi sono all’opera sottoterra, o almeno quelli cui i vivi hanno adempiuto con più soddisfazione che fastidio: l’orologiaio, in mezzo a tuttigli orologi fermi della sua bottega, accosta un’orecchia incartapecorita a una pendolascordata; un barbiere insapona con il pennello secco l’osso degli zigomi d’un attore mentre questi ripassa la parte scrutando il copione con le occhiaie vuote; una ragazza dal teschio ridente munge una carcassa di giovenca. Certo molti sono i vivi che domandano per dopo morti un destino diverso da quello che già toccò loro: la necropoli è affollata di cacciatori di leoni, mezzesoprano, banchieri, violinisti, duchesse, mantenute, generali, più di quanti mai ne contò città vivente. L’incombenza di accompagnare giù i morti e sistemarli al posto voluto è affidata a una confraternita di incappucciati. Nessun altro ha accesso all’Eusapia dei morti e tutto quello che si sa di laggiù si sa da loro. Dicono che la stessa confraternita esiste tra i morti e che non manca di dar loro una mano; gli incappucciati dopo morti continueranno nello stesso ufficio anche nell’altra Eusapia; lasciano credere che alcuni di loro siano già morti e continuino a andare su e giù. Certo, l’autorità di questa congregazione sull’Eusapia dei vivi è molto estesa. Dicono che ogni volta che scendono trovano qualcosa di cambiato nell’Eusapia di sotto; i morti apportano innovazione alla loro città; non molte, ma certo frutto di riflessione ponderata, non di capricci passeggeri. Da un anno all’altro, dicono, l’Eusapia dei morti non si riconosce. E i vivi, per non essere da meno, tutto quello che gli incappucciati raccontano delle novità dei morti, vogliono farlo anche loro. Così l’Eusapia dei vivi ha preso a copiare la sua copia sotterranea. Dicono che questo non è solo adesso che accade: in realtà sarebbero stati i morti a costruire l’Eusapia di sopra a somiglianza della loro città. Dicono che nelle due città gemelle non ci sia più modo di sapere quali sono i vivi e quali i morti.

Laudomia

Ogni città, come Laudomia, ha al suo fianco un’altra città i cui abitanti si chiamano con gli stessi nomi: è la Laudomia dei morti, il cimitero. Ma la speciale dote di Laudomia è d’essere, oltre che doppia, tripla, cioè di comprendere una terza Laudomia che è quella dei non nati.
Le proprietà della città doppia sono note. Più la Laudomia dei vivi si affolla e si dilata, più cresce la distesa delle tombe fuori delle mura. Le vie della Laudomia dei morti sono larghe appena quanto basta perché giri il carro del becchino, e vi s’affacciano edifici senza finestre; ma il tracciato delle vie e l’ordine delle dimore ripete quello della Laudomia viva, e come in essa le famiglie stanno sempre più pigiate, in fitti loculi sovrapposti. Nei pomeriggi di bel tempo la popolazione vivente rende visita ai morti e decifra i propri nomi sulle loro lastre di pietra: a somiglianza della città dei vivi questa comunica una storia di fatiche, arrabbiature, illusioni, sentimenti; solo che qui tutto è diventato necessario, sottratto al caso, incasellato , messo in ordine. E per sentirsi sicura la Laudomia viva ha bisogno di cercare nella Laudomia dei morti la spiegazione di se stessa, anche a rischio di trovarvi di più o di m eno: spiegazioni per più di una Laudomia, per città diverse che potevano essere e non sono state, o ragioni parziali, contraddittorie, delusive. Giustamente Laudomia assegna una residenza altrettanto vasta a coloro che devono ancora nascere; certo che lo spazio non è in proporzione al loro numero che si suppone sterminato, ma essendo un luogo vuoto, circondato da un’architettura tutta nicchie e rientranze e scanalature, e potendosi attribuire ai non nati la dimensione che si vuole, pensarli grandi come topi o come bachi da seta o come formiche o uova di formica, nulla vieta di immaginarli ritti o accoccolati su ogni aggetto o mensola che sporge dalle pareti, su ogni capitello o plinto, in fila oppure sparpagliati, intenti alle incombenze delle loro vite future, e contemplare in una sbavatura del marmo l’intera Laudomia di qui a cento o mille anni, gremita di moltitudini vestite in fogge mai viste, tutti per esempio in barracano color melanzana, o tutti con piume di tacchino sul turbante e riconoscervi i discendenti propri e quelli delle famiglie alleate e nemiche, dei debitori e creditori, che vanno e vengono perpetuando i traffici, le vendette, i fidanzamenti d’amore o d’interesse. I viventi di Laudomia frequentano la casa dei non nati interrogandoli; i passi risuonano sotto le volte vuote; le domande si formulano in silenzio: ed è sempre di sé che chiedono i vivi, e non di quelli che verranno; chi si preoccupa di lasciare illustre memoria di sé, chi di far dimenticare le sue vergogne; tutti vorrebbero seguire il filo delle conseguenze dei propri atti; ma più aguzzano lo sguardo, meno riconoscono una traccia continua; i nascituri di Laudomia appaiono puntiformi come granelli di polvere, staccati dal prima e dal poi. La Laudomia dei non nati non trasmette, come quella dei morti, una qualche sicurezza agli abitanti della Laudomia viva, ma solo sgomento. Ai pensieri dei visitatori finiscono per aprirsi due strade, e non si sa quale riserbi più angoscia: o si pensa che il numero dei nascituri superi di gran lunga quello di tutti i vivi e tutti i morti, e allora in ogni poro della pietra s’accalcano folle invisibili, stipate sulle pendici di un imbuto come sulle gradinate d’uno stadio, e poiche a ogni generazione la discendenza di Laudomia si moltiplica, in ogni imbuto s’aprono centinaia di imbuti ognuno con milioni di persone che devono nascere e protendono i colli e aprono la bocca per non soffocare; oppure si pensa che anche Laudomia scomparità, non si sa quando, e tutti i suoi cittadini con lei, cioè le generazioni si succederanno fino a raggiungere una cifra e non andranno più in là, e allora la Laudomia dei morti, e quella dei non nati sono come le ampolle d’una clessidra che non si rovescia, ogni passaggio tra la nascita e la morte è un granello di sabbia che attraversa la strozzatura, e ci sarà un ultimo abitante di Laudomia a nascere, un ultimo granello a cadere che ora è qui che aspetta in cima al mucchio.

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