Calvino fiabe : Il principe granchio – La scienza della fiacca – L’uomo verde d’alghe ovvero Baciccin Tribordo

Il principe granchio

C’era una volta un pescatore che non riusciva mai a pescare abbastanza da comprare la polenta per la sua famiglia.
Un giorno, tirando le reti, sentì un peso da non poterlo sollevare: tira e tira, era un granchio così grosso che non bastavano due occhi per vederlo tutto.
Il pescatore tornò a casa col granchio in spalla, e disse alla moglie di mettere la pentola al fuoco che lui sarebbe tornato con la polenta.
E andò a portare il granchio al palazzo del re per venderlo.
Il re gli disse: Ma cosa vuoi che me ne faccia di un granchio?
Vai a venderlo a qualcun altro.
Il quel momento entrò la figlia del re che pregò il padre di comprarle quel granchio, per metterlo nella peschiera insieme con i cefali e le orate.
Il re la accontentò. Il pescatore mise il granchio nella peschiera e ricevette una borsa di monete d’oro che bastava a dar polenta per un mese ai suoi figlioli.
La principessa non si stancava mai di guardare quel granchio e non s’allontanava mai dalla peschiera. Aveva imparato tutto di lui, delle sue abitudini, e sapeva anche che da mezzogiorno alle tre spariva, ma non sapeva dove andasse.
Un giorno bussò al palazzo un povero vagabondo e la figlia del re gli buttò dalla finestra una borsa di monete d’oro, ma il vagabondo non fu lesto a prenderla e la borsa cadde in un fosso.
Il vagabondo scese nel fosso per cercarla, si cacciò sott’acqua e si mise a nuotare.
Il fosso comunicava con la peschiera del re attraverso un canale, sotterraneo che finiva chissà dove. Continuando a nuotare il vagabondo si trovò in una bella vasca, in mezzo a, una gran sala tappezzata di tendaggi e con una tavola  imbandita.
L’uomo si nascose dietro i tendaggi.
A mezzogiorno in punto, spuntò fuori dall’acqua una fata seduta sulla schiena di un granchio.
La fata toccò il granchio con la sua bacchetta e, dalla scorza dell’anima
le, uscì fuori un bel giovane. Il giovane si sedette a tavola, la fata batté la bacchetta e nei piatti comparvero le vi- vande. Quando il giovane ebbe mangiato e bevuto, tornò nella scorza del granchio. La fata lo toccò con la bacchetta magica e il granchio la riprese in groppa e scomparvero sott’acqua. Il vagabondo tornò dalla principessa e le raccontò tutto quello che aveva visto.
Adesso so dove va il granchio da mezzogiorno alle tre! – disse la figlia del re.
Domani a mezzogiorno andremo a vedere insieme.
Ed ecco che l’indomani, a mezzogiorno, spuntò fuori la fata in groppa al granchio; la fata batté la bacchetta e il bel giovane uscì per andare a mangiare.
Alla principessa il giovane uscito dal granchio piacque moltissimo e subito se ne innamorò.
Così si infilò dentro la scorza vuota del granchio, senza farsi vedere da nessuno.
Quando il giovane rientrò nella scorza trovò quella bella ragazza e le chiese che cosa ci faceva.
Io voglio liberarti dall’incantesimo, insegnami cosa devo fare disse la figlia del re.
Devi andare su uno scoglio in riva al mare e metterti a suonare e cantare; la fata va matta per la musica e uscirà dal mare per ascoltarti e ti chiederà di suonare ancora.
Tu allora le dovrai chiedere che ti dia quel fiore che lei ha in testa: quando avrai quel fiore in mano, io sarò libero perché quel fiore è la mia vita rispose il giovane.
Il giorno seguente la ragazza si recò in riva al mare e, seduta su uno scoglio, cominciò a suonare il violino.
Dalle onde venne su la fata che chiese alla principessa di suonare ancora.
La giovane disse che in cambio voleva,  il fiore; la fata rispose: – Eccolo! – e lo buttò in mare più lontano che poteva.
La principessa si tuffò in acqua e riuscì ad afferrare il, fiore.
In quel momento sentì una voce che diceva: – M’hai ridato la vita e sarai la mia sposa
.

La scienza della fiacca

From: Italo Calvino Fiabe Italiane Ed. Mondadori

C’era una volta un vecchio Pocapagliese, che aveva un solo figlio. Per i Pocapagliesi, si sa, il lavoro è una punizione di Dio; perciò quando il figlio compie quattordici anni pensa di mandarlo a scuola ad imparare la scienza del non far niente.

Nella strada del Pocapagliese viveva un grande professore, conosciuto e rispettato da tutti perché nella sua vita non aveva mai lavorato. Il vecchio Pocapagliese, perció, va a parlare al professore e lo trova in giardino, sdraiato all’ombra di un albero di fico, con un cuscino sotto la testa e uno sotto la schiena. Il vecchio Pocapagliese decide, prima di parlargli, di nascondersi dietro ad una siepe ad esaminare il comportamento del professore.

Il professore stava fermo come un morto, a occhi chiusi, e solo quando un fico maturo cadeva lì vicino, allungava il braccio piano piano, lo portava alla bocca e lo mangiava. Poi ancora fermo come un morto, ad aspettare un altro fico.

«Questo è proprio il professore che fa per me», esce allora dalla siepe, lo saluta e gli domanda se può insegnare a suo figlio tutta la sua scienza.

– Uomo, – gli dice il professore con un filo di voce, – non parlare tanto, perché mi stanco ad ascoltarti. Manda qui tuo figlio, e basta.

Il vecchio Pocapagliese torna a casa, prende il figlio per mano, gli dà un cuscino e lo porta in quel giardino.

– Mi raccomando, – gli dice, – devi fare tutto quello che fa il professore.

Il ragazzo, già molto portato per quella scienza, si sdraia sotto l’albero e vede il professore che quando casca un fico allunga una mano per prenderlo e mangiarlo. «Perché quella fatica dell’allungare il braccio?», si dice, e sta sdraiato a bocca aperta. Un fico gli cade in bocca, attentamente lo manda giù e, poi, riapre la bocca. Un altro fico casca un po’ più lontano; non si muove, ma dice, piano piano: – Perché così lontano? Fico, cascami in bocca!

Il professore, vedendo quanto fosse colto il ragazzo, gli dice: – Torna a casa, perché non hai niente da imparare, anzi, io ho da imparare qualcosa da te.

E il padre fu tanto felice di avere un figlio così intelligente.

L’uomo verde d’alghe ovvero Baciccin Tribordo (Fiaba della Liguria) di Italo Calvino

C’era una volta, in un piccolo Regno affacciato sul mare, un Re disperato. (Il mare della Liguria? Chissà! Certo è che il mare ci fa pensare al viaggio; il mare, con il temperamento imprevedibile può mutare le sorti dei personaggi. In realtà, il mare di questa fiaba è piuttosto statico: non ci sono tempeste; onde altissime; correnti indomabili.)

La sua unica figlia, la Principessa reale, un bel giorno era sparita nel nulla, non lasciando alcuna traccia di sè. (Eccola qui la caratteristica di questo mare: è un mare che cattura e nasconde; viene infatti istintivo, leggendo, pensare che la fanciulla sia scomparsa in mare.)

Il Re aveva provveduto ad offrire una lauta ricompensa, oltre alla mano della giovane, a chi fosse riuscito a ritrovarla e a riportarla sana e salva nel suo Regno. Tutti i giovani più prestanti si erano impegnati in lunghe ricerche per Terra ma nessuno ancora aveva pensato di cercarla per mare… (Anche in questa fiaba compare una tematica spesso ricorrente: il Re, perduta la figlia, promette la stessa figlia in sposa all’uomo che la ritroverà. Non importa chi sia questo uomo, il Re non cerca un marito ricco, bello o potente ma cerca un uomo valoroso che riporti a casa la sua proprietà (la figlia) e così dimostri di saperla anche difendere. Difendere la figlia o il patrimonio che questa avrà in eredità?).

-E’ troppo pericoloso-dicevano-non si sa mai cosa può succedere una volta lontani da terra…e se arrivasse una tempesta? Un mostro marino? E se il vento ci portasse fuori rotta facendoci perdere nella vastità del mare? No, no non si può andare per mare a caso cercando qualcuno, in mare si va per pescare, per commerciare su rotte ben conosciute, al limite per combattere contro i nemici, ma così…. (Qui abbiamo l’atteggiamento consono e abituale, in base al quale, gli esseri umani agiscono; agiscono sempre come hanno imparato e il nuovo li spaventa ma…)

Un capitano esperto in rotte commerciali ed avvezzo all’arte  degli affari però , aveva fiutato un’opportunità per arricchirsi e diventare il futuro sovrano. Decise quindi di avventurarsi per mare con la sua nave in cerca della Principessa.- La prima cosa da fare,è mettere insieme una ciurma!-disse pieno di autorità da comandante. (…arriva a questo punto chi sceglie di fare diversamente dagli altri: arriva il creativo, il folle, il coraggioso che, con difficoltà, troverà dei compagni)
Ma cerca di qua, cerca di là, nessun marinaio era disposto ad andare con lui.

Dopo che ebbe cercato e chiesto e girato per tutto il regno, il capitano adocchiò uno strano marinaio: era Baciccin Tribordo. (Eccolo è lui, lo “strano”, ossia “fuori dall’ ordinario”)
Era come sempre molto ubriaco e si trastullava fuori dall’osteria da cui l’avevano buttato fuori per l’ennesima volta. (Quel “buttato fuori per l’ennesima volta” ci suggerisce che oltre che strano, il personaggio è anche un emarginato, un rifiutato dalla società. Come molti protagonisti di fiabe – i poveri; i bambini abbandonati a genitori e matrigne; le persone raggirate dagli altrui imbrogli – anche il nostro Baciccin avrà la sua rivincita).

Era tutto fuorchè presentabile. (Aspetto evidentemente asociale).

– Verresti sulla mia nave alla ricerca della Principessa?- (Si presenta una possibilità di riscatto).
Gli chiese il capitano.

-Perchè no?-rispose Baciccin-tanto qui non mi fanno più entrare… (Accettazione della sfida).

E così Baciccin fu il primo a salire sulla nave, portandosi dietro alcuni marinai che vedendolo, avevano preso coraggio e avevano deciso di tentare.

Una volta a bordo, Baciccin non faceva,come al solito, che ubriacarsi, dormire e ciondolare sghembo per tutta la nave, senza riuscire a fare nessun lavoro utile…

Gli altri marinai cominciarono a lamentarsi con il capitano e nessuno lo sopportava più. (Anche qui Baciccin è diventato un emarginato, uno “strano”).

-Baciccin-disse un giorno il capitano-scendi nella scialuppa e và ad esplorare quello scoglio che si vede in lontananza…
Appena Baciccin fu nella scialuppa, il comandante diede l’ordine di allontanarsi e lo abbandonò, solo, in mezzo al mare.
(A questo punto Baciccin non è solo un espulso dalla società ma la sua espulsione è avvenuta tramite l’inganno, diventa quindi vittima degli altri; questa vittima adesso, in base alla coerenza che ci si aspetta da una fiaba, dove la vittima ha la sua rivincita (a parte in Andersen) avrà sicuramente un colpo di fortuna.)

Se Baciccin si accorse o meno dell’accaduto, ubriaco com’era,  non ci è dato sapere…Comunque, a bordo della sua scialuppa, si avvicinò allo scoglio indicatogli dal capitano, ancorò la barca e scese a dare un’occhiata.
Sullo scoglio vide una grotta e senza tanto pensare ci entrò dentro
(La grotta è simile al mare: cattura e nasconde; per uscirne, così come per entrare,  si affronta di solito un labirinto o un mostro a guardia della sua entrata; anche qui Baciccin avrà a che fare con un mostro).

Era buia e umida e in fondo in fondo, legata con una catena di ferro, stava la Principessa!-Come hai fatto a trovarmi?

-Così…., andavo a caccia di polpi…-rispose Baciccin.

-Allora ti farà piacere sapere che è stato proprio un polpo gigante a rapirmi e ora mi tiene qui prigioniera.

Ma per tre ore al giorno, da polpo si trasforma in triglia, poi in gabbiano e alla fine vola via… (Una sorta di mostro: un polpo gigante che, da vero mostro, si trasforma da essere mostruoso in pesce e infine in uccello che vola via, come dire che il male (mostro) può giungere anche ad essere lieve e volare via).

-Intanto ti sciolgo dalla catena-disse Baciccin-poi si vedrà.

Quando il polpo arrivò, Baciccin attese che si trasformasse in triglia e la pescò con la sua rete.

Mentre stava per ucciderla però, si accorse che la triglia si stava già trasformando in gabbiano, così la colpì con un remo impedendogli di volare via .-Grazie mio salvatore! -esclamò la Principessa- voglio donarti questo anello reale per dimostrarti la mia gratitudine. (“Mio salvatore”, con questa espressione e la donazione dell’anello  la Principessa “accetta” l’uomo come suo sposo, prima ancora che il Re riconosca il salvatore della figlia) Baciccin, che era di poche parole, si mise  l’anello prezioso di diamanti luccicanti al mignolo, prese la Principessa per mano e disse- ora ti riporto da tuo padre, andiamo. Salirono sulla scialuppa e si misero in viaggio…
Dopo un pò scorsero una nave in lontananza: era la nave del capitano che aveva abbandonato Baciccin in mezzo al mare…
(Il viaggio ritorna, come accade nelle fiabe, al punto in cui la vicenda dello sventurato protagonista – Baciccin –  ha avuto inizio).

La nave si avvicinò e il capitano non credette ai suoi occhi quando vide la Principessa insieme a Baciccin Tribordo. (Notare che a questo punto Baciccin riacquista il cognome, ossia il riconoscimento sociale. Aveva un cognome prima di salire a bordo della nave, durante il viaggio e le avventure che ha dovuto affrontare, il cognome lo aveva perso è rimasto solo il nome Baciccin, come fosse stata sospesa la sua identità. Quasi al termine delle avventure e, vittorioso, è degno di essere di nuovo riconosciuto tra gli uomini).

-Cara Principessa, non vorrete mica dire a vostro padre di essere stata ritrovata da quell’ubriacone poco di buono…Ditegli che sono stato io a ritrovarvi e che lui ha soltanto eseguito i miei ordini… (Di nuovo si ricrea l’azione ingannatrice nei confronti di Baciccin…)

La Principessa, poco convinta, gli rispose che avrebbe saputo lei cosa dire al momento opportuno. (…ma il ruolo della donna nella fiaba, spesso è quello di raggirare, non con l’inganno ma con l’intuizione)

Il capitano, per sentirsi più sicuro, fece ubriacare per bene Baciccin, aspettò che si addormentasse del sonno pesante e senza ritorno causato dal vino e lo gettò in mare… (Il mare cattura di nuovo Baciccin come aveva catturato la Principessa: i due destinati a diventare marito e moglie).

Arrivati a terra, il Re organizzò una formidabile parata, e balli, e banchetti e chi più ne ha più ne metta e naturalmente diede per scontato che il valoroso che aveva trovato sua figlia fosse il capitano. Il giorno delle nozze, il corteo stava sfilando per il centro del paese quando qualcosa di veramente inquietante accadde:
un essere irriconoscibile, coperto di alghe verdi viscide e melmose, si avvicinava tranquillo verso il corteo spaventando tutti.
(Nel momento in cui tutto sembra andare verso il “vissero felici e contenti” la fiaba si ribella perché non è questa la coppia che sarà felice e contenta. Ecco il colpo di scena: rientra in scena Baciccin, l’uomo che non è stato fagocitato dal mare ma che nel mare ha vissuto a lungo, lo dimostra il fatto di essere coperto di alghe: il mare lo ha accolto nella sua vita e in qualche modo lo ha restituito al suo destino di fiaba).

Ma aveva qualcosa che brillava di una luce chiara e sfavillante e più si avvicinava, più la luce aumentava. (La luce che esplode dal corpo ricoperto di alghe è la luce dell’anello ma anche della verità che rivela la vera identità e come giustiziera colloca la vittima al posto del traditore).

-Il mio anello! -gridò la Principessa- è lui che mi ha salvato, padre. E’ lui che mi ha trovato su uno scoglio sperduto, mi ha liberato dalla prigionia e dal terribile mostro che mi teneva incatenata in una orrenda grotta. Io gli ho donato l’anello. Lo riconosco!- (La Verità).

A queste parole il Re si rivolse pieno di rabbia al capitano (La Giustizia).

-Come hai osato prendermi in giro? Pensavi di farla franca e riuscire sposare mia figlia indegnamente? Per tutto questo sarai punito!- Fece salire il capitano sulla piccola scialuppa e lo spedì in mare bandendolo per sempre dal suo Regno. (Il Capitano perde così la terra, la patria e sarà condannato a viaggiare attraverso quel mare che non gli è stato complice nel nascondere i suoi inganni).

Baciccin prese il posto del capitano nel corteo nunziale così com’era e si sposò con la Principessa.

Lei bianca come la Luna, lui verde come il Mare. (Il Mare e la Luna, il mare fa specchiare la luna e la luna provoca le basse e le alte maree. Sciagurato chi osa dividerli).

http://fiabeinanalisi.blogspot.it/2012/12/luomo-verde-dalghe-ovvero-baciccin.html

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