Libia, primi raid Usa anti Isis a Sirte : Riflessioni sulla guerra (Simone Weil)

Il grande errore di quasi tutti gli studi sulla guerra, errore nel quale sono caduti specialmente i socialisti, è di considerare la guerra come un episodio di politica estera, mentre costituisce innanzitutto un fatto di politica interna e il più atroce di tutti. Qui il punto non sono riflessioni sentimentali o un rispetto superstizioso della vita umana, ma un’osservazione molto semplice:

che il massacro è la forma più radicale di oppressione, e i soldati non si espongono alla morte, ma sono mandati al massacro. Come un apparato oppressivo, una volta costituito, sussiste finché non viene abbattuto, ogni guerra che fa pesare un apparato incaricato di dirigere le manovre strategiche sulle masse che vengono costrette a servire da masse di manovra dev’essere considerata come un fattore di reazione, anche se a farla sono dei rivoluzionari. Quanto alla portata esterna di una tale guerra, essa è determinata dai rapporti politici stabiliti all’interno: armi maneggiate da un apparato di Stato sovrano non possono apportare la libertà a nessuno.

È ciò che aveva capito Robespierre e che ha clamorosamente provato quella stessa guerra del 1792, dalla quale è nata la nozione di guerra rivoluzionaria. All’epoca la tecnica militare era ancora lontana dall’aver raggiunto il grado di centralizzazione odierno; e tuttavia, a partire da Federico II, la subordinazione dei soldati incaricati di eseguire le operazioni al comando supremo incaricato di coordinarle era rigidissima.

Durante la Rivoluzione,una guerra doveva trasformare la Francia, come dirà Barère, in un immenso accampamento, e di conseguenza dare all’apparato statale quel potere inappellabile che pertiene all’autorità militare.

È il calcolo che fecero nel 1792 la Corte e i Girondini: la guerra, che una leggenda troppo facilmente accolta dai socialisti ha presentato come uno slancio spontaneo del popolo insorto sia contro i propri oppressori sia contro i tiranni stranieri che li minacciavano, costituì di fatto una provocazione da parte della Corte e dell’alta borghesia unite in un complotto contro la libertà del popolo. In apparenza si sbagliarono, poiché la guerra, anziché apportare quell’unione sacra da loro sperata, esasperò tutti i conflitti, condusse il re, e poi i Girondini, al patibolo, e mise nelle mani della Montagna un potere dittatoriale. Il che non impedì che il 20 aprile 1792, giorno della dichiarazione di guerra, ogni speranza di democrazia svanisse per sempre; e al 2 giugno tenne dietro il 9 termidoro, le cui conseguenze dovevano ben presto portare al 18 brumaio.

A che servì del resto a Robespierre e ai suoi amici il potere che esercitarono prima del 9 termidoro?

Scopo della loro esistenza non era impadronirsi del potere, ma stabilire una democrazia effettiva, a un tempo democratica e sociale; per una cruenta ironia della storia, la guerra li costrinse a lasciare sulla carta la costituzione del 1793, a mettere in piedi un apparato centralizzato, a esercitare un terrore sanguinario che non riuscirono neppure a rivolgere contro i ricchi, ad annientare ogni libertà, e a farsi gli antesignani del dispotismo militare, burocratico e borghese di Napoleone. Almeno però rimasero lucidi fino all’ultimo. Due giorni prima di morire, Saint-Just scriveva questa formula profonda: «Sono soltanto quelli che partecipano alle battaglie a vincerle, e sono soltanto i potenti ad approfittarne». Quanto a Robespierre, non appena si presentò il problema, capì che una guerra non solo non avrebbe liberato nessun popolo straniero(«non si portala libertà sulla punta delle baionette»), ma per di più avrebbe consegnato il popolo francese alle catene del potere statale, potere che non si poteva più cercare di indebolire dal momento che bisognava lottare contro il nemico esterno.«La guerra va bene per gli ufficiali, per gli ambiziosi, per gli aggiotatori … per il potere esecutivo … È una scelta che dispensa da ogni altro impegno, quando gli si è data la guerra ci si è sdebitati con il popolo». Robespierre prevedeva sin da allora il dispotismo militare, e non smise di predirlo in seguito, malgrado i successi apparenti della Rivoluzione; lo prediceva ancora alla vigilia della sua morte, nel’ultimo discorso, e lasciò dietro di sé questa predizione come un testamento di cui quelli che si sono poi rifatti a lui non hanno purtroppo tenuto conto.

Riflessioni sulla guerra (Simone Weil)

Libia, primi raid Usa anti Isis a Sirte
Il premier Serraj: ho chiesto io l’aiuto
E l’Italia dà l’ok: raid da Sigonella

Il governo di unità libico ha chiesto raid americani contro l’Isis a Sirte, lo annuncia il premier Serraj. Prime operazioni già lunedì mattina.

Farnesina: «Positivi raid Usa»

http://www.corriere.it/esteri/16_agosto_01/libia-primi-raid-usa-anti-isis-sirte-la-richiesta-governo-libico-034791b8-57f9-11e6-834e-2ef55a586913.shtml

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