HDP has announced the death toll in today’s massacre in Turkish capital Ankara as 128 : LA STRAGE E’ DI STATO

HDP Crisis Desk: 128 people lost their lives in Ankara

HDP Crisis Desk has announced the death toll in today’s massacre in Turkish capital Ankara as 128.

As more reports of death are coming through from Ankara in the wake of the twin blasts that hit demonstrators for peace, HDP Crisis Desk has anounced that 128 people have lost their lives and 516 people have been wounded in the bloody attack.

Source: Firat News Agency

http://www.kurdishinfo.com/hdp-crisis-desk-128-people-lost-their-lives-in-ankara

It’s clear that the Turks are behind it. So we can assume that nothing will happen. Everytime the PKK declares a ceasefire, the turks attack them or kurdish civilians. Cause they want to provoke the PKK. Right after the terror attack, the turkish police attacked the survivors & people who wanted to help them with tear gas & water cannons. Also, the Government censors media coverage of the attack and blocks Twitter and Facebook for hours. Why are the always attacks against the Kurds & their left turkish supporters? Why not against the ruling party? Because a dog doesn’t bite the hand that feeds him.

 QUELLO CHE MI  SCONVOLGE E’ CHE PER TANTI COMPAGNI SONO PIU’ IMPORTARTI UNICREDIT E IL SINDACO MARINO. ORMAI SONO INDIFFERENTI AL RESTO ,E SI DICONO INTERNAZIONALISTI!

vittoria

L’Avamposto degli Incompatibili

Fuck Turkey Free Kurdistan Kurd Ankara

Così Erdogan tradisce il suo Paese

11/10/2015

roberto toscano

La Turchia è tornata in Medio Oriente. Un Medio Oriente dilaniato dai settarismi e dall’autoritarismo, e colpito da un feroce terrorismo. Gli oltre ottanta morti di ieri ad Ankara si sommano alle trenta vittime dell’attentato di luglio a Diyabarkir e – anche se mancano risposte definitive sugli autori – in nessuno dei due casi possono esserci molti dubbi.

La verità sta nella natura dei bersagli: in entrambi i casi si è trattato di manifestazioni convocate da forze progressiste, in particolare l’Hdp, il partito nato come curdo ma ormai punto di riferimento crescente, dopo aver superato alle ultime elezioni la soglia di sbarramento del 10 per cento per l’ingresso in Parlamento, dell’opposizione al regime di Erdogan.

I morti, e i numerosi feriti, appartengono a una Turchia giovane e democratica che si oppone ad una deriva politico-culturale che combina nazionalismo e islamismo – una deriva che appare ormai capace di annullare e invertire un ben diverso cammino, quello che sembrava destinato a portare il Paese verso condizioni sempre più avanzate di benessere e di integrazione con l’Europa. L’attacco radicale contro questa prospettiva non è arrivato da una ormai improbabile regressione golpista.

È arrivato da un partito, l’Akp, e da un leader, Tayyip Erdogan, che si erano presentati ai turchi e al mondo con una proposta apparentemente capace di garantire una maggiore integrazione nel sistema politico di masse conservatrici, rurali e religiose che la repubblica laica di Atatürk aveva tradizionalmente emarginato nel perseguimento di un disegno autoritario di accelerata modernizzazione ed europeizzazione.

Ebbene, con una progressione inesorabile e senza scrupoli, la «democrazia religiosa» di Erdogan si è rivelata una vera e propria frode politica, caratterizzata da un integrismo strisciante, un’intolleranza sfacciata, una repressione sistematica contro la stampa che osa non allinearsi con il regime e criticare il Capo.

E non si tratta solo di politica interna. Allo slogan degli esordi del primo governo dell’Akp, «zero problemi con i vicini» si potrebbe oggi sostituire il mussoliniano «molti nemici, molto onore». Gli errori si sono sommati, primo di tutti l’ostentata e ingiustificata sicurezza nel decretare che Assad avrebbe dovuto rapidamente abbandonare il potere. Non si tratta solo di errori, ma di un avventurismo pericoloso per la stessa sicurezza del Paese. Come definire diversamente il fatto che la Turchia ha permesso, anzi facilitato, il transito di «foreign fighters» in maggioranza certo non diretti a rinforzare le sparute schiere dei cosiddetti «ribelli democratici», ma piuttosto a unirsi al jihadismo più radicale, da quello affiliato ad Al Qaeda allo stesso Daesh? Ma se i confini diventano permeabili, lo sono nei due sensi, e non sembra azzardata l’ipotesi che gli attentati siano opera di Daesh, per cui i curdi sono i nemici più determinati – ben più credibili di quanto non lo sia la sceneggiata di una coalizione di cui fanno parte Paesi che notoriamente sostengono quel jihadismo che in teoria dovrebbero combattere.

Quello che è certo è che anche per Erdogan i curdi sono il nemico da neutralizzare, e che ormai il governo turco è più vicino all’islamismo radicale che non all’Europa e in genere all’Occidente. Non basta evocare la protezione degli alleati Nato nei confronti di un’inquietante, crescente presenza russa, e non funziona chiedere alla Ue (stile-Gheddafi) di essere indulgente a cambio di una più rigida attività di controllo sui flussi di migranti.

I democratici turchi ci rimproverano, e non a torto, di avere tardato troppo a renderci conto della vera natura di Erdogan e dell’Akp. Oggi comunque le ambiguità sono finite, e purtroppo c’è il pericolo non solo che la Turchia si allontani sempre più dall’orizzonte europeo, ma che si vada verso una crescente fusione fra islamismo e nazionalismo autoritario, con l’appoggio di vertici militari sempre meno ostili a Erdogan. Una tragedia per i turchi, una sventura per gli europei.

http://www.lastampa.it/2015/10/11/cultura/opinioni/editoriali/cos-erdogan-tradisce-il-suo-paese-10S1ay0PNCmPMBd5vntkNP/pagina.html


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