“Ma è nell’analisi dettagliata del materiale musicale concreto che Adorno cerca di identificare i modi in cui si realizzano, attraverso il procedimento compositivo, alcuni momenti del «sistema idealistico» di Beethoven. Il momento negativo, per esempio, si manifesta nell’apertura dell’Eroica (Terza Sinfonia in mi bemolle maggiore, op. 55) alla settima battuta, dove i violoncelli suonano un do diesis che non appartiene alla scala base di mi bemolle maggiore.”
http://users.unimi.it/gpiana/dm5/dm5welmo.htm
Adorno, Theodor Wiesengrund, Beethoven.
Torino, Einaudi, 2001, pp. 293, Euro, 24,79, ISBN 9788806137458
Recensione di Stefano Monetti – 31/12/2001
Estetica
Ci si potrebbe chiedere perché leggere proprio un libro anomalo, curioso e non classico come quello di Adorno su Beethoven: il libro di un filosofo che scrive di un musicista; un libro di natura non definita e per di più ordinato dal curatore Rolf Tiedemann sui quaderni di appunti che l’autore aveva appositamente destinato a quest’opera (segnandoli a lato con una B) che in vita non gli fu possibile portare a compimento. Eppure gli elementi di interesse sono molteplici: di certo Adorno era un pensatore dalla straordinaria retorica aforistica, per cui il fatto di trovarsi in mano dei frammenti non piegati all’esigenza di un saggio potrebbe quasi essere una fortuna – e alcune parti sono compiutamente elaborate, definitive. E poi Adorno era un esperto, un critico musicale, che scrisse numerosi libri e articoli sulla musica (tra gli altri una Filosofia della musica moderna), e per il suo pensiero il linguaggio musicale è l’accesso fondamentale ad una teoria sociologica che è esemplificazione della francofortese dialettica dell’illuminismo. Ha curato la pubblicazione di questo saggio per tutta la vita (queste annotazioni vanno dal 1934 a poco prima della morte, avvenuta il 1969), e in un frammento iniziale e programmatico afferma di voler ricostruire le modalità d’ascolto di quand’era bambino, a testimonianza di una passione straordinaria.
Forse per ben disporre ulteriormente un lettore ad un libro come questo potrebbe bastare una citazione: “Si dovrebbe dedicare particolare attenzione a certi passaggi sinfonici del Beethoven di mezzo, p. es. nello sviluppo del primo tempo della Quarta Sinfonia e nell’Eroica, dove la musica ‘appesa’, fissata a un qualcosa, sembra oscillare come un pendolo. Questi passaggi […] potranno essere riconosciuti facilmente dalla gestualità del direttore d’orchestra che li comprende e che in quei momenti si trasforma in colui che tiene in mano la musica sospesa, la tiene ferma con le mani sollevate, ma senza intervenire in essa. […] Vorrei chiamarli gli istanti della reificazione. Il loro particolare carattere di gioco deriva dal fatto che in essi ciò che è prodotto soggettivamente, e quindi proprio sulla via verso il suo dispiegamento dinamico, sembra rendersi indipendente dalla sua produzione. La forza soggettiva nel suo ‘processo produttivo’, cioè tecnicamente sulla via della sua modulazione diviene estranea a se stessa e si affronta come un’oggettività extraumana” (pag. 145). Questo movimento è analogo a quello individuato da Nietzsche come il gesto filosofico per eccellenza, quello di Platone: “sparire dietro le cose”, invitare a contemplare le idee dopo averle create; così il musicista lascia che la sua musica si emancipi dalla produzione soggettiva per acquistare un pathos di necessità propria. E il direttore d’orchestra impegnato a tenere in mano la musica di Beethoven senza intervenirvi è forse anche Adorno stesso, che comprende con il suo pensiero quella musica cercando di restituirne intatta la gioia dell’ascolto, invitando il lettore tramite la comprensione raffinata del critico.
Come restituire questa gioia? La capacità di Adorno di rendere linguisticamente le sensazioni musicali, il suo sforzo di piegare le parole alla complessità dell’ascolto si esemplificano bene in un aggettivo che egli utilizza a proposito di Mahler: “La sonorità di Mahler è saporosa, come in Austria si dice ‘saporosa’ [schmeckert l’uva Riesling. Il suo aroma, frizzante e inconsistente insieme, favorisce svaporando il processo alcolico” (pag. 87).
L’analogia che percorre tutto il libro è tra la musica di Beethoven e la filosofia di Hegel: il privilegio assoluto della totalità a scapito dell’identità tematica, la natura intrinsecamente dialettica, la necessitazione del particolare tramite la relazione con l’universale definiscono bene il classicismo beethoveniano. L’esemplarità di Beethoven si spiega in un certo rapporto tra musica e filosofia: “Il fatto che la musica possa dire soltanto ciò che le è proprio significa che parola e concetto non possono esprimere il suo contenuto in modo immediato, bensì soltanto in modo mediato, cioè come filosofia” (pag. 17). È la filosofia a fornire gli strumenti concettuali, le categorie di comprensione, a parlare per la musica.
Beethoven, specie nelle opere tarde, supera il proprio classicismo e dunque Hegel, poiché lascia vedere come la conciliazione dell’hegelismo sia solo una illusione ideologica: “Rispetto alla filosofia hegeliana la Nona Sinfonia ha meno fiducia nell’identità” (pag. 25). Si tratta del rapporto di Beethoven con la società borghese del suo tempo, che la sua musica esprime ma dalla quale riesce anche ad affrancarsi, spingendosi oltre. Così Adorno, che si sofferma spesso sullo stile tardo, ne propone uno schema di comprensione che va oltre il conformismo critico, specie a riguardo della enigmatica Missa solemnis, cui è dedicata l’intera parte X del libro: “La Missa solemnis è un’opera fatta di omissioni, di permanente rinuncia, ed è già uno di quei tentativi del posteriore spirito borghese che non sperano più di poter pensare e configurare l’universalmente umano concretizzando uomini e condizioni particolari, ma solo mediante un procedimento di astrazione […] la rinuncia a permeare il particolare non solo condanna la Missa solemnis ad essere un enigma, ma le imprime in senso superiore il marchio dell’impotenza, non tanto del compositore che fu grandissimo, quanto di uno stadio storico dello spirito che non è più o non è ancora in grado di esprimere ciò che qui tenta di dire” (pag. 211). Un’opera dunque opportunamente non riuscita per la posizione critica e la questione che pone, non matura per i tempi.
Le parti del libro meno speculative sono molto interessanti e curiose: qui Adorno descrive la personalità di Beethoven, esprime giudizi sulle opere fino a proclamare le sue preferite (l’Eroica su tutte), analizza tecnicamente alcuni passaggi, spiega ad esempio il rapporto tra musica e danza oppure perché la musica classica non sia fatta per essere ascoltata alla radio.
Un libro tutto sommato non difficile (i concetti filosofici utilizzati, se non creati appositamente da Adorno, sono spesso spiegati e vengono soprattutto da Hegel e in parte da Kant) ma di buon spessore filologico, scritto con lo stile accattivante che si riconosce al filosofo tedesco e arricchito da un importante apparato di note che riportano ampie citazioni e osservazioni chiarificatrici.
Indice
Prefazione del curatore. – Abbreviazioni. – I. ´Praeludium’. II. Musica e concetto. III. Società. IV. Tonalità. V. Forma e ricostruzione della forma. VI. Critica. VII. Prima fase e fase ´classica’. VIII. ´Vers une analyse des symphonies’. IX. Stile tardo (I). X. Opera tarda senza stile tardo. XI. Stile tardo (II). XII. ´Humanitas’ e demitizzazione. – Appendice. – Postfazione editoriale. – Tabella comparativa dei frammenti. – Indice dei nomi. – Indice delle opere.
L’autore
Theodor W. Adorno (1903-69), filosofo e saggista tedesco, è una figura fondamentale della Scuola di Francoforte. Sulle assi di un pensiero derivato da Kant, Hegel, Marx si è occupato di musica, letteratura, estetica, sociologia. Ha scritto opere fondamentali, tra le quali La dialettica dell’illuminismo (con Max Horkheimer), Minima moralia, Dialettica negativa.
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