Andrej Tarkovskij gli esordi – Dans le labyrinthe d’Andreï Tarkovski – Tarkovskij post

Non cadranno foglie stasera (Andrej Tarkovskij, 1959)

Gli esordi eccellenti di Andrej Tarkovskij con Non cadranno foglie stasera – di Nicola Palo.

Come già anticipato nella recensione de Gli uccisori, continuiamo il viaggio attraverso la crescita stilistica e poetica di Andrej Tarkovskij, seguendo fedelmente il percorso della sua attività produttiva. Se il primo lavoro era per molti versi acerbo, con il suo secondo film Non cadranno foglie stasera, il sentire tarkovskijano compie un netto balzo in avanti.

La trama è molto semplice: degli operai trovano dei missili tedeschi, risalenti alla seconda guerra mondiale, sotto una strada vicino ad una scuola. Un gruppo di soldati riuscirà nell’impresa di portar via i missili facendoli detonare in un luogo sicuro, senza che niente sia danneggiato.

A tratti stucchevole, la storia è di chiaro stampo apologetico: i soldati vittoriosi che festeggiano, l’ex pompiere che salva il capitano ormai stremato e rassegnato alla morte, il dottore che, incurante del pericolo, decide di rimanere in città ed operare un uomo in fin di vita, sono tutte storie che rendono omaggio alla grandezza non solo del popolo russo, ma anche della sua grande madre patria Russia. Del resto, il riferimento al nemico nazista, alla sua malvagità, in contrapposizione con la decisione dei soldati di immolarsi per salvare la città – da notare il riferimento ai palazzi in costruzione, come a sottolineare il continuo evolversi cittadino -, chiude il quadro del discorso apologetico.

Se la storia non è altro che un ricondursi al realismo sovietico di quegli anni, anche se supportata da una sceneggiatura niente affatto banale e da un’ottima prova degli attori, la regia e la poetica del regista giovano del tempo trascorso dal primo film. Ritroviamo le figure tipiche del sentire tarkovskijano, ovvero la natura coniugata nelle sue tre forme principali: l’acqua, la terra e l’unione tra le due. L’acqua, elemento imprescindibile della poetica del regista, comincia a ritagliarsi il suo spazio filmico. L’acqua che scorre da una fontana isolata, mentre la camionetta carica di missili si allontana in secondo piano, potrebbe essere senza problemi una scena di Stalker.

Anche la terra è di primaria importanza: la telecamera fissa che si dilunga sulle mani che, poco a poco, separano i missili dalla terra che poco alla volta si stacca, si sbriciola, rotola, in lunghi ed estenuanti silenzi scanditi da pochi movimenti tanto lenti quanto inesorabili, mette in primo piano un elemento che non mancherà mai nei film di Tarkovskij, sempre legato alla sua terra, la Russia. Elemento chiave è, però, l’unione tra i due elementi: fin da L’Infanzia di Ivan Tarkovskij indugerà sul fango e le pozze d’acqua circondate da terra e fango. Terra ed acqua che simboleggiano non solo il grande rapporto che Tarkovskij ha con la sua madre-patria, ma anche un lento ritorno all’utero materno, simbologia che troverà la sua piena espressione in Stalker.

Inoltre, nei film di Tarkovskij l’acqua ed il fango sono sempre collegati a momenti di passaggio, ad esempio il fiume ne L’infanzia di Ivan, o il percorso per arrivare alla stanza in Stalker. In Non cadranno foglie stasera inizia questa scoperta dell’acqua e del fango, soprattutto nella notevole  scena del trasporto dell’ultimo carico di missili (ancora, un momento di passaggio), durante la quale la telecamera indugia sul movimento delle ruote attraverso il fango, trasmettendo così, attraverso il suo occhio privilegiato, il senso di difficoltà ed angoscia istante dopo istante.

La regia, come già visto, offre momenti di assoluto lirismo: i dialoghi sono ridotti al minimo, come nella migliore tradizione tarkovskijana, e la telecamera, spesso fissa, cattura i sentimenti degli attori attraverso i movimenti del corpo, le espressioni, il trascorrere del tempo. Il movimento narrativo è dato dal montaggio che, specialmente nella parte centrale del film, è essenziale, a simboleggiare l’estrema lentezza dei movimenti di recupero, nonché a trasmettere un’angoscia ed una pesantezza fuori dal comune. A tratti sembra di far parte della squadra di recupero e di vivere l’esatta sensazione che si prova nell’estrarre dei missili carichi dalla terra. Il montaggio, comunque, ricollegandosi alla tradizione russa che fa capo ad Ejzenstejn, riesce a mantenere alto, quando ce n’è bisogno, il ritmo della narrazione, passando da un’estrema lentezza ad un incedere vivace e a tratti sincopato.

Con Non cadranno foglie stasera Tarkovskij, quindi, inizia il suo percorso introspettivo e poetico che lo accompagnerà per tutti i suoi film che, con sempre maggiore sensibilità e coscienza, analizzeranno gli elementi abbozzati in questo mediometraggio.

Piccola curiosità: in Non cadranno foglie stasera appaiono, per la prima volta sullo schermo, due tra i più grandi ed apprezzati attori russi della seconda metà del Novecento: Stanislav Lyubshin e Leonid Kuravlyov.

http://www.cinefatti.it/non-cadranno-foglie-stasera-andrej-tarkovskij-1959/

Il rullo compressore e il violino (Andrej Tarkovskij, 1960)

Il rullo compressore e il violino, terzo mediometraggio di Andrej Tarkovskij – di Nicola Palo.

Concludiamo il nostro percorso sulla crescita artistica di Andrej Tarkovskij con il suo terzo film, un mediometraggio di 43 minuti intitolato Il rullo compressore e il violino, presentato come prova finale del corso di regia dell’Istituto Statale Superiore di Cinematografia.

La storia si svolge nell’arco di una giornata e descrive l’incontro tra un bambino che studia violino ed un operaio che guida un rullo compressore. Sasha, il ragazzo, deluso dalla sua prestazione ad una prova d’esame e vessato dai suoi coetanei, grazie all’amicizia che nasce con Serghej, l’operaio, acquisterà fiducia in se stesso, suonando, come mai aveva fatto prima, in strada per il suo amico.

Gli uccisori era, dal punto di vista poetico, molto acerbo, anche se mostrava già notevoli intuizioni a livello di regia. Non cadranno foglie stasera mostrava un netto balzo in avanti, proponendo alcune tra le principali figure della poetica tarkovskijana. Con il suo terzo film Tarkovskij chiude il quadro delle sue immagini principali, raggiungendo una certa maturità sia stilistica che poetica (che poi troverà piena espressione nel suo primo lungometraggio L’infanzia di Ivan) anche se compressa in una storia dal sapore molto scolastico, costretto entro i limiti dell’ortodossia di regime. Ritroviamo, in questo film, i riferimenti all’acqua – il fiume, la pioggia, le strade bagnate -, ed al fango, con le innumerevoli pozzanghere che costellano il cammino dei due protagonisti, dei quali abbiamo già parlato.

Tarkovskij introduce però in questo film un altro elemento che caratterizzerà le sue pellicole successive: lo specchio e la tendenza a filmare il riflesso degli oggetti nella sua superficie. Da un lato questo si ricollega ai punti di vista della telecamera distorti, mai banali, che già si erano presentati ne Gli uccisori: il regista cerca inquadrature che spostino il punto focale, utilizzando riprese dal basso, di lato, attraverso fessure e porte, quasi a voler distogliere l’attenzione da quello che sta  succedendo agli attori verso il Tutto filmico che si sta creando. In questo senso le inquadrature attraverso specchi, vetri, acqua, che spezzano la luce e l’immagine, per poi moltiplicarla all’infinito, avranno un ruolo fondamentale nei grandi film di Tarkovskij.

Dall’altro lato gli specchi, ma in generale le superfici riflettenti, hanno la funzione di proiettare l’immagine in uno spazio irreale, in cui non solo la luce e la materia si infrangono, ma anche il tempo, che si dissolve per poi proiettarsi in una dimensione irreale, ricongiungendosi, infine, nella sintesi di realtà e virtualità dell’immagine-tempo. Le immagini colte attraverso lo specchio marcano l’impossibilità di discernere realtà e virtualità, presente e passato, vero ed immaginario, che non si producono, come una fantasia, nella mente dello spettatore, ma si propongono come atto caratterizzante delle immagini. Come scrive Deleuze: “l’immagine allo specchio è virtuale in rapporto al personaggio attuale che lo specchio coglie, ma è attuale nello specchio che lascia al personaggio soltanto una semplice virtualità e lo respinge fuori campo”. Facile intuire come lo specchio, oltre ad una notevole valenza poetica, si ricolleghi alle inquadrature di cui ho detto sopra.

La tematica dello specchio sarà fondamentale in Tarkovskij: da Nostalghia a Solaris, da Lo specchio a Stalker, non mancherà mai il riferimento a questo aspetto che ne Il rullo compressore e il violinista trova il suo primo, grande, sussulto.

http://www.cinefatti.it/il-rullo-compressore-e-il-violino-andrej-tarkovskij-1960/

Tarkovsky’s Ubiytsy (‘The Killers’ USSR – 1956): A wounded God bereft of hope

by Tony D’Ambr

Ubiytsy (‘The Killers’  USSR – 1956)

Directed by:
Marika Beiku (Instructor)
Aleksandr Gordon
Andrey Tarkovsky

Writers:
Ernest Hemingway – short story
Aleksandr Gordon and Andrey Tarkovsky – screenplay

Cinematography by Aleksandr Rybin and Alfredo Álvarez

Cast:

Yuli Fait -Nick Adams
Aleksandr Gordon – George
Valentin Vinogradov – Hitman Al
Vadim Novikov – Hitman Max
Yuri Dubrovin – 1st Customer
Andrey Tarkovskiy –  Customer
Vasili Shukshin  – Ole Anderson (‘the Swede’)

Ernest Hemingway wrote The Killers, his influential short story about a Chicago mob hit, in 1927.  The pared-down prose and hard-boiled dialog very much mirror the emerging pulp fiction of the period.  Dashiell Hammett’s first novel, Red Dust, was published in early 1929, and W. R. Burnett’s novella Little Caeser appeared in the same year.  But perhaps what distinguishes Hemingway’s story is its downbeat fatalism.  A fatalism that was to emerge a few years later in the early 30s in the French poetic realist films of Marcel Carne and others, and only to emerge in Hollywood movies  over a decade later in the early years of the classic film noir cycle.

Hemingway’s story is all of 10 pages long: an act in three scenes.  Two loquacious hit-men enter a dinner in the late afternoon in a sleepy diner in a God-forsaken burg.  They are there to kill the ‘Swede’, a guy who has a habit of having dinner at the diner around six.   Nothing personal, they don’t now the guy, strictly business – and they make no secret of it – one of the hoods telling the other more than once that he talks too much.  The Swede by seven has not turned up and the machinegun-toting men head out to find him. A patron called Nick that had been holed in the diner runs to the Swede’s boarding-house to warn him. The Swede is laying on his bed undecided on whether to go out, and when told of the hit-men accepts this news with weary unsurprise and then rolls-over on his bed to await his fate.  Nick returns to the diner telling the owner George of the Swede’s strange reaction. The story closes with these words:

“I can’t stand to think about him waiting in the room and knowing he’s
going to get it. It’s too damned awful.”

“Well,” said George, “you better not think about it.”

This is essentially the scenario that opens the classic 1946 film noir adaptation by director Robert Siodmak, also titled  The Killers.  That film’s screenplay by Anthony Veiller, Richard Brooks, and John Huston (uncredited), is not so much an adaptation of Hemingway’s story, but an imaginative response and more strongly a rebuttal to one of the last lines at the end of Hemingway’s text spoken by Nick, the guy who runs from the diner to warn the Swede of the killers’ arrival: “I’m going to get out of this town”, Nick said… “I can’t stand to think about him waiting in the room and knowing he’s going to get it. It’s too damned awful” After establishing the absolute resolve of the killers in the opening sequence, which is essentially faithful to Hemingway’s text, Siodmak’s picture ventures on to explore the burning questions in the mind of the audience.  What did the Swede do to warrant this retribution? Why doesn’t he run?  The Hollywood script was re-filmed in 1964 by director Don Siegel.

In 1956, the  soon-to-be-great Russian film director, Andrei Tarkovsky, was a film student at the USSR State Institute of Cinematography (VGIK).  As his first film project he chose Hemingway’s story. The 19 minute feature has been preserved and the very faithful adaption eloquently portrays the scenario’s underlying fatalism. I hesitate to credit the movie as a Tarkovsky effort as it is demonstrably a collaborative work where no individual dominates.  The cast and crew were all VGIK students, and the sets were designed and supplied by the students.    The screenplay is rightly stringent, the camera-work and editing fluid, the acting of a high order, and the direction accomplished.

Under the guidance of instructor Marika Beiku, the film is rendered in the same three scenes from the story.  The first and last scenes in the diner were directed by Tarkovsky, and the second scene in the Swede’s room at his boarding house by fellow-student Aleksandr Gordon, who also plays the diner-owner.  It may be an heretical view, but I consider Gordon’s segment superior.  It is shot close-up in a small room with subdued lighting and from low angles, producing a doomed claustrophobia, with an external window light producing somber shadows from a partially open-shutter.  The Swede is smoking and stubs his cigarette out on the wall besides his bed, with the camera lingering in a close-up on the wall as the stub is determinedly ‘rubbed-out’.

The acting is uniformly impressive.  Of course being students the cast is all young, but the intelligent casting of two baby-faced students as the two almost effete hoods was a stroke of genius.  The strongest performances are by Gordon as the diner-owner and Vasili Shukshin as the Swede.  Both inhabit their roles with a worthy gravitas and maturity.  Gordon as both director and actor makes the diner-owner a very deep character and his presence hovers as a wounded God bereft of hope yet perhaps still clinging to a sliver of compassion for the fools that strut the stage beyond his terrestrial lunch-counter.  Compare with the formulaic treatment of the diner-owner in Siodmak’s film as an inconsequential elderly ‘pop’ figure as scared as he is bewildered.

An original and essential film noir. Watch it here.  Read Hemingway’s story here.

http://filmsnoir.net/film_noir/takovskys-ubiytsy-the-killers%E2%80%99-ussr-1956-a-wounded-god-bereft-of-hope.html/


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