Chris Marker : Sans Soleil – On vous parle du Brésil: Tortures – Recuerdos del Porvenir, ecc…

Sans soleil

Enciclopedia del Cinema (2004)

di Bernard Eisenschitz

Sans soleil

(Francia 1982, colore, 100m); regia:

Sans soleil

Enciclopedia del Cinema (2004)

di Bernard Eisenschitz

Sans soleil

(Francia 1982, colore, 100m); regia: Chris Marker; produzione: Anatole Dauman per Argos; fotografia: Chris Marker, Sana Na N’hada, Jean-Michel Humeau, Mario Marret, Eugenio Bentivoglio, Danièle Tessier, Haroun Tazieff; montaggio: Chris Marker; musica: Michel Krasna; canto: Arielle Dombasle; voce: Florence Delay, (nella versione inglese) Alexandra Stewart.

Una serie di lettere scritte da un operatore cinematografico e lette dalla donna alla quale sono indirizzate. Sono commenti, informazioni e riflessioni sulle immagini che l’operatore ha ripreso in diverse parti del mondo: il Giappone, l’Île de France, la Guinea Bissau, Capo Verde, l’Islanda, San Francisco… La maggior parte delle riprese sono state realizzate da Chris Marker nel corso degli anni; alcune di esse sono invece prese a prestito da altri filmmakers, i cui nomi figurano nei titoli del film.

Sans soleil deve il proprio titolo all’ultimo ciclo di composizioni musicali di Mussorgski. La complessità della sua struttura ci ricorda come Chris Marker, nel tempo, si sia servito delle forme e dei mezzi cinematografici più disparati, dal super 8 al CD-Rom, dal cortissimo metraggio a una serie televisiva della durata di sei ore, passando per le opere destinate alle sale: ogni volta è il soggetto a determinare i mezzi tecnici da utilizzare e dunque il formato dell’opera, la sua durata, il pubblico al quale è destinata e il tipo di distribuzione di cui sarà oggetto. Alcuni film di Marker hanno l’aspetto di esperimenti, di riflessioni sulla loro stessa forma e insieme sulle forme basilari del cinema. Pur avendo una durata e un formato ‘regolari’, Sans soleil appartiene a quest’ultima categoria. Può essere considerato, in senso ampio, un documentario: ciò che la macchina da presa ha registrato, in tempi e paesi diversi, non è stato organizzato né ‘messo in scena’. Esiste tuttavia una traccia di vicenda immaginaria: l’operatore che scrive le lettere in realtà non esiste, i testi letti sono inventati, non c’è suono in presa diretta. Più che un documentario, dunque, un ‘film-saggio’ (secondo il termine coniato da André Bazin negli anni Cinquanta).

L’oscillazione tra documentario e fiction costituisce in realtà il nucleo stesso dell’opera. Persino alcuni primi piani sono oggetto di un processo di trasformazione finzionale, poiché il loro senso è determinato dall’interpretazione che ne dà il commento: “Tre bambini su una strada, in Islanda, nel 1965. Mi diceva che per lui erano l’immagine della felicità”. ‘Lui’ è il cineasta immaginario, il portavoce dell’autore, e nel film si fa strumento di varie ‘lezioni di cinema’: in una scena al mercato di Bissau una donna si sottrae all’obiettivo prima di concedergli il proprio sguardo, mentre il commento chiarisce ciò che nelle immagini è appena percepibile, ovvero la denuncia di un modo scolastico di filmare il cui scopo sarebbe quello di far dimenticare l’influenza che l’operatore esercita su ciò che viene filmato (“Esiste forse una cosa più stupida di quella di dire alle persone di non guardare in macchina, come insegnano nelle scuole di cinema?”). Un’altra tesi illustrata da questa sequenza consiste nella possibilità (utopica, perché Marker è cineasta dell’utopia e della distopia) che lo sguardo di chi filma coincida con quello di chi viene filmato: questione cruciale per Marker, che ‘diede la parola’ ad alcuni operai in À bientôt, j’espère, film la cui sfida consisteva proprio nel far passare il loro punto di vista alla televisione gollista nel marzo 1968.

Nel suo tracciato complesso, Sans soleil segue varie strade, nutre varie tracce: il mito del cineasta-cameraman, ma anche certe suggestioni della cultura giapponese (Sei Shonagon, dama di corte vissuta nell’undicesimo secolo “che aveva la mania degli elenchi”, elenchi delle “cose che fanno battere il cuore”) e la traccia di un ipotetico film di fantascienza intitolato appunto Sans soleil… Il soggetto principale e l’oggetto stesso del cinema di Marker, ancor prima dell’immagine, è però il tempo. L’exergo è tratto dalla prefazione di Bajazet di Racine: “La lontananza dei paesi compensa in qualche modo la troppo grande prossimità dei tempi”. Film sulla memoria, Sans soleil compendia tutti i film del suo autore, e come ogni altro offre un ‘secondo sguardo’ sul suo oggetto. Nel cinema di Marker, anche quando si tratta, come spesso negli anni Settanta, di film pensati come interventi nella e sull’attualità, il punto di vista del montaggio e del commento sembrano dissociarsi da quello di colui che ha filmato: la registrazione univoca della realtà è divenuta impossibile, afferma quest’ultimo in Le tombeau d’Alexandre (1992). E, in Le fond de l’air est rouge (1977), raccontando il successivo destino di personaggi una volta colti dalla sua cinepresa, l’operatore afferma: “Non si sa mai cosa si sta filmando”. L’operatore di Sans soleil scrive alla sua destinataria: “Avrei trascorso la vita a interrogarmi sulla funzione del ricordo, che non è il contrario dell’oblio, quanto piuttosto il suo rovescio. In realtà non si ricorda mai, ma si riscrive la memoria così come si riscrive la storia”.

bibliografia

G. Gauthier, 4001, odyssée de l’espace-temps, in “La revue du cinéma”, n. 380, février 1983.

Y. Lardeau, L’empire des mots, in “Cahiers du cinéma”, n. 345, mars 1983.

P.-L. Thirard, Ex-fans des sixties…, in “Positif”, n. 265, mars 1983.

D. Elley, Sunless, in “Films and filming”, n. 359, August 1984.

T. Rafferty, Marker changes train, in “Sight & Sound”, n. 4, Autumn 1984.

R. Bellour, La double hélice, in Passage de l’image, a cura di R. Bellour, C. David, C. van Assche, Paris 1990.

Testo: in “Trafic”, n. 6, printemps 1993 (trad. it. in Chris Marker, a cura di B. Eisenschitz, Roma 1996).

; produzione: Anatole Dauman per Argos; fotografia: Chris Marker, Sana Na N’hada, Jean-Michel Humeau, Mario Marret, Eugenio Bentivoglio, Danièle Tessier, Haroun Tazieff; montaggio: Chris Marker; musica: Michel Krasna; canto: Arielle Dombasle; voce: Florence Delay, (nella versione inglese) Alexandra Stewart.

Una serie di lettere scritte da un operatore cinematografico e lette dalla donna alla quale sono indirizzate. Sono commenti, informazioni e riflessioni sulle immagini che l’operatore ha ripreso in diverse parti del mondo: il Giappone, l’Île de France, la Guinea Bissau, Capo Verde, l’Islanda, San Francisco… La maggior parte delle riprese sono state realizzate da Chris Marker nel corso degli anni; alcune di esse sono invece prese a prestito da altri filmmakers, i cui nomi figurano nei titoli del film.

Sans soleil deve il proprio titolo all’ultimo ciclo di composizioni musicali di Mussorgski. La complessità della sua struttura ci ricorda come Chris Marker, nel tempo, si sia servito delle forme e dei mezzi cinematografici più disparati, dal super 8 al CD-Rom, dal cortissimo metraggio a una serie televisiva della durata di sei ore, passando per le opere destinate alle sale: ogni volta è il soggetto a determinare i mezzi tecnici da utilizzare e dunque il formato dell’opera, la sua durata, il pubblico al quale è destinata e il tipo di distribuzione di cui sarà oggetto. Alcuni film di Marker hanno l’aspetto di esperimenti, di riflessioni sulla loro stessa forma e insieme sulle forme basilari del cinema. Pur avendo una durata e un formato ‘regolari’, Sans soleil appartiene a quest’ultima categoria. Può essere considerato, in senso ampio, un documentario: ciò che la macchina da presa ha registrato, in tempi e paesi diversi, non è stato organizzato né ‘messo in scena’. Esiste tuttavia una traccia di vicenda immaginaria: l’operatore che scrive le lettere in realtà non esiste, i testi letti sono inventati, non c’è suono in presa diretta. Più che un documentario, dunque, un ‘film-saggio’ (secondo il termine coniato da André Bazin negli anni Cinquanta).

L’oscillazione tra documentario e fiction costituisce in realtà il nucleo stesso dell’opera. Persino alcuni primi piani sono oggetto di un processo di trasformazione finzionale, poiché il loro senso è determinato dall’interpretazione che ne dà il commento: “Tre bambini su una strada, in Islanda, nel 1965. Mi diceva che per lui erano l’immagine della felicità”. ‘Lui’ è il cineasta immaginario, il portavoce dell’autore, e nel film si fa strumento di varie ‘lezioni di cinema’: in una scena al mercato di Bissau una donna si sottrae all’obiettivo prima di concedergli il proprio sguardo, mentre il commento chiarisce ciò che nelle immagini è appena percepibile, ovvero la denuncia di un modo scolastico di filmare il cui scopo sarebbe quello di far dimenticare l’influenza che l’operatore esercita su ciò che viene filmato (“Esiste forse una cosa più stupida di quella di dire alle persone di non guardare in macchina, come insegnano nelle scuole di cinema?”). Un’altra tesi illustrata da questa sequenza consiste nella possibilità (utopica, perché Marker è cineasta dell’utopia e della distopia) che lo sguardo di chi filma coincida con quello di chi viene filmato: questione cruciale per Marker, che ‘diede la parola’ ad alcuni operai in À bientôt, j’espère, film la cui sfida consisteva proprio nel far passare il loro punto di vista alla televisione gollista nel marzo 1968.

Nel suo tracciato complesso, Sans soleil segue varie strade, nutre varie tracce: il mito del cineasta-cameraman, ma anche certe suggestioni della cultura giapponese (Sei Shonagon, dama di corte vissuta nell’undicesimo secolo “che aveva la mania degli elenchi”, elenchi delle “cose che fanno battere il cuore”) e la traccia di un ipotetico film di fantascienza intitolato appunto Sans soleil… Il soggetto principale e l’oggetto stesso del cinema di Marker, ancor prima dell’immagine, è però il tempo. L’exergo è tratto dalla prefazione di Bajazet di Racine: “La lontananza dei paesi compensa in qualche modo la troppo grande prossimità dei tempi”. Film sulla memoria, Sans soleil compendia tutti i film del suo autore, e come ogni altro offre un ‘secondo sguardo’ sul suo oggetto. Nel cinema di Marker, anche quando si tratta, come spesso negli anni Settanta, di film pensati come interventi nella e sull’attualità, il punto di vista del montaggio e del commento sembrano dissociarsi da quello di colui che ha filmato: la registrazione univoca della realtà è divenuta impossibile, afferma quest’ultimo in Le tombeau d’Alexandre (1992). E, in Le fond de l’air est rouge (1977), raccontando il successivo destino di personaggi una volta colti dalla sua cinepresa, l’operatore afferma: “Non si sa mai cosa si sta filmando”. L’operatore di Sans soleil scrive alla sua destinataria: “Avrei trascorso la vita a interrogarmi sulla funzione del ricordo, che non è il contrario dell’oblio, quanto piuttosto il suo rovescio. In realtà non si ricorda mai, ma si riscrive la memoria così come si riscrive la storia”.

bibliografia

G. Gauthier, 4001, odyssée de l’espace-temps, in “La revue du cinéma”, n. 380, février 1983.

Y. Lardeau, L’empire des mots, in “Cahiers du cinéma”, n. 345, mars 1983.

P.-L. Thirard, Ex-fans des sixties…, in “Positif”, n. 265, mars 1983.

D. Elley, Sunless, in “Films and filming”, n. 359, August 1984.

T. Rafferty, Marker changes train, in “Sight & Sound”, n. 4, Autumn 1984.

R. Bellour, La double hélice, in Passage de l’image, a cura di R. Bellour, C. David, C. van Assche, Paris 1990.

Testo: in “Trafic”, n. 6, printemps 1993 (trad. it. in Chris Marker, a cura di B. Eisenschitz, Roma 1996).

http://www.treccani.it/enciclopedia/sans-soleil_%28Enciclopedia-del-Cinema%29/





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