l’ultima opera di Rossini : Guillaume Tell Pesaro 1995 1 (act 1-2) – 2 (act 3-4) – Selva opaca Guglielmo Tell Anita Cerquetti

Non c’è una spiegazione unica e semplice sulla scelta di Gioacchino Rossini, allorché decise di non scrivere più un’opera lirica dopo il Guglielmo Tell. Era il 1828, il Maestro aveva appena 36 anni ed era il compositore più famoso al mondo (Beethoven era morto l’anno precedente). In quasi venti anni aveva composto dalle due alle cinque opere l’anno, e a quel punto, un po’ per motivi di salute, un po’ perché la moglie aveva una buona dote, ed infine anche grazie a saggi investimenti e ad ottimi consigli d’amici banchieri, aveva mezzi sufficienti per vivere. Inoltre, la monarchia francese (egli viveva a Parigi da diversi anni) gli stava per concedere un reddito annuo a vita, sia che scrivesse altre opere o meno.

La dimensione di quel “grande silenzio” abbraccia un periodo di 39 anni, dall’agosto del 1829 alla sua morte, nel 1868 (ben più delle intere vite dei vari Pergolesi, Bellini, Mozart, Chopin).

Sapendo che sarebbe stata la sua ultima opera, Rossini vi dedicò particolare attenzione e si prese cura più del solito anche del libretto. Una ragione era, forse, che per la prima volta l’opera sarebbe andata in scena all’Opéra di Parigi come prima rappresentazione. Infatti, le versioni francesi delle sue opere “serie” precedenti, Le siège de Corinthe (“L’assedio di Corinto”) nel 1826, e Moïse et Pharaon (basato sul “Mosè in Egitto”) nel 1827, avevano ottenuto un buon successo di pubblico, ma sia alcuni esponenti della stampa, sia certi critici del mondo musicale erano scettici dopo quelle due opere e il Comte Ory (“Il Conte Ory” su libretto di Eugène Scribe). Il maestro si preoccupava perciò di tutto. Anche degli interpreti.

Il 3 agosto 1829, Guillaume Tell poté finalmente andare in scena all’Opéra di Parigi gremita di un elegantissimo pubblico.

Gioacchino RossiniLa critica lo lodò. La Gazette de France scriveva che “l’entusiasmo prese sia il pubblico sia gli esperti”. Il Globe, ostile a Rossini da sempre, sosteneva che “con quest’opera era iniziata una nuova era per la musica drammatica”. Carlo X, il re di Francia, gli conferì la legion d’onore.

Si rilevano, nell’opera, incantevoli episodi epici e lirici, mescolando solisti e coro anche con un raffinato navigato mestiere, valere a dire con le inevitabili risorse del manierismo.

Rossini ha saputo evitare il rischio di una descrizione ambientale grazie alla sua maniera propriamente istintiva per cui ogni sentimento nasce sempre dalla concretezza della vita, mentre ogni pretesto evocativo o pittorico, ogni accento caratteristico è trasformato e perciò ripulito da ogni esteriorità. Rimane quindi, sia nella splendida ouverture, sia nei cori o nelle “danze” del III atto, un continuo fascino del paesaggio elvetico, il senso di una solenne attrattiva alpestre e di una quiete idilliaca.

Un importante critico, il Pannain, ha scritto: “Il Guglielmo Tell è la sintesi di tutte le opere di Rossini purificate dalle scorie del non-Rossini; è l’espressione integrale di un momento storico che supera il puro interesse musicale…È l’opera perfetta, perché in essa è compiuto l’ideale rossiniano che è da ricercarsi nell’atteggiamento spirituale, peculiare a certi stati d’animo dell’Europa post-napoleonica”.

E Delacroix, il famoso pittore, proclamava: “Le Guillaume Tell rompt avec les formules anciennes illustrées jusqu’à lui par les plus grands exemples. On ne trouvent que chez lui ces introductions pathétiques, ces passages souvent très rapides, mais que résument, pour l’âme, toute une situation, et en dehors de toutes les conventions» (Il Guglielmo Tell rompe con le vecchie formule arrivate fino a lui da grandi esempi. Non si trovano che con lui quelle introduzioni patetiche, quei passaggi sovente rapidi, ma che riassumono, per l’anima, tutta una situazione, e al di fuori di tutte le convenzioni).

Rossini usa con destrezza il corno, uno strumento tipicamente romantico, col suo suono vellutato, che s’avanza e svanisce in roche e agresti fanfare, ridesta l’eco dei dirupi rocciosi, taglia i luoghi boscosi.

Fino alla fine dell’Ottocento il Guglielmo Tell, sia nella versione francese, sia in quella italiana, venne rappresentato con una certa regolarità, poi la sua popolarità declinò; non diventò mai un’opera molto popolare di “repertorio”, ma resta un’opera straordinaria che, ben rappresentata, sa trascinare l’ascoltatore.

Rossini vi ha saputo fondere magicamente la magnificenza dell’opera seria, come Semiramide, con la commovente umanità di Cenerentola. È un’opera di proporzioni gigantesche: nella natura si fondono forze maestose e una serena distensione pastorale.

E, nello sfondo, si staccano nettamente le figure umane: genitori, figli, innamorati, difensori della patria. Una vasta gamma di sentimenti ed emozioni in un ambiente imponente, ma che Rossini affresca con infinita maestria.

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