Nazarín di Luis Buñuel

Nazarin regia di Luis Bunuel

Drammatico

recensione di Antonio Falcone

Am­bien­ta­to nel Mes­si­co d’i­ni­zio No­ve­cen­to, sotto la dit­ta­tu­ra di Por­fi­ro Diaz, il film ha come pro­ta­go­ni­sta Padre Na­za­rio (Fran­ci­sco Rabal), un prete cat­to­li­co “in­so­li­to”: ap­pli­ca alla let­te­ra il det­ta­to evan­ge­li­co, vive “po­ve­ro tra i po­ve­ri”, de­fi­ni­sce la pro­prie­tà come ap­par­te­nen­za delle cose a chi ne ha bi­so­gno e più che pre­ten­de­re e chie­de­re pre­fe­ri­sce sop­por­ta­re. Co­stret­to  a di­smet­te­re l’a­bi­to ta­la­re dopo aver ac­col­to nella sua abi­ta­zio­ne la pro­sti­tu­ta An­da­ra (Rita Ma­ce­do), ac­cu­sa­ta di omi­ci­dio, che lo se­gui­rà nelle sue pe­re­gri­na­zio­ni in­sie­me alla gio­va­ne Beatríz (Marga Lopez), ab­ban­do­na­ta dal­l’uo­mo di cui è in­na­mo­ra­ta, Na­za­rio vedrà la sua fede va­cil­la­re: il suo of­frir­si in­con­di­zio­na­to al mondo sarà in­fat­ti av­vol­to nelle spire sem­pre più av­vol­gen­ti di un’e­stre­ma com­mi­stio­ne tra Bene e Male, nel frain­ten­di­men­to fra la mi­se­ri­cor­dia ri­chie­sta e il sa­cri­fi­cio non pre­te­so da un Gesù reso di­vi­no, ma sem­pre uomo tra gli uo­mi­ni.

Ci­nea­sta estre­ma­men­te lu­ci­do nel suo vi­vi­do sar­ca­smo an­ti­bor­ghe­se, Luis Buñuel (1900-1983)  rien­tra nel no­ve­ro di quei pochi au­to­ri che nel corso della loro car­rie­ra sono riu­sci­ti ad evol­ver­si, a mu­ta­re il loro stile, man­te­nen­do  in­tat­ta l’i­spi­ra­zio­ne ori­gi­na­ria, nel caso spe­ci­fi­co pro­por­re una per­so­na­le vi­sio­ne della real­tà, cer­can­do una con­di­vi­sio­ne at­tra­ver­so la pro­po­si­zio­ne ci­ne­ma­to­gra­fi­ca, nella ferma ca­pa­ci­tà di co­glie­re, in ogni mi­ni­ma sfac­cet­ta­tu­ra, tutte le con­trad­di­zio­ni pro­prie del­l’uo­mo mo­der­no.

Dai fu­ro­ri ever­si­vi, nella forma e nel con­te­nu­to, delle prime opere, in piena ade­sio­ne al mo­vi­men­to sur­rea­li­sta, i me­dio­me­trag­gi  Un chien An­da­lou, ’29, e L’age d’or, ’30, scrit­ti in­sie­me a Sal­va­dor Dalì, sino al­l’ul­ti­mo film rea­liz­za­to, Quel­l’o­scu­ro og­get­to del de­si­de­rio, ’77, con­si­de­ran­do nel no­ve­ro anche al­cu­ne pel­li­co­le “ali­men­ta­ri”, volte cioè a tener conto delle esi­gen­ze di mer­ca­to, il ci­ne­ma di Buñuel si de­li­nea come  quel­lo pro­prio di uno spi­ri­to li­be­ro, per dirla con le sue stes­se pa­ro­le, “un’ar­ma ma­gni­fi­ca e pe­ri­co­lo­sa (…). Lo stru­men­to mi­glio­re per espri­me­re il mondo dei sogni, delle emo­zio­ni e del­l’i­stin­to”.

Nazarín, Gran Prix In­ter­na­zio­nal al Fe­sti­val di Can­nes del ’59, trat­to da un ro­man­zo di Be­ni­to Pérez Galdós,  per la sce­neg­gia­tu­ra di Julio Ale­jan­dro e dello stes­so Buñuel ( e la col­la­bo­ra­zio­ne ai dia­lo­ghi di Emi­lio Cor­bal­li­do), splen­di­da­men­te fo­to­gra­fa­to in bian­co e nero da Mi­guel Fi­gue­roa, co­sti­tui­sce uno dei primi mo­men­ti ri­fles­sio­ne del re­gi­sta spa­gno­lo su de­ter­mi­na­ti temi che ver­ran­no ul­te­rior­men­te ap­pro­fon­di­ti nelle opere se­guen­ti: cosa de­ter­mi­ni l’a­gi­re ter­re­no del­l’uo­mo e quan­to possa in­flui­re al ri­guar­do il credo re­li­gio­so, vi­sua­liz­za­to nelle sue de­ri­ve as­so­lu­ti­ste, uto­pi­che e su­per­sti­zio­se, che spes­so ne rap­pre­sen­ta­no l’a­dat­ta­men­to alle varie ne­ces­si­tà e cir­co­stan­ze in­con­tra­te ed af­fron­ta­te dal­l’u­ma­ni­tà nel suo cam­mi­no.

A metà stra­da tra una mo­der­na pa­ra­bo­la e l’a­po­lo­go mo­ra­le, la pel­li­co­la de­li­nea la fi­gu­ra di Na­za­rio es­sen­zial­men­te come un alter Chri­stus, nei modi ester­na­ti e in tutte le vi­cen­de in cui si trova coin­vol­to: il ri­fu­gio pres­so il prete che vive “ri­spet­tan­do la di­gni­tà del sa­cer­do­zio” (le ten­ta­zio­ni nel de­ser­to), le in­com­pren­sio­ni tanto con i la­vo­ra­to­ri (si la­vo­ra per la paga, non per un pezzo di pane) che con la clas­se isti­tu­zio­na­le, ci­vi­le e cat­to­li­ca ( i fa­ri­sei “se­pol­cri im­bian­ca­ti”), il dia­lo­go tra An­da­ra e Beatríz su chi sia la pre­di­let­ta (come le evan­ge­li­che Marta e Maria), l’ar­re­sto in un orto (Ge­tsma­ni), il con­fron­to con i due la­dro­ni, senza pro­mes­sa del Regno dei Cieli a quel­lo “buono”, bensì of­fer­ta da parte di que­st’ul­ti­mo di una ter­re­na real­tà (“A che serve la vo­stra vita? Io sono dalla parte cat­ti­va, voi dalla buona, ma non ser­via­mo a nien­te nes­su­no dei due”),  il mo­men­ta­neo va­cil­la­re (“Dio mio, Dio mio, per­ché mi hai ab­ban­do­na­to?”) di fron­te ad un gesto spon­ta­nea­men­te so­li­da­ri­sti­co (l’of­fer­ta di un frut­to) da parte di una con­ta­di­na, men­tre s’in­cam­mi­na verso la con­dan­na de­fi­ni­ti­va, solo, Ci­re­neo di se stes­so.

A di­stan­za di anni Nazarín man­tie­ne an­co­ra forte ed estre­ma­men­te at­tua­le l’i­dea di quan­to possa es­se­re uto­pi­co at­tua­re la vio­len­za “ever­si­va” del mes­sag­gio evan­ge­li­co, con­si­de­ra­to tanto let­te­ral­men­te, quan­to in una vi­sio­ne dot­tri­na­le ed isti­tu­zio­na­le: l’uo­mo è spin­to es­sen­zial­men­te dal bi­so­gno e per quan­to possa ele­var­si verso il cielo, più che rag­giun­ger­lo anela e pre­ten­de che sia que­st’ul­ti­mo a scen­de­re sulla terra, con­fon­den­do spes­so la ri­tua­li­tà con la su­per­sti­zio­ne, pur di ap­pa­ga­re la pro­pria vo­glia di vita, nel senso più ma­te­ria­le del ter­mi­ne, ar­ri­van­do a con­fon­de­re l’e­sta­si pro­pria­men­te detta con lan­guo­ri ben più cor­po­ra­li (la mo­ri­bon­da che alla ri­con­ci­lia­zio­ne con Dio pre­fe­ri­sce poter riab­brac­cia­re il suo uomo; l’i­ste­ri­smo com­pul­si­vo di Beatríz, in par­ti­co­la­re quan­do, in­cal­za­ta dalla madre, com­pren­de di amare Na­za­rio come uomo e non la sua spi­ri­tua­li­tà).

Come si evin­ce dal fi­na­le del film, è una mia per­so­na­le in­ter­pre­ta­zio­ne, la fede, per di­ve­ni­re au­ten­ti­ca­men­te uni­ti­va, do­vreb­be su­pe­ra­re il li­vel­lo me­ra­men­te con­fes­sio­na­le, fa­cen­do­si espres­sio­ne di una pro­fon­di­tà so­li­da­le tra es­se­ri umani, so­sti­tuen­do­la alla ca­ri­tà elar­gi­ta come ca­no­ni­co “do­ve­re”,  in nome di un Dio con­di­vi­so e con­di­vi­si­bi­le da tutti, pur nella di­ver­si­tà di ogni credo, per una nuova vita re­la­zio­na­le.

http://www.storiadeifilm.it/drammatico/drammatico/luis_bunuel-nazarin%28producciones_barbachano_ponce-1959%29.html



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