Die Rebellion von Joseph Roth Projekt Gutenberg – Il peso falso recensione e film

Die Rebellion von Joseph Roth – Text im Projekt Gutenberg

Joseph Roth

La ribellione

Traduzione di Renata Colorni
Piccola Biblioteca Adelphi
1989, 8ª ediz., pp. 155

Autore

Joseph Roth  

Risvolto

Fra tutti i romanzi di Joseph Roth, La ribellione (1924) è forse il più aspro e sconsolato. Siamo qui immersi nell’atmosfera torbida degli anni di Weimar. Andreas Pum, il protagonista, è un mutilato di guerra che ancora crede nell’ordine del mondo e degli uomini e sogna di gestire una rivendita di francobolli. Ma la sorte, dietro cui si maschera l’oppressione senza scampo esercitata dalla società, lo trasforma a poco a poco in un capro espiatorio, in un Giobbe inerme, costretto a riconoscere l’onnipresenza del male. È questo un estremo delle oscillazioni di Roth, al cui altro capo troveremo, alla fine, l’aura di grazia sovrana che investe La leggenda del santo bevitore. Ma i due estremi sono compresenti in tutta la sua opera, e ciascuno dà la forza all’altro.

https://www.adelphi.it/libro/9788845906688

Joseph Roth: La Ribellione
(Adelphi, Milano, 1989)

Si desidera uscirne al più presto. Dal momento in cui si incontra Andreas Pum nell’ospedale da campo XXIV alla sua morte, si desidera uscirne: al più presto.
Tuttavia non è possibile, perché la scrittura ti si avvinghia addosso come un destino, ti invischia, ti trascina, e tu già sai che ciò avverrà fino al fondo del fondo, fino appunto alla morte. Che ti auguri avvenga presto, perché sai che avverrà, che tutto conduce verso quell’esito, anche se sai che tutti sono già morti, ma quando la morte arriverà, succederà che neppure te ne accorgi.
Un perfetto teatro di Roth, un suo scenario tipico, con tutti quei personaggi inevitabili che già sai di trovare prima ancora di aprire il libro. Temi di trovarli, ma te lo auguri.
Con tutte le conseguenze dell caso: illusione, delusione, tradimento, inganno, abbandono, sfruttamento, apatia, insonnia, dissoluzione, mancanza di ogni senso umano e perfino divino. E ancora illusione, illusione, illusione, fino a sfinirti, perché i personaggi di Roth sono illusi allo sfinimento che non tarderà ad avvenire sotto forma di un’Autorità selvaggia e indifferente come solo un’illusione può esserlo. E non ti arriva tutto insieme, in una volta, che almeno ti levi il pensiero, ma goccia a goccia, con lentezza metodica come è metodico l’inesorabile. Che ti arriva camuffato da normalità, ed in effetti ti sembra normale e mentre ti ribelli ti sembra comunque giusto, che non può essere altro che così, al punto che ti ci abitui – e questa è la ccsa peggiore di tutte. E ti arriva che ti fa vomitare ma è bellissimo, perché confuso con pagine liriche di inegualiabile bellezza. E allora ci sguazzi in quello schifo e finisce che, rivoltandoti, ti piace e speri che l’illuso continui comunque a sforzarsi di crederci per continuare a trascinarsi almeno di fronte a ciò che non lo illuderà più: Dio. E di fronte a Dio Andreas Pum non esiterà ad affermare: voglio andare al’inferno!”
Dunque, preparatevi a desiderare di uscirne, perché vi sentirete male, sperando al contempo che la lettura non finisca mai, perché sentirete tutto quello che il romanzo vuole farvi sentire e normalmente non sentite. Preparatevi allora a desiderare di gettare il cuore nel cesso per non averlo più addosso; e preparatevi all’ennesimo – per chi lo ha già letto, o al primo, per chi non lo ha ancora fatto – incontro con Roth , questo stradannatissimo poeta che, come altri stradannatissimi poeti, è capace di trasformare in meraviglia tutto lo schifo del mondo.
Giovanni Baldaccini

https://scrivereperimmagini.wordpress.com/2016/05/24/joseph-roth-la-ribellione/

Joseph Roth

Il peso falso

Traduzione di Luciano Foà
Piccola Biblioteca Adelphi

Risvolto

Scritto nel 1937, Il peso falso appartiene, come La leggenda del santo bevitore, al periodo ultimo di Roth, nel quale i suoi scritti, pur mantenendo intatto l’impianto realistico, sembrano naturalmente riferirsi, in trasparenza, a un significato ulteriore. Così questa storia di un verificatore dei pesi e delle misure che si trova a scoprire che attorno a lui tutti i pesi sono falsi diventa un apologo sui temi perenni della giustizia, della passione e della colpa. Ma, soprattutto, in queste pagine uno sguardo chiaroveggente sembra posarsi sullo schiudersi di un mondo dove la falsificazione è la normalità stessa.

https://www.adelphi.it/libro/9788845907326

la storia del verificatore spedito ai confini con la  Russia, è la storia di una caduta che pare essere destino inevitabile non solo di una generazione, di un popolo e di un mondo al tramonto, ma della stessa condizione umana. Roth è un maestro.

Joseph Roth : Il peso falso

Di giovanni baldaccini

Non andate a Zlotogrod.
A parte la difficoltà di raggiungere il luogo, posto alla frontiera del mondo, non vi troverete che feccia, contrabbandieri, ladri e assassini. Vi troverete Eufemia Nikic: meglio evitare.
Vi si è invece recato Eibenschutz, per incarico di lavoro.
“Nei primi giorni Eibenschutz andava intorno come uno che fosse diventato improvvisamente sordo. Egli non capiva la lingua del paese. E bisogna badare che non si trattava di capire ciò che diceva la gente, ma ciò che diceva il paese stesso. E il paese aveva un linguaggio pauroso: parlava di neve, di oscurità, di gelo, di ghiaccioli, per quanto il calendario discorresse ormai di primavera e nei boschi della Bosnia fiorissero ormai da gran tempo le viole. A Zlotogrod vi erano invece le cornacchie e non parevano neanche uccelli: si sarebbero dette una specie di frutti alati”.
Eibenschutz svolgeva un incarico importante: faceva il verificatore di pesi e misure: Era un incarico importante il suo, ma scomodo in un paese di ladri, dove tutti rubavano sui pesi. Eibenschutz aveva pertanto molto da fare e si spostava sul suo barroccio giallo, trainato da un vecchio cavallo diventato misteriosamente cieco da un occhio, da una frazione all’altra, fino all’osteria di Jadlovker.
“Nell’osteria di Jadlovker si faceva molto rumore. C’erano alcuni disertori russi appena portati dal contrabbandiere Kapturak: vestivano ancora la loro uniforme. Per quanto tracannassero quantità incredibili di tè e grappa e portassero sulle spalle grandi asciugamani per tergersi il sudore, davano tuttavia l’impressione di gente che morisse dal freddo: tanto si sentivano già senza patria a una sola ora dalla frontiera”.
E non potrebbe essere altrimenti: non c’è patria nel mondo di Roth: tutto è scomparso. Sopravvive soltanto il peggio.
Come dicevo, Eibenschutz faceva un lavoro importante ma scomodo. L’odio pendeva intorno a lui come i ghiaccioli dai rami, perché Eibenschtz era zelante e i ladri non perdonano se li fai arrestare. A Zotlogrod rubavano tutti. Dunque, tutti rubavano, la moglie lo tradiva, Eufemia lo faceva impazzire. Quando se la trovò davanti gli sembrò di avere di fronte a sé tutte le donne: erano troppe e si finisce per sentirsi solo.
“Nella sua infinita solitudine, quel paio di conoscenti gli facevano l’effetto di mosche sperdute in un deserto di gelo”. Tuttavia Eibenschutz non era davvero solo: qualcuno pensava a lui. No, non Eufemia, che non pensava che a se stessa; era Jadlovker, uscito di galera, e i suoi non erano pensieri rassicuranti.
“Si ritrasse dalla finestra e stette in ascolto davanti alla porta, mentre lo prendeva una voglia spaventosa e irresistibile di uccidere. Egli non pensava già più allo scopo dell’uccisione, ma soltanto all’uccisione stessa. Non pensava alla sua sicurezza, pensava soltanto a uccidere, e un’ondata di voluttà e di odio gli empiva il cuore. Tutto era spietato in quella notte e in questo mondo. Fredde e argentee, di un argento gelido e quasi odioso, splendevano le stelle nel cielo. Jadlovker alzava gli occhi e provava un grande odio per il cielo e per le stelle. E dire che in carcere le aveva tanto desiderate!”
Tutto deve morire nel mondo di Roth perché il suo mondo era morto. E Eibenschutz muore, se mai era stato vivo, lui integerrimo burattino, ligio fino al sacrificio; lui, più ladro di tutti perché troppo perfetto per essere vero; e cieco, racchiuso, sordo, ladro almeno di una metà di sé, quella metà che, alla fine, gli si presenta. Da morto.
“Piotrak credeva di portare un morto e pensava che il verificatore, trovato là davanti la stalla, fosse stato colpito da un accidente. Invece non era così. Il verificatore incominciava sì a morire, ma viveva ancora. Che ne sapeva lui, poveraccio, del colpo di pietra che aveva ricevuto nella testa? Che ne sapeva lui di essere stato legato con le funi sopra una slitta? Mentre lo credevano morto avvenivano in lui tutt’altre cose”.
Avveniva che lui non era più Eibenschutz il verificatore, ma un commerciante di Zlotogrod, e dunque un ladro. E avveniva che era sottoposto ad accertamento: “Bene, facciano pure, dice tra sé Eibenschutz. Sono falsi, ma che ci posso fare?” E che ne sapeva lui, che ci poteva fare se tutto è falso, compresi i pesi che portiamo e che servono a valutare l’immagine falsa che indossiamo; e che ci possiamo fare se poi falsifichiamo e la valutazione risulta falsa, e inganniamo gli altri perché siamo ladri e dunque inganniamo noi stessi? Alla fine, poveracci, che ci possiamo fare?
“In quel momento il gendarme raggiunse l’ospedale di Zlotogrod. Eibenschutz fu scaricato, e quando arrivò il medico di guardia, il gendarme Piotrak si sentì dire: costui è morto. Perché ce lo portate qua?”

https://scrivereperimmagini.wordpress.com/2013/07/07/joseph-roth-il-peso-falso/

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