Perché Mr. Robot è una serie tv capolavoro
Basta questa scena – circa quindici secondi di girato, pochi frame, un vis-à-vis tra due dei protagonisti della serie – per fare di questo prodotto un capolavoro. E attenzione: capolavoro, qui, non è inteso come “perfetto” o “irraggiungibile”. Al contrario. Mr. Robot è pieno di errori, di incertezze e di titubanze, nella trama e nella narrazione. Ma è proprio per questo che funziona. Perché con i suoi alti e bassi – lievissimi, quasi impercettibili – mantiene costantemente alta l’attenzione dello spettatore. Che non sa, non veramente. Che sospetta e che, per buona parte della stagione, può solo immaginare.
Ieri sera doveva andare in onda il finale di stagione. USA Network, però, dopo la sparatoria in Virginia in cui hanno perso la vita due giornalisti, ha deciso di posticiparlo al 2 settembre.
“Perché”, si legge nei comunicati ufficiali “c’erano molte somiglianze tra l’attualità e alcune scene”. Tratteniamo il respiro, allora: ancora una settimana e sapremo, finalmente, come andrà a finire.
Eppure non è osare troppo etichettare già questa serie tv come il vero, grande successo di questa estate. Non è osare troppo e, probabilmente, non è nemmeno troppo corretto: perché Mr. Robot è molto più di questo. È un prodotto coraggioso, inatteso, un fulmine a ciel sereno nella calma (quasi) piatta della stagione televisiva. Meglio di True Detective per qualcuno. Un piccolo cult da venerare, per qualcun altro.
Sam Esmail, il creatore, non si è limitato a prendere un’idea e a “spalmarla” in dieci puntate, assottigliandone così il contenuto e, soprattutto, la qualità. Ma ha fatto di quell’idea il centro del suo racconto, in un universo parallelo dove i protagonisti sono come piccoli sistemi solari imperscrutabili e lontani tra loro anni luce, e dove ogni battuta, richiamo, cenno è un omaggio – nemmeno tanto velato – alla cultura pop degli ultimi anni. C’è Ritorno a Futuro, c’è Pulp Fiction; ovunque si respira l’aria del bestseller di Chuck Palahniuk. Schizofrenico, incostante, allucinato. Le parolacce tagliate a metà, zittite, perché USA Network è una tv generalista.
Il protagonista di Mr. Robot è un ragazzo, Elliot Anderson, interpretato magistralmente da Rami Malek (“che succede”, si è chiesto qualcuno, “quando un nero interpreta un bianco?”). È un hacker, è depresso ed è prossimo alla sociopatia. Occhiaie profonde, pelle scura impallidita, fronte alta e capelli ricci. Le labbra carnose. Parla piano, con calma, rivolgendosi a un amico immaginario (noi?), e restando sempre in bilico, come un funambolo, tra la quarta parete e la realtà fittizia della serie tv. Il “cattivo” è una megacorporazione, una multinazionale, la Evilcorp. L’obiettivo di Elliot – e di altri hacker come lui – è quella di mettere KO la Evilcorp e di fare, finalmente, giustizia. (E non diremo altro sulla trama, per non rovinarvi la sorpresa).
Se non l’avete ancora vista, questo è il momento giusto per recuperarla: prima che vada in onda la decima e ultima puntata. Rimarrete incollati allo schermo; vi sentirete rabbrividire quando Elliot, come il Frank Underwood di House of Cards, volgerà lo sguardo alla camera e vi parlerà. “Tu mi senti, vero? Tu sapevi. Hai sempre saputo”.
Questa è l’ennesima dimostrazione che la televisione è la piattaforma ideale per sviluppare prodotti più interessati alla continuity temporale e più attenti alla scrittura e alla storia, al contesto e all’idea.
Il piccolo schermo è il futuro? Non lo sappiamo. Sicuramente, però, è il presente.
http://www.wired.it/play/televisione/2015/08/27/perche-mr-robot-e-una-serie-tv-capolavoro/