Pomodori verdi fritti: buoni, ma lasciate perdere il barbecue!…..

Pomodori verdi fritti: buoni, ma lasciate perdere il barbecue!

Cinescherno

Vi siete mai trovati in quella classica situazione in cui, al momento di decidere quale film vedere, l’uomo propende per qualsiasi cosa contenga tette ed esplosioni e la donna qualsiasi cosa il cui titolo contenga parole quali: amore, scelta, passione, dubbio, addio? Ecco, sebbene il titolo “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno”, per quanto logorroico, non contenga nessuna delle suddette parole, introduce quello che, da tutti i punti di vista è l’archetipo del film che tutte le donne sceglierebbero. Fatta questa premessa, è però giusto anche ammettere (da maschio) che non tutti i film “rosa” sono ciofeche, e che la categoria include diversi begli esemplari. Questo, anche se non lo ammetterò mai di fronte a mia moglie e alle mie due figlie, è uno di quelli.

“Pomodori verdi fritti” è infatti un bellissimo film che, oltre a garantirvi due ore e rotti di buon cinema, vi consentirà, se maschi, di vedere aumentare a livelli esponenziali il vostro punteggio nei confronti di moglie/fidanzata/compagna/anziana madre e, se donne, di far fuori una scatola di Kleenex e mezzo chilo di gelato al cioccolato. Che siate uomini o donne, comunque, “Pomodori” rimane un grande film che, inoltre, conferma quanto detto nella precedente recensione, quella di “Come l’acqua per gli elefanti”. Con quel film, infatti, “Pomodori” condivide l’espediente della narrazione in flashback; ma tanto era sciapa la storia d’amore tra il vampiro prestato alla scienza veterinaria e la cavallerizza dal mento più grande del mondo, quanto solida, avvincente e ben costruita in questo caso. Merito del bellissimo libro da cui è tratto e che, sebbene vittima del normale tagliuzzamento cinematografico, fa comunque sentire la sua presenza.

Prima dei tanti pregi e dei pochissimi difetti, la trama: in visita all’odiosa zia del marito, ospite di una casa di riposo, una depressa e sovrappeso signora di mezz’età, conosce un’arzilla e logorroica vecchietta, che comincia a raccontarle la storia, ambientata nel profondo Sud degli Usa tra le due guerre mondiali, dell’amicizia nata e cresciuta tre due donne, tanto diverse quanto ugualmente ricche di sentimenti (amici maschi, voi potete smettere di leggere qui), Ruth e Idgie. La prima è bruna, carina, aggraziata e femminile, la seconda è bionda, brusca, selvatica e intrattabile. Per la nota legge dell’attrazione degli opposti, le due si piacciono (e nel libro anche carnalmente; il film, invece, ha vigliaccamente glissato sull’aspetto omosessuale della vicenda) e condividono dolori (su tutti, la morte del fratello della bionda nonché fidanzato della bruna, evento che dà sostanzialmente il via all’intera vicenda) e gioie assortite. Quando la bruna fugge da un marito violento, le due pulzellone decidono di aprire un caffè, quello appunto che serve i pomodori eponimi. Tutto va bene finché non si ripresenta il marito violento (e razzistone, già che ci siamo. Che poi, nell’Alabama degli anni ’30, era un sentimento piuttosto diffuso) intenzionato a portarsi via il figlio. Beh, non solo la cosa non gli riesce, ma finisce pure ammazzato, cucinato e servito sul barbecue ai clienti del bar di famiglia, tra cui anche il detective inviato a indagare sulla di lui scomparsa. Parallela alla vicenda delle due datate signorine, scorre quella di Evelyn (la signora depressa) e Ninny (l’arzilla vecchietta). La storia narrata dalla seconda ridona lentamente fiducia in sé stessa alla prima, che si trova un lavoro, perde qualche grammo dietro le orecchie e si reca finalmente da un parrucchiere non diplomatosi in un canile, guadagnandoci in autostima e salvando il proprio matrimonio. Tutto è bene quel che finisce bene (almeno nel film, il libro era un filino più tragico): la matusalemmica vecchietta, infatti, non è altro che Idgie incartapecorita; dimessa dall’ospizio e priva di casa, l’ex biondina dell’Alabama troverà affettuosa dimora a casa dell’ex depressa ciccioncella. Il di lei marito se ne farà una ragione.

E arriviamo ai pregi, che sono tanti, e partono dall’interpretazione delle quattro protagoniste, due più delle altre, Kathy Bates e Jessica Tandy, rispettivamente “la Depressa” e “la Vecchietta”. Non che Mary-Louise Parker “la Bruna” e Mary Stuart Masterson “la Bionda” non siano brave, semplicemente non raggiungono il livello delle prime due. Entrambe vincitrici dell’Oscar come migliore attrice (la Tandy nel 1990 per “A spasso con Daisy” e la Bates l’anno dopo per “Misery non deve morire”) e forti di un’esperienza che gli attori di oggi raramente fanno, cioè il teatro, le due attraversano il film con grazia e sapienza, rendendo la storia nel presente, di per sé meno ricca di avvenimenti, quasi più avvincente di quella nel passato, un po’ troppo sospesa tra ragazzate alla Tom Sawyer e drammi e passioni alla Via col vento. In particolare Kathy Bates, che a mio giudizio rimane una delle più grandi attrici degli ulltimi 25 anni, firma una scena indimenticabile, quella nella quale sfascia con l’auto il Maggiolino di due sciacquette maleducate che le hanno fregato il parcheggio. Credo che sia una scena di liberazione e di autoconsapevolezza quasi senza pari. E in più fa anche ridere. Altro pregio: nonostante l’artificiosità e la bigotteria hollywoodiana (vedi la decisione di eliminare la relazione tra Ruth e Idgie), credo che questo film sia uno tra i migliori nel raccontare l’amicizia femminile. A questo proposito si cita molto “Thelma e Louise”, ma fidatevi, questo non è da meno. E non devono nemmeno buttarsi con la macchina nel burrone! Per finire, mi piace molto il montaggio, sapientemente diviso tra passato e presente (e notate anche la diversa fotografia, un po’ più seppiata nel passato e più naturale nel presente, a sottolineare la diversa collocazione temporale delle due linee narrative) e la colonna sonora. Nel cast sono presenti anche molti ottimi caratteristi: da Stan Shaw a Cicely Tyson per finire con un Chris O’Donnell al suo secondo film e ancora lontano dai fasti di “Profumo di donna” al fianco di Al Pacino e dei due Batman, interpretati nei panni di Robin.

Difetti? Dai, che ne troviamo un paio! Intanto, come già detto più volte, la magnifica storia del libro ha un po’ sofferto durante il passaggio al grande schermo. Come conseguenza, il film ha alcune scene un po’ slegate dal resto, ad esempio la battaglia col cibo delle due protagoniste nel passato, che il regista, un filino ipocritamente, ha spiegato essere una metafora della relazione sessuale tra le due. Cioè, in altre parole: tirarsi farina significa essere lesbiche Ricordatevelo, care amiche, la prossima volta che fate la pasta o la pizza. Anche la scena della fustigazione di Big George da parte degli incappucciati del Ku Klux Klan sa un po’ di appiccicato. Va bene il razzismo del marito, quello ha un senso; meno ne ha invece la scena in questione. A illustrare il contesto di quegli anni bastava la scena in cui lo sceriffo rimprovera Idgie perché serve i neri. Altrimenti si rischia di dire troppo per evitare di dire troppo poco. Piccolezze.

In conclusione: “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno” è un bel film, con grandi interpreti e una bella storia. Il mio consiglio, oltre naturalmente a vederlo, è anche quello di leggere il libro di Fannie Flagg. Donne, se volete giocarvi un bonus costringendo vostro marito/fidanzato/compagno a vedere un film sentimentale, questo potrebbe essere quello giusto. Il vostro lui non lo ammetterà mai, ma non gli dispiacerà più di tanto. Certo, se poi scegliete di vederlo in una sera che non sia quella della finale della Coppa del mondo di calcio, è meglio. Uomini, per quanto riguarda voi, che dire? Non ci sono tette e non esplode nulla, ma la visione merita lo sforzo. Guardate il lato positivo: anche se il film non dovesse piacervi avrete maturato un enorme credito nei confronti della vostra lei, e non devo essere io a suggerirvi i 101 modi per riscuoterlo. Ad esempio, domani sera, potreste affittare un bel film di Bruce Lee… o è meglio Lino Banfi?

https://cinescherno.wordpress.com/2011/12/02/pomodori-verdi-fritti-buoni-ma-lasciate-perdere-il-barbecue/

Film d’Altri Tempi: Pomodori Verdi Fritti alla Fermata del Treno

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Pomodori verdi fritti alla fermata del treno è un film del 1991 di Jon Avnet che racconta la profonda amicizia tra due donne nell’Alabama di inizio Novecento

Anno: 1991

Regia: Jon Avnet

Sceneggiatura: Fannie Flagg, Carol Sobieski

Interpreti: Kate Bates, Jessica Tandy, Mary-Louise Parker, Mary Stuart Masterson

Produzione: Jon Avnet, Jordan Kerner

Pomodori Verdi Fritti alla fermata del treno è un film d’altri tempi, ma non nel senso più stretto del termine. Nonostante gli anni ’90 si allontanino sempre più, il film può essere considerato abbastanza recente o comunque moderno, visto che parliamo del 1991. Eppure, la storia e il modo in cui viene raccontata, mantiene una delicatezza che sembra appartenere alle pellicole del passato, piuttosto che, tranne alcune eccezioni, a quelle contemporanee.

Personalmente sono molto affezionata a questo film. La prima volta che l’ho visto ero piccola, meno di dieci anni sicuramente, ma mi ha colpito fin dal primo momento. Certo non ero in grado di capirlo pienamente, molte cose le ho intuite solo rivedendolo negli anni, senza mai stancarmi di guardarlo.

Il tema principale del film è l’amicizia, in particolar modo quella femminile. Ma non meno importanti sono gli argomenti: potere e necessità del raccontare storie.

La trama è composta da una cornice, ovvero da una storia di contorno, all’interno della quale si va a sviluppare in forma di racconto, e quindi di flashback, un’altra storia. Kate Bates interpreta Evelyn Couch, una casalinga di mezza età, in crisi, insoddisfatta e triste. L’amicizia con un’anziana signora Ninny, le cambierà la vita. Non solo Ninny è la prima persona che l’ascolta veramente, ma tramite il racconto di due donne, che lei conosceva negli anni ’30, darà a Evelyn nuovi spunti e nuova forza da cui far ripartire la sua triste vita. La storia che Ninny racconta è una storia di amicizia, tra la spericolata, selvaggia e maleducata Idgie e la precisa, devota e impeccabile Ruth. In un’Alabama della prima metà del ‘900, in cui la condizione dei neri è ancora praticamente di schiavitù, Ruth e Idgie trovano nella loro amicizia una forza per affrontare gli ostacoli della vita, dalla morte del fratello di Idgie, alla fuga dal marito violento di Ruth. Il caffè che apriranno insieme e nel quale serviranno pomodori verdi fritti, diventerà presto il cuore della cittadina.

La forza di questo film sta prima di tutto nella sua storia, tratta dal romanzo di Fannie Flagg Pomodori verdi fritti al cafè di Whistle Stop, e nella profonda descrizione dei suoi personaggi, ai quali l’intero cast, senza nessuna eccezione, è in grado di dar vita mostrandone tutte le sfaccettature.

L’ambientazione stessa, poi, in questo scorcio dell’Alabama, che per noi Europei ha quasi il gusto dell’esotico, è un elemento molto importante. I paesaggi, i luoghi selvaggi, le vecchie case di legno in stile coloniale all’interno nelle quali si muovono Idgie e Ruth, sono elementi di contrasto con i supermercati e le strade asfaltate in cui vivono Evelyn e Ninny, ma ciò dimostra che non importa in quale contesto si vive, il segreto della felicità rimane lo stesso: gli amici, i migliori amici.

Curiosità

  • Nel romanzo Ruth e Idgie sono più che amiche, sono amanti. Questo aspetto è stato oscurato nel film, ma in realtà ci sono numerose scene in cui questo amore viene suggerito. Come racconta anche Jon Avnet, la scena della lotta con il cibo è in realtà metafora di un rapporto sessuale.
  • Come spesso accade nelle versioni cinematografiche, che per motivi di tempo e di narrazione sono costrette a profonde revisioni dei romanzi, rispetto al libro anche qui mancano molte storie e viene tagliato perfino un intero personaggio: Artis O. Peavey.

http://pauranka.it/cultura/cinema/film-daltri-tempi-pomodori-verdi-fritti-alla-fermata-del-treno/




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