Nondum amabam, et amare amabam, quaerebam quid amarem, amans amare.—
Confess. St. August.
ALASTOR
O LO SP1RITO DELLA SOLITUDINE
(Prefazione)
ALASTOR
O LO SP1RITO DELLA SOLITUDINE
(Prefazione)
L’Alastor può esser considerate come I’allegoria di uno
degli stati piu interessanti d un ‘anima umana. Esso rappresenta un giovine di sentimenti incorrotti e di genio avventuroso, spinto da una immaginazione accesa e purificata dal
contatto di tutto do che e eccellente e sublime, alla contemplazione dell’universo. II giovine beve avidamente alla fonte del sapere e non si disseta mai. La magnificenza e la bellezza del mondo esterno penetra profondamente nel sistema delle sue concezioni, e da varietà inesauribile alle modificazioni di esse. Fintanto che gli è possibile fissare il suo desiderio su oggetti cosi infiniti e incommensurabili, egli è contento, tranquillo e padrone di se. Ma il tempo giunge in che questi oggetti cessano di soddisfarlo. L’anima, infine, si desta improvvisa e brama di comunicare con una intelligenza simile alla sua. Immagina per se I’Essere che ama. Vivendo nella contemplazione della natura piu perfetta e sublime, il fantasma, nel quale incarna le sue immagini, compendia in se tutto ciò che il poeta, il filosofo o il pittore potrebbero rappresentare di piu meraviglioso, sapiente e bello. Le facoltà intellettuali, l’ immaginazione e le funzioni del senso hanno i loro rispettivi requisiti nella simpatia dei poteri corrispondenti negli altri esseri umani. II poeta e rappresentato sul punto in cui riunisce queste requisizioni e le irradia in una sola figura. Egli cerca invano un prototipo della sua concezione. Fulminato dalla delusione, corre ad immatura morte.
II quadro non e privo di ammaestramenti per gli uomini reali. L’isolamento del poeta, concentrate in se stesso, e vendicato dalle furie di una passione irresistibile che sospinge il poeta medesimo a subita rovina. Ma quella forma che colpisce i luminari del mondo con tenebre rapide di morte, svegliandoli a la piu squisita percezione delle sue influenze, condanna ad un disfacimento velenoso e lento quegli spiriti, che, piu deboli, osano sottrarsi al suo dominio. II loro destino e piu vile ed abbietto, come la loro rinunzia e piu disprezzabile e perniciosa. Quelli i quail non sono delusi da generoso errore, ne istigati dalla sete sacra di una dubbia conoscenza,accecati da una grande superstizione, non amando nulla sulla terra e nulla sperando al dilà, e non di meno si tengono Iontani dalle simpatie della loro specie, non rallegrati da gioia umana, ne partecipi dell’umano dolore, quelli, ed esseri somiglianti. hanno assegnato il loro castigo. Languiscono perchè non vi è alcuno che abbia con essi comunione di affetti. Essi sono moralmente morti. Essi non sono ne amati , ne amanti,ne padri, ne cittadini del mondo, ne benefattori della loro patria. Tra quelli che si provano di vivere senza simpatia umana, i cuori puri e gentili muoiono per l’ intensità e la passione messa nella ricerca di esseri somiglianti a loro, quando sentono tutto d’un tratto I’anima vuota. Tutto il resto, egoisti, ciechi e torpidi sono quelle moltitudini imprevedute, che costituiscono insieme con gli altri, L’ ultima miseria e solitudine del mondo. Quelli che non amano i loro simili vivono vita infruttuosa e preparano per la loro vecchiaia una tomba miserevole.
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segreti a discoprire. E, benche ancora
non avessi mai I’intimo sacrario
svelato, fu bastante in me riflesso
dai sogni inenarrabili e i fantasini
dell’alba, e dai pensieri del meriggio
profondi, si che or, sereno e immoto,
quale per lungo tempo abbandonata
lira, sospesa a la solinga volta
d’un misterioso tempio deserto,
il tuo spiro, Gran Genitrice, attendo,
perche l”accordo della mia melode
temperi con i murmuri del vento,
con i sospir del bosco e il suon del mare,
le voci della vita e della notte,
gl’inni tessuti ai canti della luce
e al polso del profondo cuor di uomo.
Evvi un poeta, che, nei piu fiorenti
anni colpito dalla morte, tomba
non ebbe da pietosa man fraterna
costrutta, ma I’ammaliate spire
di venti autunnali sopra l’ossa
insepolte soffiar, nella deserta
solitudine, piramidi d’oscure
foglie corrotte. Su la solitaria
zolla, dove piegò la seducente
sua giovinezza al sonno eternamente,
nessuna mesta vergine cosparse
ghirlande di cipressi e rugiadosi
fiori votivi. Nessun derelitto
bardo, sul fato crudel che rapia
la generosa gentilezza ardita
del fratello, verso melode triste
di pianto. Egli visse, e, cantando cadde
***
Svegliato a l’ urto, da quell’estasi
si riscosse. La fredda luce bianca
del mattino, l’azzurreggiante luna
bassa a l’occaso; i limpidi bagliori
de le colline, tutta la scoperta
valle e i taciti boschi intorno a lui,
fermo, spiegavansi. Ove eran fuggiti
i celesti colori, che la sera
innanzi stetter sopra il suo giaciglio
sospesi? e il suon che gli addolciva il sonno
e i misteri, la maestà terrena,
la gioia e l’esultanza? I languid’occhi
suoi s’aprivan su d’una vuota scena
distratti, come guarda la riflessa
luna del mar su la celeste luna.
Lo spirto deirumano dolce amore
avea svegliato nel sogno di lui,
che sdegnava i suoi piu diletti doni,
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