La Madonna dei Filosofi Gadda by Alfredo Gargiulo , La morte di Puk

A proposito de La Madonna dei Filosofi.

Firenze, «Solaria», 1931

Alfredo Gargiulo

Al teatro di quart’ordine, di cui si parla nel racconto intitolato appunto Teatro, quella sera v’è l’opera, anzi un tremendo operone. La prima donna: «L’abito rosa trapunto di stupende pagliuzze metalliche; lo strascico una scopatrice stradale. Raccontò del suo crin e ci fornì elementi circostanziati sulle principali peripezie del suo sen; non trascurò l’alma; illustrò le forme più tipiche del verbo gire…» Il direttore d’orchestra si sbraccia, incurante «del progressivo rammolimento cui le parti inamidate della persona venivan soffrendo. Si ebbe così un ben meritato castigo, dacché le ridusse impresentabili, macerandole di acidi della serie aromatica e della serie grassa, di ammino-acidi, di composti albuminoidi varî e di altre sostanze azotate».

Ecco la protagonista del racconto che dà il titolo al volume: «Maria, e ciò è un po’ l’onore e il merito delle creature, non voleva ancora ridursi a credere che proprio il mondo e i cavalli e le case e i cigni de’ giardini, e le bimbe; che le guardie, i generali, i paralitici, i sacerdoti, i biglietti da cento, gli scrittori celebri, le pere e i capistazione e la prosa degli scrittori celebri, e tutto, sia proprio tutto un brutto sogno: no: sentiva bene dal più profondo dell’animo, come tutte forse le nobili e gentilissime donne della sua vecchia famiglia, che qualcosa di men che cretino ci doveva essere, che ci doveva essere qualcosa di vero nel mondo anche a costo di inventarlo, di fabbricarselo con la fantasia, o con una volontà disperata». E qui v’è un grammofono che più scuote i nervi a un nevrastenico ingegnere filosofo: «il grammofono dei coinquilini foggesi, esacerbato forse dal luglio torrido, era stato preso da tale accesso di mediterraneomanìa, che ai cieli bigi s’erano aggiunti il ridi pagliaccio, e il bada Santuzza; e, in subordine, la gelida manina e il fildifumo: per lasciare d’alcuni altri gargarismi poco decifrabili e belati di caprone dimolto truci, fuor dal cui sibilante e agglutinato groviglio Baronfo arrivò stentatamente ad estrarre qualche sprazzo balsamico di marechiare, di pisce e di scétate».

Così comincia Cinema: «Bisognava concludere. Manifestai alla contessina Delrio ciò che sentivo di non poterle dissimulare più a lungo. Si rassegnasse all’idea: le diagonali del parallelogrammo si secano nel loro punto mediano. E non è tutto: esse ne dividono l’area in quattro triangoli equivalenti» (si tratta d’una lezione di geometria ad una sbadigliante allieva). Un po’ più oltre, questa effige d’un fierissimo colonnello: «Appeso a un susino, il magistrale ritratto avrebbe potuto rendere servigi indimenticabili alla campagna cerealicola e allo sviluppo economico regionale, incutendo un salutare rispetto ai più spavaldi pregiudicati del circondario. Sorgendo da nebbie ottobrine sogliono questi ingordi beccarsi via ogni chicco che il colono ha lasciato di calcinare. E così anche passero e beccafico, frullone l’uno, esile freccia il secondo contro la polpa delle cosce-di-monaca». E poi i biglietti di banca: «Le consegnai quella busta, pregandola di constatare che conteneva due rettangoli di carta. Tali sudici rettangoli erano apportatori di gravi notizie intorno ai guai che la Legge, lavorando in silenzio, scatena poi ad un tratto sul capo di chiunque se li fabbrichi per conto suo. Sul recto l’effige parlante della Defunta Maestà del Re Buono aveva a contorno un ottagono, fregiato nel modo del più ottocentesco rinascimento. Due autografi, comprovanti l’analfabetismo di certo signor Stringher e del suo infaticabile collaboratore signor Dall’Ara, finivano per dissipare ogni sospetto».

Ma non abbiamo citato troppo, se ora la disposizione del Gadda che dà luogo a questo modo di scrittura, si lascia definire agevolmente. E d’un vero spirito ironico non è da parlare (ancor meno d’uno spirito satirico): che specie d’ironia sarebbe quella che se la piglia col sudore del povero direttore d’orchestra, o con l’innocua faccia feroce del povero colonnello? Neanche, d’altra parte, è nel Gadda un umore irritabile e dispettoso, quale ad esempio uno può ricordarlo nei momenti felici di Vittorio Imbriani. Coi suoi oggetti, o meglio con qualsiasi oggetto gli càpiti, il Gadda scherza mirando al ridicolo, e in tale scherzo portando soprattutto un acre compiacimento letterario. Sicché è il Dossi che vien piuttosto a mente; e non il Dossi eventualmente idillico, o satirico per forza; bensì il più autentico Dossi, il letteratissimo spirito bizzarro. Una singolarità: uomo di scienza, ad ottenere i suoi effetti scherzosi, il Gadda si vale spesso, oltre che della sostenutezza e preziosità letterarie, d’una terminologia rigorosamente scientifica: riportiamoci innanzi, ai componenti chimici del sudore.

Si sa che anche nell’arte del Dossi persisté, quasi sempre, qualcosa di gratuito. Ma badiamo a ciò che accade al Gadda. Le mosse del suo scherzo, a volte, sono d’una elementare ingenuità (la prima donna, il grammofono); tal’altra addirittura urtano, perché esageratamente riflesse, e infine artificiose (la lezione di geometria). Nel tratteggiare i due protagonisti del più ampio racconto, La Madonna dei Filosofi, lo scrittore ha un modo che ben si direbbe una crudele soperchieria: fortuna quindi che tutto si risolva in un vano gioco. In breve: i toni plausibili non abbondano. E per un altro verso, a parte anche la giustezza e coerenza dei toni, non meraviglia che una disposizione quale è quella del Gadda, così indifferente e generica, si rifiuti a tradursi in realizzazioni d’arte sufficientemente motivate nei nessi e negli sviluppi. Essa comporta un’attenzione non più che puntuale. Consideriamo nel libro il caso estremo: quale interesse sintetico animò il Gadda, nello scrivere La Madonna dei Filosofi? Nessuno; e il racconto risulta infatti svagato e slegato in una misura appena verosimile.

Senonché il Gadda non sarebbe, com’è, uno scrittore degno di attenzione, se quello ora osservato fosse il suo unico aspetto. Non sempre egli scherza. Non sempre cioè quel suo gusto letterario e verbale resta fine a se stesso. Come già nel Dossi, e in genere in codesti scrittori “eccentrici”, esso nasconde, in lui, il bisogno di un’espressione mordente fuor dai modi comuni. E di ciò, nel volume che abbiam davanti, fanno fede tutti indistintamente i brevi scritti raccolti sotto il titolo: Studi imperfetti. Ciascuna composizione ha qui la sua ragion sufficiente, un senso compiuto; e se mai, anzi, l’attenzione sintetica vi è momenti perfin troppo concentrata. Certezza, un ritratto di contadino, ricorda, ma con indipendenza, lo Jahier. Eccone la fine: «è solo, sudato. – Solo il suono dell’ora è rituale nel suo celebrare. Viene dalla vecchia torre, come un vecchio ed eterno pensiero. – Quando l’ombra sfiora le grigie torri, è perché la notte si china sui casolari. Allora non ci si vede più, nel mucchio del da fare: allora bisognerebbe intermettere». Ed ecco un brano di Preghiera: «Che devo fare? Quando cammino, mi pare che non dovrei. Quando parlo, mi pare che bestemmio; quando nel mezzogiorno ogni pianta si beve la calda luce, sento che colpe e vergogne sono con me. – Perdonatemi! Io ho cercato di imitarvi e di seguitarvi: ma sono stato respinto… Così mi sono smarrito. Ma penso di voi, compagni morti. – Vi sono monti lontani, terribili: ed ecco le nuvole sorgono, come sogni, o come pensieri, dai monti e dalle foreste».

Saranno in tal senso rigoroso gli sviluppi del Gadda? Non osiamo far previsioni nei riguardi di uno scrittore certamente ricco di doti e di riserve. Comunque, segnaliamo ancora l’ultima parte del racconto Manovre di artiglieria da campagna, dove a noi sembra che il Gadda dia bella prova delle sue possibilità pur nel racconto disteso, e in una sobria intonazione umoristica. Si tratta di smuovere un cannone; e nella bisogna il pezzo assume quasi una sua vita, i cavalli impiegano la loro esperienza e pazienza «umanamente»: «A una legnata dunque più ladra, Gorgo si rivolse di scatto, con uno sguardo da far piangere: – Ragiona! – disse con il suo sguardo all’uomo che lo legnava e aveva la giacca slacciata, i calzoni un po’ lenti. Ed era un soldato!… Il cannone, sardonico mostro, era lì un po’ inclinato e guardava tranquillamente in giù quel pendìo, come se tutto il trambusto fosse affar d’altri. Ad ogni sussulto, il cannone rimaneva fermo e l’avantreno cadeva di là. Così che il convoglio, con le quattro ruote e lo snodo del gancio, pareva un coccodrillo zoppo, malamente adagiato sopra contropendenze e affaticato da una digestione laboriosa». Il cannone ha superato il punto: «Allora Tubone e Gorgo con forti zampate schiacciarono tutti gli sterpi vani, dicendo: Sì, sì: e mentre il forte artigliere molleggiava le redini grasse, il terzo pezzo s’ingolfò lui pure nella boscaglia selvatica… Aveva soffiato tanto! E così bravamente! – Adesso, mentre i cavalli, a tirarlo, ci pensavano loro e con grumi di fatica dentro la testa gli uomini non pensavano più nulla, anche lui decise di lasciarsi tirare, che gli veniva un bel pisolino».

http://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/resources/reviews/gargiuloceg1931.php

La morte di Puk

Quel suo occhio diceva: «Kant ha ragione». Diedri e prismi, luci ed ombre e colori vanivano: le cosiddette mosche avevano lasciato ogni paura.

Eppure con che rabbia, con che prontezza le sapea prendere al volo! Poi starnutava.

Adesso moriva: ossia capiva che la rabbia, i prismi, i rumori sospetti e la luce stessa e tutto non erano se non un catalogo vano.

Egli aveva servito con fedeltà; quale causa? Che domande!… Con quale premio?… Che c’entra, che c’entra!

C’era anche la favola del cane ben pasciuto, che s’imbatte nella nobile e sarcastica predica del cane magro.

Ma era una stupidaggine.

Egli aveva dato il coraggio, l’allegrezza, la devozione, la vita: ciò, non era sua colpa, gli metteva addosso un tremendo appetito. Dagli uomini, che comandano, quel suo fervido sentire era stato ripagato a tocchi di pane: abboccandoli a volo, si levava il male. Per conto suo, poi, s’era aiutato trafugando polpette.

Nel cacciarsi ferocemente dentro la macchia, non aveva mai pensato che esistono scrittori di favole.

Puk (era tanto stanco!) poté ancora riepilogare: una volontà buona lo aveva sempre animato!

Adesso moriva: ossia tutto perdeva, per lui, il significato di quando era nato e cresciuto.

Altri si sarebbero occupati delle diverse faccende, che erano in corso, interpretando le cose secondo schemi convenzionali.

http://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/resources/fiction/mdfpuk.php

La violenza in Gadda di Giuseppe Stellardi | controappuntoblog.org

Più insulsi erano, e più felice e liscio gli andava sottoculo lo scivolo, giù, giù dal croconsuelo verde del Monte Viejo alla tumefazione galleggiativa dell’avenida, bargigli al completo

http://www.controappuntoblog.org/2014/07/03/piu-insulsi-erano-e-piu-felice-e-liscio-gli-andava-sottoculo-lo-scivolo-giu-giu-dal-croconsuelo-verde-del-monte-viejo-alla-tumefazione-galleggiativa-dell%E2%80%99avenida-bargigli-al-completo/

Carlo Emilio Gadda, Accoppiamenti giudiziosi pdf- RadioTeatro. Eros …

Gadda : Il Primo Libro delle Favole | Flickr – Photo Sharing! by Andrea .

Gnommero, obdurare, globeavano «”Hiva-i-Ità-ia!, Hiva-i-Ità …

“Racconto italiano di ignoto del novecento” di Carlo Emilio

La cognizione del dolore | controappuntoblog.org

Gadda : L’ortolano di Rapallo | controappuntoblog.org

La scienza del dolore Il linguaggio tecnicoscientifico nel ..

“Racconto italiano di ignoto del novecento” di Carlo Emilio .

Carlo Emilio Gadda: I viaggi e la morte – I Luigi di Francia …

DA GADDA A GERMI | controappuntoblog.org

“i pasticciacci” di un buonannulla di genio | controappuntoblog.org

Genius Loci : Alberto Arbasino

Questa voce è stata pubblicata in cultura e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.