Béla Tarr Jacques Ranciere – Utazás az Alföldön (Viaggio nella pianura Ungherese) (1995)

LIBRI DI CINEMA – “Béla Tarr. Il tempo del ritorno”, di Jacques Ranciere

Béla Tarr. Il tempo del ritorno

Jacques Ranciere

Bietti Heterotopia

pp 100, 14 euro

Da quando nel 2011 Béla Tarr ha annunciato il suo ritiro dalle scene con l’ultimo apocalittico film Il Cavallo di Torino, la sua figura ha iniziato ad essere avvolta da un’ aura mitologica e la letteratura critica sul suo conto ha cominciato a proliferare. Jacques Ranciere è tra i massimi esponenti della filosofia francese contemporanea e nel 2012 ha pubblicato questo mini-saggio sul cineasta ungherese che l’editore Bietti Heterotopia ha meritoriamente deciso di fare tradurre ad Ilaria Floreano con l’arricchimento delle schede critiche di Alessandro Baratti.

Ranciere affronta l’analisi prima di tutto dal punto di vista storico-politico con un “excursus” che va dalla Ungheria socialista di fine anni 70 (con tutte le sue storture: conservatorismo, egoismo, maschilismo, rigetto del diverso) fino ai giorni nostri, attraverso il crollo del grande blocco sovietico, la caduta del muro e l’illusione di un possibile benessere capitalistico. Le grandi speranze per un futuro di prosperità economica e di equità sociale svaniscono di fronte alla censura del Mercato che sostituisce quella di Stato. Tutto il cinema di Béla Tarr si edifica sulle macerie di un sogno abortito, una lucida consapevolezza di fronte all’avidità e aridità del genere umano che continua a commettere gli stessi errori, nel circolo vizioso dei corsi e ricorsi storici. La maggior parte dei critici distingue due periodi nella filmografia Tarriana, quello che va da Nido Familiare (1979) ad Almanacco d’Autunno (1984) caratterizzato da forti tematiche sociali (con frequente uso della macchina a mano pedinante e del primo piano) e quello che va da Perdizione (1987) a Il Cavallo di Torino (2011) in cui il piano sequenza diventa emblema di un ambiente che sembra lentamente fagocitare i personaggi in un’atmosfera irreale dove spazio e tempo sembrano congelati. In realtà è lo stesso regista ungherese a fugare ogni dubbio: non esiste una stagione delle pellicole sociali e una stagione delle pellicole metafisiche, esiste sempre lo stesso film, solo che l’occhio del cineasta sembra scavare sempre più a fondo, in una profondità di campo che paradossalmente fa risaltare il vuoto all’interno e all’esterno del singolo individuo. Questo passaggio dal particolare all’universale, dal microambiente domestico al macrocosmo naturale è accompagnato dal dissolvimento di ogni trama o spiegazione finalistica.

Per Flaubert uno stile non è l’ornamento di un discorso, ma un modo preciso di vedere le cose, un modo assoluto. Per Béla Tarr si tratta di scegliere tra due modi di vedere: quello relativo, che assolda il visibile al servizio della concatenazione di eventi; e quello assoluto, che dona al visibile il tempo di produrre da sé un effetto. E la scelta cade inevitabilmente sul secondo. Così il ricorso alla pioggia, alla nebbia, alle alcoliche scene di ballo non sono che pezzi di un puzzle in cui vengono assemblate una serie di immagini tempo, in cui ogni momento è un segmento autonomo, eterno ritorno, ripetizione dell’istante.

Alessandro Baratti nella seconda parte del libro propone le schede critiche di tutti i film di Béla Tarr sottolineando principi e tematiche, l’utilizzo sapiente della musica e la ricchezza del tappeto sonoro, le importanti collaborazioni con altri artisti come il compositore Mihali Vig e lo scrittore Lazlo Krasznahorkai.

Béla Tarr sembra volere comunicare un dato di fatto: tutti i nostri piccoli gesti, tutte le nostre azioni rituali, le ripetizioni, le parole, l’importanza che releghiamo agli oggetti, gli elementi naturali (il vento, l’acqua, la luce, le foglie), le pagine dei libri, le preghiere, con l’approssimarsi della fine svuotano di consistenza l’immagine. Come se la mancanza di uno scopo facesse emergere il divario tra la realtà e il tentativo di rappresentarla. E’ il tempo a creare questo processo di deterioramento scopico: tutto diventa sfocato, nebbioso, indistinto, polveroso, corroso, desolante, irrimediabile, irreversibile. Béla Tarr gioca molto sul sonoro creando un effetto eco sorprendente, misterioso e nello stesso tempo destabilizzante: sentiamo un vento incessante attraversare i corpi e privarli di vita. In questo quadro malinconico il pessimismo di Tarr è tipicamente nietzschiano: è diretto all’inutilità del mondo moderno, non al mondo o all’esistenza in sé. Dice Ranciere: “Il tempo del dopo non è il tempo uniforme e tetro di chi non crede più a nulla. È il tempo degli eventi materiali puri, in base ai quali si misura la fiducia fintanto che l’esistenza la supporta.” A conferma di ciò nell’epilogo de Il Cavallo di Torino, i due protagonisti accendono ancora una luce e parlano come se ci fosse un domani prima di sprofondare nel buio della non esistenza: è proprio quello che Lazlo Krasznahorkai chiamerebbe “Melancolia della Resistenza.

http://www.sentieriselvaggi.it/?p=933643

Trama

L’attore e compositore Mihály Vig cammina per le pianure ungheresi, negli stessi luoghi in cui è stato girato Satantango. Mentre lentamente scompare nello schermo, recita una poesia di Sándor Petofi, cantore di quegli stessi posti, così belli quanto poveri, in cui ha vissuto la sua breve vita a inizio Ottocento.

La recensione

di mck

stelle

A cura di : Vig Mihály – attore e compositore/musicista

Fred Kelemen – direttore della fotografia

Hranitzky Ágnes – co-autrice

Tarr Béla – co-autore e regista

Cascina Danubio.

Evapora in una nuvola rossa ( DeAndrè – Amico Fragile ) il compendio a Satantango girato a colori ( non lo faceva dall’Almanacco d’Autunno di dieci anni e due film prima, e non lo rifarà più ) e in video da Tarr Béla negli stessi luoghi, in cui gli uccelli non smettono mai di cantare ( Venedikt Erofeev – tra Mosca e Petuški ), del proprio Heimat Underground, con il sodale compositore Vig Mihály che cammina e sosta per i campi ( gli stessi, proprio gli Stessi, universalmente gli stessi di Satantango, e lo stesso Irimias…) dell’Alföld-Puszta e tra i ruderi del paesaggio-ecosistema agricolo magiaro, suonando all’harmonium un pezzo dal film-fiume/pantano dell’anno prima e declamando i versi del poeta ungherese Petófi Sándor ( 1823 – 1849 ). E poi s’un treno, s’un carretto trainato da un cavallo con compagni liberi al fianco, in riva al grande fiume, s’un furgone a cassone scoperto, in taverna, tra i ruderi del lavoro della campagna feudale, comunista, capitalista ( […] per l’amore io sacrifico la vita / per la libertà sacrifico l’amore. ).

Villaggio Ungheria.

Girato, con ‘piccoli’ piani sequenza e molti movimenti di macchina circolari, alla fine di Agosto – inizio Settembre ( lo deduco dal colore degli steli e delle spighe delle piante di grano nei campi, e da quello delle foglie dei pochi, radi e sparsi alberi e delle erbe ‘infestanti’ e pioniere ), relega la speranza ad una dedica ( dopo-prima di cedere il passo ai colori dell’Almanacco d’Autunno, un Carnage infinito ) visiva : il dondolare dell’infanzia pallida e assorta s’un’altalena arruginita.

Per poi affondare un’ultima stoccata :

La vita non vale neppure quanto una pentola rotta della cucina,

dal cui fondo un vecchio mendicante lecca i resti della salsa.

Danubio Fattoria.

Tarr lascia il tempo alle cose d’assestarsi, di dimenticare l’essere umano.

E invece è Luglio.

C’è ancora tempo…

Il controluce ( non il tramonto, non lo spegnersi d’una candela, non la danza ubriaca di lontane luminose sfere celesti, ma il colore ) del pieno giorno si mangia i contorni delle cose : ascolta : il canto degli uccelli, il frinire delle cavallette, la voce umana…

Straub-Huillet.

Ungheria Mondo.

Detta ( le poesie si recitano ? si declamano ? si interpretano ? si pronunciano ? si dicono…) da Vig Mihály nel film :

[…] Così spesso ho desiderato la morte.

Ed ora che sopraggiunge,

respirandomi addosso,

ora […], sono di tutt’altro avviso.

Comunque sia, comparata alla morte, la vita

ha sempre più valore.

Nella morte non c’è altro che pace,

nulla di vero.

Qui c’è dolore, che

s’alterna però a gioie e caldi pensieri.

Domani lascerò le gioie e i dolori.

All’occhiello porto un fiore.

Quando l’aria primaverile giungerà,

rifiorirà sulla mia tomba. […]

Questa, non presente nell’opera di Tarr, per esempio contiene ” A Torinoi Lo ” e la vera fine del poeta, 26enne, nella battaglia di Segesvar, in una delle tante Rivoluzioni che portano in data un ” ’48 ”, quella Ungherese, del 1848.

( Egy gondolat bánt engemet…, 1846 )

Mi tormenta un pensiero,

morire in letto da solo,

consumarmi come un fiore,

che mangia un oscuro verme,

consumarmi lento come una candela

lasciata sola in una stanza vuota.

Là voglio morire io, nel campo di battaglia,

[…] e passando sul mio cadavere

che corrino cavalli calpestandomi,

verso la vittoria finale. […]

( Traduzione di Agnes Preszler © – 2002 )

Insomma, in antitesi e sintesi, in dialogo : Sepolcro e Purgatorio.

http://www.filmtv.it/film/57139/viaggio-nella-pianura-ungherese/recensioni/677473/#rfr:film-57139

Béla Tarr’s Sátántangó analisi e video | controappuntoblog.org

“L’Outsider”,(Szabadgyalog) di Béla Tarr | controappuntoblog.org

Béla Tarr’s Anti-Classical Program : Macbeth (1982) – sub ita .

Béla Tarr : Rapporti prefabbricati (Panelkapcsolat .

Béla Tarr : Karhozat, Damnation | controappuntoblog.org

Le Cheval de Turin : Béla Tarr plus apocalyptique que jamais

music from the films of Bela Tarr | controappuntoblog.org

Werckmeister Harmoniak : Béla Tarr – Les Harmonies …

Béla Tarr Dell’eterno (non) Ritorno – The melancholy of resistance. The films of Béla Tarr – Prologue (2004) ● “Visions of Europe” segment ●

Werckmeister Harmoniak : Béla Tarr – Les Harmonies

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