Riconobbi adunque le altrui dottrine ben lontane dalla verità, il che ritenni ed accertai
derivare dal fatto che i posteri non appresero le scienze attraverso l’esperienza dei
proprii sensi, ma già elaborate e dagli antichi tramandate secondo il giudizio loro,
cosicché erano estremamente involute, in guisa che qualche isolato a mala pena, o
pochi erano in grado di possederle appieno tutte quante. È parsa perciò gran cosa agli
uomini il poter imparare dai loro simili, e non dalla natura, il cui studio appariva tanto
arduo, e l’esser in grado poi di tramandare ad altri quell’insegnamento; così essi,
procacciandosi riputazione per tale lor fatica di espositori fra gente che dell’esposizione si accontentava senza rifarsi ai testi e senza giudicare l’esattezza dell’interpretazione, non seguirono più la verità obbiettiva, si fecero seguaci devoti degli antichi ed abbracciarono le sentenze altrui: senza mai volgersi a scrutare la natura delle cose, studiarono invece i detti, e neppur quelli dei filosofi, ma degli interpreti soltanto. Tanto si aggravò questo malanno fra gli uomini, da indurre a scusar volentieri gli errori tramandati dagli antichi, quasi si fosse vincolati ad essi, e da rinnegare piuttosto la propria esperienza sensibile. Principal causa di ciò furon certi libri, detti di dialettica perché in parte hanno per argomento i vocaboli, libri che fanno gran confusione con nomi astratti e termini oscuri e che hanno significati diversi nellevarie lingue da cui ci pervenirono e diversi anchein seno ad un medesimo idioma. Stimando dunque certuni di farsi un nome studiando a fondo queste cose e mettendosi in grado di disputarne con altri, ci si buttan su a corpo morto, senza avvedersi ch’esse ripugnano al naturale buon senso, poiché le parole soltanto sono complicate, non le cose in se stesse
Il metodo nuovo. “Praefatio” alla “Philosophia sensibus …
La “Philosophia sensibus demonstrata” fu la prima opera a stampa di Campanella, anche se non la prima opera a venire composta; proprio in essa è dato leggere, infatti, aperti e precisi rimandi ad altre due sue opere, il “De sensu rerum” ed il “De investigazione rerum”, delle quali l’autore utilizza non soltanto molte tesi, ma, come è possibile accertare, interi brani. D’altra parte è un’opera in cui le citazioni degli altri autori costituiscono la più gran parte del testo. Scritta di getto nei primi sette mesi del 1589, questa poderosa “Philosophia sensibus demonstrata” riesce, comunque, un’opera fortemente unitaria e compatta, pur nell’apparente varietà e diversità di temi che in essa vengono affrontati e trattati. Tale unità di compattezza le derivano certamente anche dal compito, che in essa l’autore si era proposto, di difendere la filosofia di B. Telesio dagli attacchi che contro di essa aveva lanciato il giurista e filosofo napoletano Iacopo Antonio Marta.
http://www.libreriauniversitaria.it/philosophia-sensibus-demonstrata-testo-latino/libro/9788865422588
La nuova filosofia: Telesio, Bruno, Campanella
di Antonio Piromalli
secondo i suoi stessi principi», nella liberazione delle scienze empiriche dalla metafisica. Laureatosi a Padova nel 1535 riceve educazione umanistica e scrive in un latino conciso, con una breviloquenza che è il segno di una mente scientifica disposta alla precisione e al rigore.
in naturalibus agendum naturaliter»).
vere bestie» sono coloro che le seguono perché «
la poesia non nasce da le regole […], ma le regole derivano da le poesie») che imprigionano l’arte in schemi prestabiliti.
Negli ultimi decenni del Cinquecento risorge nella regione il banditismo che si era già sollevato contro il fiscalismo aragonese. Il brigantaggio è il rifugio di contadini espropriati, di pastori, artigiani disoccupati, di gente senza lavoro e senza fiducia nella giustizia; unica risorsa per le plebi che in esso cercano scampo dai soprusi dei baroni.
Marco Berardi di Mangone, ad esempio, si mette a capo di un gruppo di briganti, assume il nome di Re Marcone, crea un piccolo Stato presso Crotone e organizza una sterile sollevazione antispagnola riuscendo a sconfiggere le truppe mandate contro di lui da Fabrizio Pignatelli. Pare che egli sia stato educato dai Valdesi di S. Sisto dopo la distruzione del paese e il massacro degli abitanti.
La persecuzione contro i Valdesi rappresenta una delle più atroci pagine della controriforma. Immigrati nel Trecento in Calabria, i Valdesi dopo la Riforma di Lutero e il sinodo di Chanforan (1532) ripresero l’attività di predicazione missionaria; nel 1561 a Guardia si iniziò da parte del feudatario Scipione Spinelli la caccia all’uomo contro di essi, l’incendio delle loro case. Lo Spinelli fece entrare infine a Guardia le milizie regie e banditi «
indultati et assicurati dal magistrato». Molti Valdesi furono gettati dalle torri, gli altri vennero
scorticati vivi e poi fenduti in due parti […] e a questo modo attaccati a pali piantati per tale uopo lungo la strada per la lunghezza di trentasei milia.
Campanella nasce in questo mondo di oppressione, e il problema suo è quello del male da eliminare sostituendo al potere dei baroni quello di una religione rinnovata, di una legge unica civile e religiosa, che aiuti i miseri senza istruzione e senza lavoro. Il nucleo del suo pensiero deriva dalla realtà della Calabria decaduta che dovrà avere, come tutte le altre parti del mondo, una rigenerazione in cui gli uomini vivano, senza diversità di stato sociale, guidati da una monarchia ecumenica, sacerdotale e cristiana.
siano advocati de’ poveri e delle universitadi», si tengano nelle scuole lezioni di agricoltura («
e vadano i massari ad ascoltare come e quando debban seminare, sotto che stelle e in che terre»), di nautica, di pastorizia, di arti meccaniche «
e imparino da loro i poveri»; le scuole di poesia siano scuole di lode della virtù e di disprezzo dei vizi, in modo da eliminare gli «aggiratori del popolo».
camminai per tutte le sette antiche e moderne di filosofi, di medici, di matematici, di legislatori e d’altri scienziati») rivelando particolare interesse per il naturalismo telesiano.
Costretto a ritornare in Calabria, matura qui l’idea di preparare una congiura antispagnola e di costituire una repubblica. Certamente Campanella, conoscendo il malcontento delle popolazioni calabresi vessate e dissanguate dal vicereame spagnolo, pensava di trovare le condizioni più favorevoli per l’attuazione dei suoi disegni; ma tradito da due congiurati fu arrestato come reo di lesa maestà e di eresia. Condotto a Napoli, rimase imprigionato per ventisette anni, fingendosi pazzo per evitare la pena di morte. Nel carcere fu sottoposto a torture:
mi fur rotte le vene e le arterie; e il cruciato dello aculeo mi lacerò le ossa […] e la terra bevve dieci libbre del mio sangue […] risanato dopo sei mesi […] in una fossa fui seppellito […] ove non è né luce né aria, ma fetore di umidità e notte e freddo perpetuo.
Nel 1626 fu condotto a Roma per volontà di Urbano VIII e, dopo essere rimasto tre anni a disposizione dell’Inquisizione, nel 1629 venne liberato; nel 1634 fu ancora accusato di una congiura antispagnola e riparò in Francia dove Luigi XIII e Richelieu lo accolsero con grandi onori e dove insegnò teologia alla Sorbona e morì nel 1639.
scalzi e scapigliati», fino ai sette anni. Dopo i sette anni vanno tutti «
alle lezioni delle scienze naturali» e più tardi imparano i lavori della campagna e del pascolo degli animali. Discipline comuni a tutti sono l’arte militare, l’agricoltura, la pastorizia, le arti più faticose e più utili sono quelle del fabbro e del muratore. La rivalutazione delle attività manuali, considerate dal filosofo «
le più nobili» e «
ignobili» dagli oziosi che nessuna arte imparano, è una denunzia della vita negletta e oziosa della classe dirigente spagnola e indigena meridionale, distaccata dal popolo e dalla sua miseria.
Aspre e dense di pensiero, prive di allettamenti retorici, le poesie di Campanella sono aderenti a quel mondo contadino, primitivo e povero nel quale egli aveva creduto di dovere svolgere una missione di rinnovamento:
conobbi con ogn’un che parlavo — dichiarò nel processo contro il tentativo di congiura — che tutti erano disposti a mutazione, ed per strada ogni villano sentiva lamentarsi: per questo io più andavo credendo questo havere da essere.
Espressione del mondo contadino subalterno, Campanella non adorna i suoi versi, messaggio di verità, ed è contro coloro che cantano «finti eroi, infami ardor, bugie e sciocchezze
». Da tirannidi, sofismi, ipocrisie derivano carestie, guerre, peste, ingiustizia, lussuria, il «proprio amor
» nasce da ignoranza, la maggior fortuna è il possesso interiore:
- né frate fan cocolle e capo raso.
- Re non è dunque chi ha gran regno e parte,
- ma chi tutto è Giesù.
Dietro i simboli spesso si nasconde l’intrigo e il poeta invoca Cristo:
- se torni in terra, armato vien, Signore;
- ch’altre croci apparecchianti i nemici,
- non turchi, non giudei; que’ del tuo regno.
Mentre gli ipocriti e i sofisti addormentano il mondo Campanella immagina di vegliarlo e illuminarlo
- (Stavamo tutti al buio. Altri sopiti
- d’ignoranza nel sonno […]
- io accesi un lume)
e profetizza il giorno in cui gli uomini esalteranno il liberatore «cantando: viva, viva Campanella
».
fuoco» di Dante, e la sua polemica letteraria è un aspetto della moralità e del desiderio di verità. Le immagini ardenti, i colori accesi e contrapposti, il pensiero prepotente hanno grande rilievo d’arte nel Campanella perché sono espressione di un genio vigoroso e multiforme che si solleva dalla solitudine di generazioni di miseri contadini anelanti alla giustizia.
Il tema messianico del rinnovamento è fondamentale in Campanella per il desiderio di preparare l’avvento di un unico regno governato da una religione naturale che avrebbe favorito la partecipazione degli uomini alla vita universale e al processo creatore della vita. La rozzezza delle rime è la scelta espressiva del Campanella per potere manifestare succosamente il suo naturalismo antiaristotelico ed è la componente più suggestiva della sua alta lirica, come nell’inno Al Solescritto dal fondo del carcere:
- Tu sublimi, avvivi e chiami a festa novella
- ogni segreta cosa, languida, mesta e pigra […]
- I tassi e ghiri dal sonno destansi lungo;
- a’ minimi vermi spirito e moto dai.
- Le smorte serpi al tuo raggio tornano vive:
- invidio misero, tutta la schera loro […]
- L’olive secche han da te pur tanto favore:
- rampolli verdi mandano spesso sopra.
- Vivo io, non morto, verde e non secco mi trovo,
- benché cadavero per te seppellito sia. […]
- Nullo di te conto si farà, se io spento rimango:
- quel tuo gran titolo meco sepolto fia.