L’adagietto di Mahler – non solo lacrime – Serenade aus “Don Juan” – Phantasie Aus Don Juan – Fischer-Dieskau / Engel


L’adagietto di Mahler – non solo lacrime

Carlo De Pirro

«La retorica è analoga alla dialettica: entrambe riguardano oggetti che, in un certo modo, è proprio di tutti gli uomini conoscere e non di una scienza specifica». L’incipit della Retorica di Aristotele (Libro I, 1354a) ben sintetizza quello scambio empatico di gesti, metafore e interrelazioni affettive che permette di sostituire, a chi frequenta una sala da concerto, la consapevolezza grammaticale con il suo senso comune, o kit di sopravvivenza estetico. Ma è proprio nella natura artificiale di queste relazioni che si è sviluppata la specificità della moderna narratologia musicale, basate su quell’idea di complementarietà — o madrigalismo sintattico — con cui viene ampliato in dimensione formale il madrigalismo di sintagma.
Useremo questo metodo di analisi per sbrogliare i codici di interrelazione che permettono all’Adagietto dalla V Sinfonia di Mahler di oscillare, senza perdita di identità, fra lirismo di massa e trasfigurazione temporale e melodica.
Ne introduciamo i presupposti partendo da una convenzione estetica che non ha eguali nelle altre arti. Sia in un testo basato sul contrappunto sia nell’affermarsi della macchina-orchestra, con il suo sovrapporsi di strati significanti in primo piano o sfondo, l’ascoltatore non percepisce razionalmente tutto ciò che accade. Pur cosciente che il suo sguardo uditivo è dilatato in più dimensioni. Il nostro orecchio agisce come l’obiettivo di una telecamera sensibile che, di fronte ad un impasto di oggetti e passioni, seleziona i punti focali con cui stabilire una vibrazione empatica. Nel fare questo movimento nello spazio sonoro noi percepiamo simultaneamente in modo conscio e subliminale. E così la polifonia regala l’illusione di trovarsi di fronte ad uno spazio a più dimensioni, in cui poter orientare l’attenzione sia verso le figure principali che verso la lontananza che lo supporta. La polifonia è quindi la conquista (illusione) della profondità.
In uno snodo fondamentale della cultura sonora occidentale, che prima si è evoluta in complessità di strati verticali (polifonia) poi in complessità di relazioni orizzontali (scoprendo le potenzialità di trasformazione del tempo, questa prospettiva iniziò ad assumerla l’armonia nei confronti della melodia. Allo stesso modo che un aggettivo (proviamo ad immaginare iridescente, o burrascoso) modifica un sostantivo (cielo) anche le mutazioni d’armonia che accompagnano il diagramma melodico ne completano il senso tramite varianti di tensione, a seconda che si instauri una relazione di maggiore o minore consonanza — in base alle convenzioni armoniche — fra il melos e lo spettro artificiale con cui si costruisce il campo armonico. Ulteriore sfumatura dell’idea di primo piano-sfondo, con la capacità di quest’ultimo di mutare il senso del personaggio-melodia.
Pensiamo all’idea di contrappunto come ad un gioco di specchi. Si getta un motto melodico dentro il caleidoscopio del tempo e lo si riascolta in molteplici sovrapposizioni. Quando, dall’assemblare segni sonori di natura omogenea, si iniziò a sovrapporre masse in continua metamorfosi iniziò a determinarsi una polifonia di codici simultanei. Così come, da un comporre di tipo addizionale, si passa a relazioni di tipo narrativo. La ripetizione variata (si potrebbe scrivere una storia della musica come storia delle ripetizioni e del loro grado di trasfigurazione) divenne uno dei paradigmi distintivi di tutta la cultura sonora tedesca, piacere intellettuale in cui comunque si esercitarono con differenti sfumature tutte le culture europee.
Assieme alla scoperta del tempo, e di come si possa “comporre” la sua trasformazione, la complementarietà (costruire un senso per somma di gestualità sonore differenti) è
una delle caratteristiche più innovative nelle convenzioni linguistiche sviluppatesi dalla retorica barocca. La complementarietà manifesta concretamente la coscienza che non si può rappresentare un carattere con un unica immagine, ma bisogna ricorrere a più sfumature e tipologie, piccole icone sonore la cui somma sia in grado di delineare un complessivo diagramma estetico-emotivo.
I principi di complementarietà, contrasto e ruolo della ripetizione si possono verificare sia nella macro-forma che nella micro-forma (formazione delle frasi o delle sezioni). Per quel che riguarda la micro-forma l’idea di formare frasi composte da incisi complementari o contrastanti (di moto e di stasi nella maggior parte dei casi) precede la formulazione del contrasto formale derivato dalla successione di temi dal diverso carattere.
Dal punto di vista della macro-forma si ha complementarietà sia in funzione di anticipazione temporale (una sezione serve ad introdurne — o a farne desiderare — un’altra) sia in conseguenza (riferito a quanto già avvenuto, allo scopo di equilibrarne le tensioni). Per quel che riguarda la micro-forma si possono citare alcuni esempi.
Nell’Ouverture del Don Giovanni di Mozart al Molto Allegro è demandata l’alterità di Don Giovanni rispetto a quanto riferisce al Commendatore il precedente Andante. Questa si costruisce con tre brevi spunti tematici: cromatismo (sensualità), sincopi (vitalismo di Don Giovanni), fanfara (sua supposta nobiltà e cavalleria).

Troviamo una identica tripartizione gestuale nel tema che apre (bb. 1-11) il Concerto per pianoforte e orchestra K 467 e nella definizione di carattere stabilita da Puccini per il ruolo di Scarpia in Tosca, nell’incipit dell’Atto I: tritono al basso (diabolus in musica), cromatismo al canto (sensualità), colore degli ottoni (potere).
Una complementarietà più definita la troviamo nel Prélude a l’après midi d’un faune (bb. 1-4). Debussy alterna un motto prevalentemente cromatico (nell’ambito di un tritono) ad un motto diatonico, in ambito di ottava, con l’esclusione dei semitoni.

Tornando alla macro-forma (e ai suoi inneschi drammaturgici) il compositore progetta un madrigalismo sintattico dall’accostare entità sonore a diversa fisiologia,
non solo alternando tensioni a distensioni ma anche nella presenza contigua di sezioni a maggiore o minore densità informativa e diagrammatica.
Proviamo a stabilire un primo contatto con le convenzioni letterarie: «La narrazione è la rappresentazione di almeno due situazioni o avvenimenti, reali o immaginari, in una sequenza temporale, nessuno dei quali presuppone o implica l’altro». Questa definizione di Gerald Price sembra poter accogliere i principi su cui si basa l’idea di opposizione e complementarietà di cui la forma sonata (e quindi implicitamente tutto ciò che in musica si è evoluto partendo dall’idea di contrasto) è simbolo. Infatti i due temi che vi appaiono, separati prima da una distanza artificiale—il codice musicale della tonalità — poi sempre più da connotazioni narrative opposte, corrispondono ad universi espressivi senza relazioni (“nessuno dei quali presuppone o implica l’altro”) che trovano una loro relazione solo grazie alla contiguità temporale in cui si alternano. Contiguità che è l’autore a “comporre”, quindi a muovere drammaturgicamente, stabilendo un codice per governare gli opposti che è stato in grado di adattarsi alle pressioni delle più differenti estetiche.
Serviamoci ancora di un parallelo narrativo, la definizione di sequenza data da Roland Barthes nel suo Introduzione all’analisi strutturale del racconto (pp. 13-14): «Unità del discorso… autonoma, in grado di funzionare come un racconto, ma ugualmente suscettibile di trovarsi integrata, come una delle parti consecutive, in un racconto di più ampio respiro». Ciò significa anche che ogni sezione di cui una composizione organica è composta (ad esempio tutte le sezioni che si susseguono, con differenti funzioni, in un Allegro di sonata) può aver funzione principale, rafforzativa o sussidiaria. A seconda quindi del posto che in cui viene collocata nella narrazione si comporterà musicalmente secondo differenti gerarchie.
Una delle convenzioni sperimentate nella forma sonata è proprio quella di stabilire regole di comportamento diverse per ogni punto formale in cui il materiale si trova ad re-agire. Per cui uno stesso frammento tematico può avere diversa consistenza, reattività e prosecuzione se si trova in fase affermativa o di sviluppo. Presupponendo quindi un relativismo legato alla posizione temporale in cui un tema compare o viene riproposto.
Si arriva così ad organizzare un sistema di gerarchie per cui le sezioni, distinte per configurazione armonica, melodica, ritmica e timbrica, hanno peso ed importanza variabile.
Questo implica un ambiente di reazione differente, esattamente come accade per una narrazione che sposta il personaggio principale da un ambiente in cui opera con reazioni prevedibili ad un ambiente “dinamico” per ostilità o differente “sfondo” sociale.
L’integrazione fra sezioni di varia natura avviene per la teoria del contrasto. È il contrasto che valorizza l’opposto. L’inserimento di sezioni contrastanti ha la funzione di meglio definire il carattere principale. Come verificheremo nell’analisi che segue questa non si basa necessariamente su caratteri opposti. Spesso per porre in rilievo una sezione questa può essere preceduta da brevi tratti a bassa tensione emotiva, con profili melodici o ritmici insignificanti.

L’Adagietto dalla V Sinfonia di Mahler è un complesso meta-sistema pronto a modificarsi in relazione a quanto lo precede o a quanto avverrà, siano essi gesti sonori, movimenti che lo incorniciano o figure retoriche. Scopriremo quindi come il madrigalismo sintattico con cui viene costruito il primo periodo si basi proprio sull’alternanza di tre sezioni a basso diagramma sensibile e tre sezioni in progressiva trasfigurazione. Nel corso dell’analisi si sottolinerà inoltre l’uso di singole figure retoriche, raccordandole ad altre opere in cui svolgono analoga funzione.

Molti le convenzioni presenti in questo movimento. Ad iniziare dalla suddivisione ternaria (bb. 1-38; bb. 39-71; bb. 72-103), dalla regolarità di molte sezioni (basate sui multipli di due) dall’uso di progressioni, aumentazioni, pedali e in genere di figure retoriche, il tutto all’interno della funzione connettiva di un metro generatore (peone quarto), dalla funzione dilatante di appoggiatura, da quella propulsiva delle acciaccature, da quella “virale” del cromatismo e dalla solitudine timbrico-ritmica dell’arpa.
Convenzioni piegate ad una precisa costruzione di arcate emotive, poggiate sul progressivo condensarsi di punti focali alternati a respiri di attesa. Partiamo quindi dalla costruzione del periodo A per intersecare progressivamente tutti i tasselli sulla cui architettura variata si forma il movimento.
L’iniziale semplicità gestuale (una piramide di suoni rivolta al grave) somma l’ambiguità armonica alla figura retorica dell’attesa (non è presente nessun elemento melodico in grado di catalizzare l’identità). Il Do delle viole lascia presumere il tono di Do. La comparsa ancora alle viole del La, seguito da arpeggi sulle medesime note dell’arpa, sembra rafforzare il tono del relativo minore. Neanche l’ingresso della melodia ai I violini modifica l’impressione di centro tonale (Do, Re, Mi appartengono melodicamente — non a caso — a tutte e tre le tonalità che sfileranno da b. 1 a b. 3).
Solo b. 3, con l’aggiunta di una ulteriore terza discendente ai contrabbassi pizzicati (quindi di un elemento fonico inatteso) stabilisce Fa maggiore come tono d’impianto. La corrispondente figura retorica (armonie che si modificano con l’ingresso di note gravi) serve a mutare di natura — in questo caso armonica — quanto si poteva supporre rispetto alle precedenti attese. Solo per citare una ambiguità corrispondente si veda, nella Sonata op. 106 di Beethoven, la battuta iniziale dell’Adagio sostenuto.
Più in generale il senso di attesa delle prime due battute stabilisce una funzione-cuscinetto che verrà ripresa altre due volte in questo periodo. Nel primo caso (bb. 19-22) brevi incisi cadenzali non riescono a generare nessun nuovo centro melodico. Si notino per altro le numerose assonanze con le battute iniziali. La tonalità di La minore riporta all’ambiguità armonica che precedeva l’affermazione del tono di Fa.
Così come b. 23 presenta forti analogie con b. 2: la melodia che inizia da un Do (qui all’ottava alta e proseguita con moto discendente), la falsa ripresa del motto iniziale in una parte interna (II violini), il movimento del basso dal La al Sol. Parleremo del terzo scarico di tensione quando affronteremo la prima catabasi melodica.

Torniamo alla prima sezione (levare di b. 3). Dal punto di vista gestuale il moto ascendente dei I violini, dal V al I grado melodico, genera un punto di forza verso l’acuto contrario a tutti i movimenti discendenti che avevano caratterizzato le prime due battute. Già questo serve ad identificare la funzione dell’Io-narrante melodico (salvo diverse indicazioni, quando si cita una battuta senza specificare lo strumento si intende I violini). Enfasi a cui contribuisce anche il molto ritardando, fatica dell’ascendere e premessa all’esitazione espressiva dell’appoggiatura inferiore di b. 3.
La regolarità sintattica non viene garantita solo dal contenitore di otto battute. Il metro peone quarto (tre brevi e una lunga) viene mantenuto sul levare di sei delle otto battute su cui si articola la prima sezione mentre l’appoggiatura (inferiore e superiore) in battere è presente in cinque battute. Complessivamente predomina il grado congiunto, i pochi intervalli disgiunti non sono enfatizzati e il diagramma si mantiene nell’ambito di una nona maggiore.
Il percorso melodico viaggia senza interferenze con quello armonico fino a b. 5. La prima nota alterata è il Lab al basso. Questo ci segnale il primo cromatismo, la cui ricorsività (da tre o cinque note) avrà costante valore connettivo e significante in tutto il movimento.
Il primo cromatismo appunto (violoncelli e contrabbassi, bb. 4-7), serve ad introdurre la prima alterazione cromatico-armonica (cambio di modo, con il La bemolle, poi modulazione al II grado con il Fa diesis). Subito il cromatismo discendente si moltiplica a cascate nelle altre voci (I violini, b. 6; viole, bb. 6-7; II violini e arpa b. 8).
La soluzione più connotante si ha sul quarto movimento di b. 6. Una artata dissonanza (urto fra Re dei I violini e Do diesis delle viole) provoca la prima incrinatura “virale” rispetto alla linearità idilliaca delle battute iniziali (accenneremo al termine dell’articolo alle assonanze narrative che hanno portato all’utilizzo quasi esclusivo di questa pagina come commento complementare a Morte a Venezia di Luchino Visconti). Così come nella seconda sezione la progressione melodica viene interrotta a causa della prosecuzione cromatica a Sol diesis dell’inciso di b. 12. Cromatico ascendente è anche il supporto al basso della anabasi di figura che inizia a b. 27, preceduto dal cromatismo dei violoncelli a bb. 25-27. La ripresa della anabasi a b. 91 vedrà un allargamento da cinque a sette gradi cromatici, con accentuazione espressiva che verrà spiegata quando illustreremo più avanti la figura. Troviamo un cromatismo melodico a b. 34 (II violini, con levare, ripreso dal levare di b. 36) come inciso principale dell’ultimo periodo (verrà poi ripreso alla dominante da b. 82) mentre un cromatismo in parte interna (viole, levare di b. 45) precede il collasso armonico (anche questo ottenuto per scatto cromatico) di b. 46. Cromatico discendente è anche il movimento di basso che da b. 59 a b. 71 conclude il periodo centrale, cromatismo che a bb. 68-70 viene attuato — su altre linee — anche dai violoncelli. Questo in corrispondenza (b. 68) del moto cromatico ascendente dei I violini, ripetuto una seconda volta la battuta successiva. La ripetizione ravvicinata di uno stesso inciso è figura retorica molto utilizzata, nel cui carattere esitante traspare l’imminente cambio di prospettiva sonora.
Torniamo alla funzione del cromatismo nella prima sezione: determinare un aumento di tensione alle quattro battute centrali. La conclusione di sezione riprende per simmetria a specchio il senso di attesa iniziale utilizzando (bb. 9-10) la staticità sospensiva di una armonia di dominante con ritardo di quarta (poi non risolta in terza), armonia utilizzata anche a b. 4. Con questo Mahler riesce a mantenere sospesa la frase eliminando lo sciogliersi della tensione cadenzale assolto dalla funzione di dominante.
Un solo accenno alla particolarità melodica di b. 7: secondo Si bemolle da interpretare come quinta eccedente (enarmonica) non risolta della dominante di Sol minore, o meglio come breve pedale superiore (non continuo) di Si bemolle, grazie alle cinque ripetizioni della stessa altezza fra b. 6 e b. 8.
Il percorso della seconda sezione (dal levare di b. 11), pur nascendo dal germe melodico della prima e conservandone le dimensioni, si rivela più articolato del precedente. Si affida la melodia al timbro dei violoncelli senza cambiarne l’altezza, e questo semplice cambio di orchestrazione imprime all’arco melodico quella maggior tensione che ne favorirà il successivo modificarsi. In realtà l’assonanza con il motto iniziale è solo un effetto percettivo. La somiglianza fra questo incipit ed il levare di b.3 dipende solo dall’uso del molto ritardando nel primo caso. In realtà qui ci troviamo di fronte ad una aumentazione dei valori che porta il passo ritmico da croma a semiminima. Questo si associa anche a piccoli cambiamenti armonici nelle parti di sfondo, di modo che assistiamo ad una forma quasi invisibile di variazione. Tenendo conto del nuovo passo ritmico la frase conserva solo le prime due battute uguali. La variazione della terza (b. 13) con l’introduzione del cromatismo — abbiamo già accennato alla sua funzione collassante — viene annunciata già dal battere con la ripetizione del pizzicato dei contrabbassi, ancora fermo alla tonica. La modulazione (con iniziale cadenza d’inganno) verso La minore spinge il violoncello fino al Do, slancio dal cui apice si forma la prima catabasi melodica. L’inabissarsi di dodicesima del melos (fino al Fa di b. 16) produce un gesto estraneo al precedente diagramma melodico. Gesto che verrà ripreso modificato nelle bb. 29-30 come entropia melodica prima dello slancio al culmine della prima anabasi di figura (bb. 27-30) e che poi accompagnerà (bb. 30-32) con profilo simile lo sciogliersi della tensione che dalla quarta e sesta porterà all’armonia di dominante. Di un’ulteriore catabasi melodica (da b. 43) parleremo in relazione alla figura di progressione che si forma a bb. 12-15. La catabasi che la segue è la figura che interrompe la prima progressione del movimento.
Ma anche la seconda progressione (ascendente di semitono, con inizio dal levare di b. 39) viene rifiutata tramite una rottura improvvisa, in questo caso il cambio di ottava da cui si sviluppa un’ulteriore catabasi, questa volta superiore alle due ottave (bb. 43-45). La terza progressione inizia a b. 58. Propone un modello di tre battute, il cui modello melodico iniziale dilata lo schema melodico di b. 50. A b. 61 il modello viene subito riproposto ad una terza inferiore. Ricompare modificato, in funzione di coda (b. 68), un tono sotto la precedente, rielaborando solo l’incipit iniziale, che la terza volta compare per aumentazione. L’aumentazione di b. 70-71, riproponendo in maniera scandita il metro peone contemporaneamente al moto discendente del basso (moto qui cromatico, ma negli identici confini melodici La-Sol di b. 2) è gesto che funge da richiamo alla ripresa della sezione iniziale.
Concludiamo l’analisi della seconda sezione. Le due battute conclusive si comportano come quelle della prima. La melodia viene proseguita dai II violini fino alla conclusione in La minore, ma con un diagramma cadenzale insignificante, quindi con identico scarico di tensione come nella prima cadenza. Questo porta ad anticipare una identica reattività melodica che si articolerà nella terza sezione-cuscinetto (bb. 34-38).
In quel caso l’eccitazione provocata dalla precedente anabasi di figura provoca uno smarrimento melodico che si esprimerà in moti cadenzali ancora insignificanti, scarico di tensione basato su incisi provenienti dalla seconda sezione cuscinetto (oltre che con la ripresa del metro principale).
Possiamo quindi riassumere lo schema di alternanza sezioni cuscinetto-sezioni dinamiche (qui riportate in grassetto) con cui si completa il periodo A: 2+8+8+4+11+5. Regolarità quindi nell’accrescimento delle sezioni cuscinetto mentre l’ultima sezione dinamica, grazie all’eccitazione dell’anabasi di figura, risulta “irrazionalmente” irregolare rispetto ai precedenti di otto battute.

Della funzione della sezione-cuscinetto di bb. 19-22 abbiamo già accennato, quindi introduciamo la terza sezione espressiva (bb. 23-32), apice del periodo iniziale.
Sottolineiamo solo come si avvii in contrappunto d’inganno. Questo per il simultaneo riproporsi delle gestualità sonore (con piccole modifiche ritmiche) con cui si iniziavano le precedenti sezioni. La prima è il basso discendente da La a Sol (b. 2), la seconda è l’ascesa di semiminime a b. 10 (qui ai II violini) che contiene il motto melodico principale. Questi “segni” si sovrappongono al nuovo diagramma proposto dai I violini, creando ambiguità su quale possa essere il percorso melodico-guida.
Ambiguità che si scoglie solo a b. 24 (ma qui naturalmente entra in campo anche il potere discrezionale del direttore d’orchestra, che può tirar su la linea superiore anche se tutti e sei gli strati sonori portano la dinamica π). Per assonanza di funzione identico contrappunto d’inganno — ma con aumentazione e variazione dei valori — si verifica nelle bb. 86-87.

Il nuovo diagramma melodico si basa su punti di forza diversificati ma complementari. Nelle prime quattro battute (23-26) si ha un duplice asse in espansione discendente-ascendente. Possiamo considerare note-cardine (per il valore lungo su cui si appoggiano) il Do e il La, il Mi e il Sol. Va notata la sottolineatura (come un ricordo, e non a caso in questa breve progressione ha la maggiore dilatazione temporale) di b. 25, dove la appoggiatura melodica ascendente dei I violini ripropone la stessa ambiguità armonica La minore-Fa maggiore delle battute iniziali. Per lo stesso principio di note-cardine a valori lunghi le successive tre battute e mezzo si basano su di una ascesa diatonica di cinque gradi (Re, Mi, Fa, Sol, La), apici alternati a note che dal registro più grave assumono funzione di slancio.
Chiameremo questa ascesa anabasi di figura. La divaricazione ascendente-discendente si attua quindi con valori lunghi per il moto ascendente (sempre a distanza di tre semiminime, tranne nella preparazione allo slancio finale) e figurazioni in croma complessivamente discendenti dal cui slancio parte lo scatto per l’ascesa (per diagrammi melodici misti con progressiva salita di grado dei picchi si può confrontare (bb. 35-37) il Kyrie dalla Messa in Si minore di Bach).
Va segnalata, a partire da b. 27, la funzione propulsiva dalle acciaccature nel sospingere la tensione anabasica del canto. Questa figura inoltre fornisce una prima forma di accentazione, accentazione che verrà poi sviluppata dagli sforzati nella sezione centrale. Da questo punto in poi acciaccature semplici o doppie macchieranno il melos nel periodo centrale e nella ripresa, con ultimi sussulti a b. 97 (due note) e 98 (una nota).
Torniamo al termine dell’anabasi di figura. La mancanza di valore lungo sul Sol (b. 29) è segnale di rottura che prelude allo scarico di tensione sulla armonia di quarta e sesta. Il precipitare melodico ricorda quello di bb. 15-16, utilizzato in questo caso come attesa-compressione che meglio prepara e valorizza la risoluzione di tensione finale. Si noti come la risoluzione in quarta e sesta venga sottolineata con l’arresto in due battute del ritmo armonico. Per l’uso della quarta e sesta di tonica come scarico di una lunga tensione modulante vedere ancora Mahler, VIII Sinfonia, Prima parte, b. 413.
Affine a questa intenzione è la conclusione del periodo B. Si giunge a b. 71 su di una armonia di sesta eccedente (sesta francese) La risoluzione evitata che evita quella canonica in Si avviene a distanza di tritono (il Fa maggiore della ripresa di A), ma su rivolto di quarta e sesta. Anche in questo caso uno scarico di tensione (la figura melodica esitante) si risolve con l’utilizzo di questo rivolto.
Complessivamente quindi questa anabasi di figura risulta essere l’apice emotivo verso cui si muove progressivamente tutto il primo periodo. La sua forza deriva dalla duplice ascesa diatonico-cromatica di canto e basso. Un’ulteriore esasperazione espressiva del cromatismo si ha nella ripresa dell’anabasi, precisamente a b. 94.
Secondo quanto avvenuto in precedenza ci si aspetta che, dopo la catabasi melodica di b. 93, lo sciogliersi della tensione arrivi sul La dei I violini. Ed invece Mahler rilancia. Sposta il cambio di ottava all’ottava superiore (b. 94) e sul La acuto lascia che si scarichi la forza di due armonie cromatiche sul IV grado (settima di IV specie con l’appoggiatura inferiore di Do diesis) e sul IV grado aumentato (con settima di sensibile). Si ha quindi il ricordo di uno scarico di tensione sovrapposto un ulteriore carico di tensione (cromatismo armonico).
Prima di affrontare la differenza fra le due successive catabasi di figura analizziamo la funzione dell’improvviso cambio di ottava. Abbiamo incontrato questa figura prima delle due catabasi, quindi in posizione espressiva forte. Si può immaginare che il raddoppio di salto di ottava nella seconda (b. 94) sia dovuto alla pressione cromatica del basso.
Ma troveremo questa figura retorica in altri due momenti importanti. All’inizio del periodo B il cambio di ottava di b. 43 spezza la simmetria della progressione. Il fatto che la melodia venga attratta improvvisamente da quel La che del periodo iniziale (b. 30) era apice culminante appare come una improvvisa e violenta rimembranza (in questo caso antidoto contro il pilota automatico della progressione). Se poi si congiunge il La con il Re ed il Sol successivi (semiminime col punto di bb. 44 e 45, ciascuna a distanza di quattro quarti) si tira un’altra diagonale melodica, come l’anabasi di bb. 27, con scatti a distanza di tre minime, sulle cui coordinate si regge il diagramma gestuale. Ultimo improvviso cambio di ottava lo si ha con il glissando di b.
72, battuta cerniera fra il periodo centrale e la ripresa del tema iniziale. In questo caso il cambio di ottava, naturalmente con moto discendente, accompagna lo sciogliersi della tensione fra una sezione di moto e la successiva più statica.
Ritorniamo alla tensione convogliata sul La di b. 30 e confrontiamo allora le due catabasi principali (bb. 30-33; bb. 95-102). Entrambe si articolano in cascata interna, sullo stesso schema armonico, partendo dalla stessa nota (variata di ottava), ma la loro diversità dipende ancora dalla posizione formale in cui si svolgono. Nel primo caso l’eccitazione da punto culminante porta nelle parti secondarie ad un rincorrersi di semicrome placato dalla discesa dei I violini. Il tutto nell’ambito di tre battute. Nel secondo caso si tratta del gesto finale del movimento, disteso in otto misure (più una battute statica di coda coronata) per una discesa melodica di tre ottave. Vengono utilizzate solo note appartenenti alle relative armonie, con l’aggiunta del Re, nota di volta o appoggiatura del Do. Un brevissimo Re era apparso anche nella prima catabasi (b. 30, II violini), ma il fatto che qui sia più evidente (ripresa al basso e al canto) può richiamare per inversione, contando anche il valore lungo sul Fa (bb. 96-97) l’inciso con cui si apriva a b. 39 (con il levare) il periodo centrale (Do Re Fa).
Singolare la gestione dinamica della seconda catabasi. Mentre nella prima il diminuendo dal ƒ al p iniziava puntualmente dopo una battuta e mezzo, nella seconda il ƒ resiste sei battute, nonostante sia già avvenuta tutta la discesa di tre ottave della melodia (manca solo la risoluzione del Sib a La). Segnale quindi che l’energia dinamica accumulata dal precedente crescendo e dalla tensione armonica di b. 94 necessita di un tempo molto maggiore per scaricarsi.
Abbiamo già accennato alla sezione-cuscinetto dal levare di b. 34. Il periodo A viene concluso riprendendo la caratteristica melodica più incisiva del motto iniziale (l’appoggiatura di VII) citando inoltre nelle bb. 37-38 l’arpeggio d’arpa di bb. 1-2. Conclusione quindi in retrogrado formale.

Il periodo B (da b. 39) si presenta i funzione di contrasto rispetto al precedente, pur riutilizzandone figure retoriche e cellule tematiche. È subito differenziato dal passaggio ad una dinamica in f, da accentazioni in ß, dalla rielaborazione delle acciaccature con funzione propulsiva e da un aumento della pulsazione ritmica. La prima sezione si articola in otto battute, suddivise in quattro e mezzo più tre e mezzo.
Subito si elabora il motto iniziale (stesso limite melodico Do-Fa e stessa altezza), variandone il senso con la scomparsa della nota più espressiva (il Mi) e con una diversa armonizzazione (Re minore, relativo di Fa maggiore). Con la ripresa ornata dell’incipit iniziale (terzo movimento di b. 42) sembra affermarsi l’inerzia della progressione. Ma qui interviene un improvviso cambio di ottava sul cui significato si rimanda alla trattazione corrispondente. Si noti semplicemente come vi sia, in questa sezione, un progressivo dilatarsi del diagramma melodico, dilatazione che trova una sua esaltazione dopo l’improvviso salto di ottava. A provocare il collasso di questa sezione è il cambio di prospettiva armonica verso i bemolle con il passaggio dal V grado di Si bemolle al VI grado minore (Sol bemolle, utilizzato poi come tono di riferimento). Come esempio della figura retorica del collasso vedere b. 414 nel Moto vivace della IX Sinfonia di Beethoven. Come esempio di cadenza d’inganno al VI grado minore (nel modo maggiore) basta spostarsi al movimento successivo, Rondo-Finale, per trovare esempi strutturali da b. 119 in poi. Lo sciogliersi della tensione all’apparire del tono di Solb maggiore (b. 47) porta ad una serenità sospensiva segnalata da cinque battute di pedale di dominante, dalla dinamica in p e π e da un procedere melodico basato prevalentemente sul grado congiunto melodico. Questo processo riporta, per analogia, all’implosivo sciogliersi di tensione delle due catabasi di figura. Poco alla volta, in funzione di rimembranza concitata — perché posto ad un metronomo più sostenuto — ritorna il metro peone quarto (chiaramente da b. 50, ma era già stato preannunciato nella battuta precedente). Altro segnale che contribuisce alla rimembranza di gestualità precedenti è il ritorno (da b. 50) dei pizzicati ai contrabbassi. Il metro principale spinge poco alla volta la melodia nel registro acuto. Riappare poi (da b. 54) la figura di b. 20 ma in inversione e con intervallazione lata. Una liquidazione (b. 64), una rielaborazione melodica di precedenti schemi ritmici ed altre figure retoriche a cui abbiamo già accennato concludono, in un generale assottigliarsi degli impulsi, il periodo centrale.

La ripresa variata del periodo A, del levare di b. 74, crea un montaggio differenziato di elementi già apparsi. Si parte con l’aumentazione dei valori che trovavamo dal levare di b. 11. La differenza è che identica rimane la pulsazione in terzina dell’arpa, con la riproposizione nelle bb. 72-73 dei modelli di b. 1-2. Il fatto che agiscano su di un levare melodico a valori aumentati ne accentua la concitazione. Per ridurre al massimo l’interferenza diagrammatica la melodia viene appiattita. Basandosi totalmente, nelle sue prime sei battute e mezzo, sul grado congiunto. Si può considerare questa un’ulteriore reattività emotiva alle precedenti tensioni, anche perché l’appiattimento del diagramma melodico iniziale non porta nessun vantaggio espressivo. Da b. 78 ritorna il percorso tracciato da b. 5, ma già a b. 79 viene aggiunta una acciaccatura e nelle bb. 80-81 vengono fatte piccole varianti melodiche. La conclusione avviene (b. 82) con la risoluzione immediata del ritardo che implicitamente afferma il tono di Do, mentre la frase viene proseguita (b. 82) sviluppando lo spunto dei II violini dell’ultima sezione-cuscinetto (bb. 35-37). Si ha quindi una contrazione delle prime 23 battute in 15, recuperando in anticipo la sezione-cuscinetto di coda che, grazie all’estensione dell’ultima catabasi, non verrà più utilizzata.
Un ritardando e due battuta di sospensione servono ad integrare la ripresa della terza sezione, delle cui retoriche abbiamo già accennato. Resta solo da segnalare come una delle caratteristiche di linguaggio utilizzata in tutto il movimento (l’appoggiatura, in questo caso del IV sul III grado) concluda a sua volta il movimento.

Accenniamo ora alcune categorie generali, partendo dalla funzione dell’arpa. Lo strato sonoro aggiunto dall’arpa è l’irrazionalità passiva. Si cerca di simulare, con l’a-periodicità metrica nelle prime 18 battute (solo due sequenze vengono ripetute, comunque mai di seguito), una figurazione improvvisativa che non interferisce mai nella dialettica melodica (si noti a b. 2 la figurazione in inversione ritmica, utilizzando però la stessa sequenza di note).
La sua “visibilità” è concentrata soprattutto nelle prime dieci battute, anche grazie alla figura in terzine, figurazione che non compare in nessun’altra frase degli archi.
Nella seconda sezione scompare la terzina, si utilizzano brevi pause e non si risolve il finale accordo di dominante (b. 18). La terza sezione si basa ancora su crome e pause salvo poi aggregarsi all’eccitazione per l’arrivo in quarta e sesta (b. 30). Nell’ultima sezione-cuscinetto all’arpa è affidato il segnale circolare di fine periodo con la ripresa (bb. 37-38) delle figure iniziali (b. 1-2). Nella sezione centrale l’arpa ha un ruolo marginale, così come nella ripresa si limita a ripetere con qualche variante le figurazioni precedenti. Della stratificazione variata di bb. 72-73 abbiamo accennato in precedenza.
Più generale sono invece le contrazioni e decompressioni del tempo. L’Adagietto contiene numerose sfumature di metronomo attorno al Sehr langsam iniziale. Già questo, coniugato ai frequenti ritardando, dispone una pulsazione mobile, che oltre a variabili di metronomo permette di trovare lo stesso motto espresso a crome a b. 2 e a semiminime a b. 10. Il fatto poi che il metro principale del movimento (peone quarto) sia presente in oltre la metà delle battute complessive, con pulsazione da semicrome (bb. 30-31) a minime (bb. 98-100) rende il caleidoscopio percettivo di estrema varietà. Possiamo quindi parlare di metro generatore (come figura retorica possiamo pensare al metro dattilico nella Wanderer Phantasie di Schubert). Lo stesso mutamento di metronomo come elemento di variazione nella sezione di sviluppo riporta a contrazioni del tempo in funzione trasformativa, come ad esempio nello sviluppo dell’Allegro affettuoso del Concerto per pianoforte e orchestra di Schumann.
Un uso più tradizionale della decompressione del tempo riguarda le aumentazioni.
Della prima aumentazione nelle bb. 10-13 abbiamo accennato. Aumentazione gestuale è quella dei I violini a b. 31 rispetto agli incisi di semicrome che a b. 30-31 elaboravano una versione ad arpeggi discendenti del metro principale (II violini, viole e violoncelli). L’aumentazione (da b. 70) degli incisi di bb. 68-69 serve ad isolare a b.
71 il metro principale e con questo a richiamare la ripresa della sezione iniziale. In aumentazione è le ripresa del motto iniziale a bb. 86-88 (II violini), mentre l’uso di questo artificio si conclude in modo simmetrico (con moto discendente rispetto all’iniziale aumentazione con moto ascendente) quando a b. 97 i contrabbassi riprendono all’ottava bassa (il primo valore uguale, il secondo aumentato di una semiminima, i successivi raddoppiati) il loro inciso di b. 95.
Teniamo per ultime le relazioni con altri movimenti.
Innanzitutto una relazione privativa. L’Adagietto prende forma nel solo colore degli archi e dell’arpa. E pensando alla funzione di moto affidato ai fiati nell’intera sinfonia diviene chiara la volontà di accentuare la separazione timbrica ed emotiva di questa pagina.
Inoltre la dialettica primo piano-sfondo si attua semplicemente fra melodia e armonia, di modo che in questo movimento la melodia conduce interamente il gioco con la sua memoria.
Con la Trauermarsch c’è in comune il metro del motto iniziale, peone quarto, naturalmente con tutt’altro carattere. Questo permette però di avvalorare una lontana relazione. Il madrigalismo ritmico che associa questo metro ad allegorie funebri non sembra sfiorare il carattere dell’Adagietto. Ma l’assonanza con il lied Ich bin der Welt abhander gekommen (Sono perduto ormai al mondo) su testo di Friedrich Rückert si fa a questo punto più concreta. Il riferimento è in particolarmente alla sezione (da b. 43) corrispondente al testo: Sono morto al frastuono del mondo / e riposo in un luogo silenzioso. Vivo solo nel mio cielo / nel mio amore e nel mio canto.

Il secondo movimento (Stürmisch bewegt ) si apre con una identica ambiguità accordale: dal primo inciso si presume la tonica di La minore, ed invece nelle prime otto battute l’unica armonia è una settima diminuita costruita sul quarto grado aumentato della medesima tonalità.

La ricomparsa variata, nel Rondo-Finale, di profili melodici dell’Adagietto (da b. 190, riferito a quanto si sviluppa da b. 50) non solo fa riferimento a quei prestiti tematici fra movimenti che compaiono in molta letteratura sonatistica (fino ovviamente alla sonata ciclica). Il ritorno variato — con carattere differente — di un motivo o inciso dimostra come un elemento ben connotato possa adattarsi a comparire in differenti contesti, mutando profilo e significato. È questa un figura retorica di memoria fra le più innovative del cosiddetto “classicismo”. Accennavamo nell’introduzione a come nell’Allegro di sonata un’identica cellula abbia reattività e prosecuzione differente a seconda che si trovi in esposizione, sviluppo, ripresa o coda. Convenzione poetica che ci permette un ultima ramificazione, questa volta relativa alle sovrapposizioni simultanee di codici con cui si è identificato il linguaggio cinematografico. L’utilizzo ossessivo dell’Adagietto in Morte a Venezia di Luchino Visconti non è solo metafora del visus di morte a cui il protagonista si lascia sottoporre. È anche esplicazione di come una stessa pagina possa essere quinta sonora di tappe narrative differenti (la prima scena neutra sul traghetto, quando ancora non si conosce nulla di identità e psiche del protagonista, o l’ultima in cui l’epilogo di morte è visualizzato nello sciogliersi funebre del trucco), ogni volta ri-identificata in rinnovato senso.

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