The Wolf of Wall Street 2013 Full Movie Complete HD 780p

The wolf of wall street – Martin Scorsese e il Way of life americano

wolfofwallstreetLo specchio deforme in cui si riflettono i disvalori dell’American Way of Life è un centro propulsore di storie di cui il cinema si è sempre nutrito, almeno tanto quanto si è nutrito del classico sogno americano. In tale percorso, “Spring Breakers” di Harmony Korine si è inserito per la deflagrante iniezione di allucinazione psichedelica nel raccontare la formazione di un gruppo di giovani ragazze che della vita vogliono prendere solo “le fette di torta”, lo spring break, fregandosene del resto: l’accumulo feticistico di soldi, armi e droga è il lasciapassare per la maturità e per il vincente ritorno nella società di tutti i giorni; il contraltare realistico è stato il gruppo di ladruncoli di “Bling Ring” che Sofia Coppola ha messo in scena per mezzo di un’essiccazione stilistica che l’ha portata quasi alla negazione del racconto: una documentazione di fatti (realmente accaduti) che rivelano la banale quanto inquietante ossessione di una generazione per il raggiungimento di uno status sociale attraverso abiti, gioielli e oggettistica appartenenti ai divi residenti a Hollywood.
Martin Scorsese, facendosi guidare da questo sguardo febbricitante che patina di follia il microcosmo rappresentato, ritorna quel bulimico frullatore di forme cinematografiche girando con stile fluido e ipercinetico, dove le carrellate aprono la jungla di Wall Street, coi broker che sembrano gorilla urlanti al ritmo della musica di Jimmy Castor, e il montaggio alla metanfetamina della Schoonmaker regala una sbornia di immagini senza peso lunga tre ore. Al pari del suo protagonista, anche lo stile va avanti per un accumulo che sbanda spesso verso l’assurdo: si veda l’effetto rallenty di alcune sequenze, come quella in cui Donnie ha l’idea di coinvolgere un suo amico d’infanzia dopo l’assunzione di quaalude (e farfuglia sbavando “Steeeeeve Maaadden”), la velocizzazione innaturale di altre, la contrapposizione di segmenti eterogenei nei quali il pensiero corre più rapido della parola e si può pure ascoltarlo; poiché, in fondo, ci troviamo in una perenne e sovreccitata soggettiva di Belfort che stoppa il flusso delle immagini, cambia colore alle Ferrari, urla sguaiato il suo invasamento a una folla sempre più adorante, sfonda la quarta parete notificandoci le sue speculazioni, come se fossimo quei ragazzini affamati di denaro che affollano la hall della Stratton Oakmont – dopo che l’articolo di Forbes aveva fatto di Jordan non un bieco truffatore ma un modello da seguire.

the wolf of wall streetSi potrà accusare Scorsese di aver soltanto riportato all’alta finanza il concept che stava alla base di “Goodfellas” e di “Casinò”; e, sicuramente, non si è lontani dalla verità se in apertura Belfort ammette che voleva diventare ricco fin da bambino, strizzando l’occhio al Ray Liotta di “Quei bravi ragazzi”. La scarica di adrenalina nel fare soldi, l’eccitazione del fregare il prossimo può essere simile, ma in “The Wolf Of Wall Street” niente è mai veramente pericoloso, magari illegale, ma nessun broker rischia la pelle: a sorprendere è l’assoluta gratuità del meccanismo innescato. Ci sono colpe, peccati e depravazioni di ogni tipo ma non c’è alcun momento in cui appaia la benché minima voglia di redenzione. La volgarità di Belfort sta nella sua immoralità esibita, nella totale mancanza di un codice d’onore e, di conseguenza, il viaggio amorale di Scorsese diviene la satira più lucida e grottesca verso la mentalità del nostro tempo. Quello che fa il regista del Queens, a settant’anni suonati, è riuscire ancora a provocare, a dividere, a porsi problematiche che vanno al di sopra del quesito (che gli è stato più volte propinato dai giornalisti) se sia giusto rappresentare con una tale carica di iperrealismo fortune e misfatti di Jordan Belfort: Scorsese costruisce l’ennesima parabola autodistruttiva, con la famelicità che si orienta verso l’autofagocitazione finché l’impero non viene raso al suolo a causa del medesimo tsunami di appetiti che l’ha edificato.
Leonardo Di Caprio sfodera una performance che attraversa qualsiasi registro interpretativo, dal comico al drammatico, passando per gag slapstick di alta scuola: l’episodio del Lemmon 714 non ha nulla da invidiare a “Paura e delirio a Las Vegas”, né per istrionismo attoriale, né per montaggio allucinato che sconfessa la realtà distorta percepita dal protagonista (l’analogia “spinaci di Popeye-cocaina” è poi un demenziale colpo di genio). Se Margot Robbie è una “pupa” formidabile e Jonah Hill la rivoltante controparte del vecchio Joe Pesci, DiCaprio è il volto e il corpo in cui si iscrive la parabola scorsesiana. Senza di lui e senza le iperboli visive di Scorsese, “The Wolf Of Wall Street” non sarebbe la chiassosa e disgustosa orgia nichilista che ci ha conquistato.  Mollate tutto e andate a vederlo.

Redazione

Pubblicato sul numero 90 (Febbraio 2014) dell’edizione cartacea di Senza Soste



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