The lady from Shangai.

Welles Orson

La signora di Shangai

 

È un noir contorto, difficile, per certi versi estremo. La minuta ossatura della trama è rimpolpata da stravaganti incastri, complicata ad arte con impossibili rompicapi. Capiamo che il marinaio Michael O’ Hara (Orson Welles) sarà circuito dall’esplosiva Elsa Bannister (Rita Hayworth), perché è la stessa voce narrante di Michael a dichiararlo all’inizio. Capiamo che il marito di Elsa, l’avvocato Arthur Bannister, assume Michael come capitano del suo yacht; che egli sa bene della passione scoppiata fra il marinaio e sua moglie, e che malgrado ciò tutti insieme partono alla volta dei Caraibi per una crociera di piacere. Capiamo ancora che il socio di Bannister, George Grisby, anche lui sulla nave, offre a Michael un mucchio di dollari per farsi uccidere; o meglio, per recitare la parte dell’esecutore nel suo finto assassinio, che gli consentirebbe di incassare i soldi dell’assicurazione, scappare e cambiare vita.

 

Poi basta. Da qui in poi è logorante tenere dietro all’enigma. Come Grisby muoia davvero; come Michael sia incolpato dell’omicidio; come Bannister ne prenda le difese, e finisca per interrogare se stesso in un surreale processo; come Elsa risulti poi la responsabile del delitto, sono tessere criminose di un puzzle delirante che forse è vano ricomporre. Le volontà dei personaggi cozzano una contro l’altra, nello scomposto deflagrare di punti di vista, ambizioni, piani antitetici, che Welles fotografa con vena immaginifica a dir poco ingegnosa. Primissimi piani di facce eccessive, sudate, anomale; geometrie frastornanti ad avvolgere il corpo di Rita Hayworth; immagini che si spezzano, e ne moltiplicano le prospettive in un febbrile gioco di specchi: solo alcune delle soluzioni di un caleidoscopio visivo che non dà mai tregua.

Coerente con quella che pare la sorte della vera dark lady, anche Elsa, alla fine, morirà. In lei vi è poco di originale: è il vertice del triangolo nefasto, ai cui estremi stanno un marito tradito e un amante imbrogliato, che si ripete quasi sempre uguale nei noir; gode di debordante bellezza; è avida e all’occasione ricattatrice; soprattutto, è molto infelice. L’origine della ribellione sta qui, anche per Elsa: nella subordinazione per niente consenziente ad un marito ricco, insensibile, in genere brutto e più vecchio; e nell’insofferenza verso i tradizionali ruoli cui la donna è relegata dall’uomo. Phillys (“La fiamma del peccato”), Cora (“Il postino suona sempre due volte”), Ellen (“Leave her to heaven”) ed Elsa, non a caso sono casalinghe annoiate e stanche, degradate da una piatta esistenza di fatica; alcune di loro hanno precedenti, e rimpianti, lavori alle spalle; quasi tutte non sono madri. In Elsa Bannister, una Hayworth colta l’istante prima di sfiorire, al tempo moglie di Welles, vi è anche una certa coscienza della propria meschinità: ciò che la fa apparire un po’ meno spietata, e forse un po’ più intelligente, delle altre sue omologhe.

Regia: Orson Welles.

Titolo originale: The lady from Shangai.

Tratto da un romanzo di: Sherwood King.

Sceneggiatura: Orson Welles.

Direttore della fotografia: Charles Lawton, jr.

Montaggio: Viola Lawrence.

Interpreti principali: Rita Hayworth, Orson Welles, Everett Sloane, Ted de Corsia, Glenn Anders.

Musica originale: Heinz Roemheld.

Produzione: Columbia Pictures.

Origine: Usa, 1947.

Durata: 87 minuti.

http://www.lankelot.eu/cinema/welles-orson-the-lady-from-shangai.html

“La Signora Di Shanghai è l’ultimo film di Orson Welles fatto ad Hollywood, quello che ha scatenato la gigantesca frattura con i grandi studi, dopo la quale è cominciato il periodo di vagabondaggio europeo del regista alla continua cerca di fondi per realizzare altre opere.

Come tutti i film del post-Quarto Potere anche La Signora di Shanghai non è come Welles l’avrebbe voluto, ha una colonna sonora differente, scene realizzate in maniera diversa da come le avrebbe volute lui e tagli di montaggio che non gli appartengono. Tuttavia come spesso è accaduto il film rimane gigantesco comunque, specialmente nel finale con la famosissima sequenza nella casa degli specchi al Luna Park.”


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