farmacodinamica: la bioequivalenza dei generici e Spending review

28/07/2012 – IL CASO

Arriva la stretta sui farmaci griffati

Spending review, il medico dovrà prescrivere solo il pincipio attivo

roma

Arriva stretta sui farmaci griffati. Il medico, se per la prima volta segna un medicinale ad un malato cronico, o se si trova ad affrontare per la prima volta una malattia non cronica del proprio paziente dovrà indicare nella ricetta solo il principio attivo. O giustificare l’altra scelta. Lo prevede un emendamento alla spending review.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/463952/

Il dottor Lorenzo Magarotto, ricercatore e consulente scientifico, esprime la sua convinzione a questo proposito, non scevra da argomentate perplessità: “Un farmaco – spiega – può avere diverse forme farmaceutiche, con dosaggi diversi, che regolano una risposta farmaceutica e che sono indispensabili per valutare la biodisponibilità del farmaco stesso, definibile come una data concentrazione ematica del principio attivo in funzione del tempo necessario per ottenerla”. “Due prodotti farmaceutici – continua Magarotto – sono considerati bioequivalenti quando i loro profili concentrazione-tempo, ottenuti con la stessa dose somministrata, sono così simili che è improbabile che producano differenze rilevanti negli effetti terapeutici o comunque comprese in un range di ±20% accettabile secondo norma. Questo limite di variabilità è stato scelto perché i fenomeni biologici sono variabili: infatti, due unità posologiche dello stesso farmaco, somministrate a due differenti soggetti o in diversi momenti, danno curve di biodisponibilità differenti entro un range del ±20%. In pratica, i test di bioequivalenza consistono nel dimostrare che le differenze di biodisponibilità, che inevitabilmente esistono tra due prodotti essenzialmente simili, non superano un certo intervallo”. “Un intervallo di bioequivalenza così ampio – aggiunge ancora Magarotto – tende a trascurare le altre variabili farmacologiche e cliniche che possono incidere significativamente sull’equivalenza terapeutica di due prodotti, e potrebbe essere talvolta inadeguato a garantire con sufficiente affidabilità che due prodotti giudicati bioequivalenti abbiano anche parità di efficacia e biodisponibilità quando usati in una popolazione reale di pazienti. Nonostante queste perplessità, gli studi di bioequivalenza sono ritenuti sufficientemente adeguati per stimare l’equivalenza terapeutica tra due formulazioni, essenzialmente simili, contenenti lo stesso principio attivo. A mio parere, però, proprio queste perplessità dovrebbero indurre il medico e il farmacista consapevoli a valutare attentamente i farmaci generici nella totalità. In linea generale si può ragionevolmente accettare che i controlli preposti all’AIC (Autorizzazione Immissione in Commercio) dei medicinali equivalenti forniscano una sufficiente garanzia sulla loro interscambiabilità con il farmaco innovativo. Tuttavia, non si possono nascondere alcuni problemi che sono stati sottostimati o del tutto trascurati. I test di bioequivalenza, come vengono attualmente effettuati, consentono di stimare una “bioequivalenza media di popolazione” e non una “bioequivalenza individuale”.  In base a queste considerazioni il medico e il paziente che utilizzino un farmaco bioequivalente possono aspettarsi un risultato terapeutico “mediamente equivalente” nella popolazione complessiva degli utilizzatori, ma non è possibile fornire informazioni circa la probabilità che la risposta del singolo paziente alle due formulazioni diverse (farmaco di riferimento e generico bioequivalente) sia la stessa. Il problema è particolarmente rilevante per i farmaci caratterizzati da un modesto indice terapeutico. Pur rimanendo quindi valido genericamente il concetto di sostituibilità tra il farmaco di riferimento e un farmaco generico bioequivalente, è evidente come possa essere importante per il medico conoscere, per i singoli prodotti alternativi equivalenti, il range di scostamento dei parametri di confronto onde poter eventualmente scegliere il prodotto che più si avvicina a quello di riferimento. Inoltre, questa variabilità “interna” tra farmaci generici non permette un diretto confronto tra loro in quanto essi vengono confrontati esclusivamente con la specialità di riferimento; non è facile, quindi, estrapolare una equivalenza tra loro. Il concetto di bioequivalenza non gode sempre e comunque della proprietà transitiva: non è possibile concludere, senza una verifica diretta, che due prodotti, ciascuno bioequivalente con lo stesso standard di riferimento, siano bioequivalenti tra loro. Questo problema ovviamente è uno dei maggiori ostacoli alla libera sostituibilità del prodotto da parte dei farmacisti con prodotti equivalenti”

La normativa vigente, basata sul D.Lgs. n. 323 del 20/06/96, stabilisce che i farmaci generici debbano avere “la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica e le stesse indicazioni terapeutiche”. La normativa non prevede la composizione degli eccipienti. Il problema non è irrilevante, soprattutto per quanto riguarda forme farmaceutiche quali granulati, soluzioni orali, compresse, capsule, preparazioni dermatologiche. E non si tratta solo di problematiche legate al rilascio del principio attivo, ma anche di problemi di allergia o di generica intolleranza ai diversi tipi di sostanza.

L’aumentata diffusione di patologie che impongono restrizioni alimentari o di evitare determinate sostanze, ha fatto sì che si presti sempre più attenzione a questo problema. Su questo dettaglio torna il dottor Lorenzo Magarotto: “In base alla vigente normativa – rileva – è certamente possibile che due farmaci, pur essendo tra loro bioequivalenti dal punto di vista del principio attivo, possano presentare invece differenze e problemi notevoli per quanto riguarda la composizione dei loro eccipienti. È possibile, ad esempio, che un medico prescriva un farmaco granulato ad un diabetico in quanto si è accertato che il brevettato non contiene zucchero o altre sostanze nocive a quel particolare paziente. Un farmacista potrebbe invece, inconsapevolmente, sostituire quel prodotto farmaceutico con uno bioequivalente ma dolcificato con zucchero, con conseguente inspiegabile alterazione dell’equilibrio glicemico”.

Sono parecchie altre le sostanze che impongono particolare attenzione: i pazienti affetti da morbo celiaco, ad esempio, devono evitare l’amido di grano (spesso utilizzato come eccipiente di compresse e capsule). Anche altri dolcificanti (oltre allo zucchero) presentano controindicazioni per alcune categorie di pazienti: è noto, ad esempio, che la saccarina può indurre allergia crociata con i sulfamidici, e che l’aspartame è controindicato nei soggetti affetti da fenilchetonuria

Le problematiche descritte rendono giustificabile la diffidenza che c’è verso i farmaci generici e verso la possibilità di sostituzione indifferenziata dei farmaci stessi tra loro? Secondo due rappresentanti del mondo accademico interpellati, non vi sono ragioni per non promuovere i farmaci equivalenti e sostituirli quando possibile a quelli “griffati”. “Le normative vigenti – afferma il professor Roberto Della Loggia, preside della Facoltà di Farmacia dell’Università di Trieste – garantiscono l’assoluta sovrapposizione di efficacia e di sicurezza fra farmaco equivalente e brevettato. Gli organi deputati al controllo e alla vigilanza, Ministero e Aifa, sono a tutti gli effetti garanti di questa bioequivalenza. Gli iter burocratici e le norme legislative rendono ragione dell’assoluta legittimità di sostituire, qualora non vi siano precise controindicazioni soggettive, i farmaci più costosi con quelli più economici ma ugualmente sicuri”. “Sicuri e bioequivalenti secondo tutti i parametri – aggiunge il professor Fulvio Rubessa, docente alla Facoltà di Farmacia dell’ateneo triestino – compresi gli eccipienti, che sono per definizione inerti. Qualora il medico curante ritenga opportuno non procedere alla sostituzione del farmaco brevettato con quello equivalente, per alcune problematiche soggettive del paziente, opporrà in quel caso la nota «non sostituibile»”.

http://www.sconfini.eu/Approfondimenti/farmaco-generico-o-generico-farmaco.html

Il problema della sostituibilità farmaco originale di marca-farmaco equivalente e  farmaco equivalente-farmaco equivalente è legato strettamente ai problemi che stanno alla base della BE. Gli studi di BE non utilizzano parametri clinici di efficacia, bensì si limitano a confrontare la biodisponibilità farmacologica sistemica di due prodotti. Come detto, i test di BE sono basati sul confronto statistico di parametri farmacocinetici che caratterizzano la biodisponibilità dei due prodotti: generalmente vengono usati i parametri AUC e Cmax .
Anche se la procedura di determinazione della BE è molto rigorosa rimangono problemi di difficile soluzione.
L’intervallo di BE è uno standard stabilito convenzionalmente attribuendo maggior rilievo alla variabilità del comportamento in vivo della formulazione piuttosto che la variabilità della risposta terapeutica nella popolazione dei pazienti. Un intervallo di BE così ampio, non differenziato per categoria terapeutica e per classe farmacologica, tende a trascurare le altre variabili farmacologiche e cliniche che possono incidere significativamente sull’equivalenza terapeutica di due prodotti. In pratica per alcuni prodotti l’intervallo potrebbe essere troppo largo per altri troppo stretto.
I test di BE, come vengono attualmente effettuati, consentono di stimare una “BE media di popolazione”,  e non una “BE individuale”. Due formulazioni possono essere considerate “bioequivalenti per una popolazione” se, oltre al valore medio dei parametri di biodisponibilità, anche le loro distribuzioni attorno alle medie sono sufficientemente simili. I parametri farmacocinetici di due formulazioni possono avere un valore medio sufficientemente simile, ma una varianza significativamente differente. In tal caso, le due formulazioni anche se bioequivalenti dal punto di vista statistico, non sono equivalenti per la popolazione perché le distribuzioni delle loro biodisponibilità sono significativamente differenti. Dimostrare la BE di popolazione assume una significativa importanza per assicurare il medico che può attendersi un risultato terapeutico mediamente equivalente nella popolazione dei suoi pazienti, se inizia un nuovo trattamento con un farmaco equivalente piuttosto che con il prodotto di marca.
La BE di popolazione, tuttavia, non fornisce alcuna informazione circa la probabilità che la risposta del singolo paziente a due formulazioni sia equivalente. Per poter fare questa previsione occorre stimare la BE individuale, ossia la BE entro soggetto, e valutare in quale percentuale i singoli soggetti rispondono in modo equivalente al prodotto generico ed al prodotto innovatore. La biodisponibilità individuale si configura, dunque, come il criterio fondamentale per poter applicare la norma della sostituibilità tra formulazioni nel corso di un trattamento in atto, senza pregiudicare il profilo terapeutico e di sicurezza ottenuti con la prima formulazione.
Un altro problema che può pregiudicare la sostituibilità, soprattutto tra farmaco equivalente e farmaco equivalente dello stesso prodotto di marca è il fenomeno del cosiddetto “bio-creep”. Infatti, i test di BE sono fatti tra il singolo prodotto equivalente ed il prodotto di marca. Questa situazione non garantisce che due o più equivalenti dello stesso originator siano tra loro bioequivalenti. Per esempio, supponendo che un generico abbia una biodisponibilità (AUC)+15% ed un secondo generico una biodisponibilità –13%, entrambi sono bioequivalenti rispetto allo standard che imitano, ma non sono tra loro bioequivalenti essendo la differenza tra loro superiore al 20%.
Da quanto discusso, è chiaro che il concetto di BE non gode della proprietà transitiva: non è possibile concludere, senza una verifica diretta, che due prodotti, ciascuno bioequivalente con lo stesso standard di riferimento, siano bioequivalenti tra di loro. Purtroppo, il confronto diretto non è possibile in quanto i medicinali equivalenti sono confrontati unicamente con il medicinale originale di marca  e così l’interscambiabilità fra equivalenti è solo supposta.
Questo problema è stato già affrontato negli Stati Uniti, dove un Orange Book periodicamente aggiornato, riporta tutte le bioequivalenze studiate, indicando per ogni farmaco equivalente la sua sostituibilità con altri prodotti. L’Orange Book è stato concepito per  promuovere l’ingresso e l’uso dei farmaci generici nel mercato, e allo stesso tempo tutelare gli interessi dei titolari di farmaci di marca e dei pazienti.
L’Orange Book fornisce un elenco pubblico e dettagliato di farmaci equivalenti approvati dalla FDA per l’uso e la vendita negli Stati Uniti. Il nome deriva dal colore  della copertina della prima pubblicazione e viene mantenuto tuttora, anche se negli ultimi anni è disponibile solo on-line. L’Orange Book mette a disposizione una notevole quantità di informazioni sui farmaci elencati, tra cui il principio attivo, gli eccipienti, i parametri di biodisponibilità e bio-equivalenza, informazioni sulla equivalenza terapeutica e il nome della ditta proprietaria.
L’elenco è aggiornato mensilmente.

http://www.sifweb.org/docs/sif_position_paper_farmaci_equivalenti_ott2010.php

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