il grande faccendiere Francesco Pazienza e i 4 amici al bar

“Io, Gelli e la strage di Bologna”
Ecco le verità della super-spia

di MILENA GABANELLI

 

 

Francesco Pazienza

“Che fine ha fatto?” mi chiedo guardando la foto su un catalogo che sto per buttare. Il suo nome era comparso sui giornali nel 1982 con la qualifica di “faccendiere”. Le ultime tracce le trovo su internet: uscito dal carcere di Livorno, sta scontando gli ultimi mesi di pena presso la Pubblica Assistenza di Lerici. Francesco Pazienza ha scontato 10 anni per depistaggio alle indagini sulla strage di Bologna, altri 3 per il crac Ambrosiano e associazione a delinquere. Amico di Noriega, frequentatore dei servizi segreti francesi, americani e sudamericani, nel 1980 è a capo del Super Sismi.

Braccio destro di Licio Gelli, il suo ambiente è il sottobosco di confine fra l’alta finanza e l’alta criminalità, l’alta politica e il Vaticano. Protagonista delle vicende più tragiche della storia italiana degli anni ’80, è depositario di informazioni mai rivelate, altre raccontate a modo suo. Laureato in medicina a Taranto, non ha mai indossato un camice. Negli anni ’70 vive a Parigi e fa intermediazioni d’affari per il miliardario greco Ghertsos. Poi l’incontro con il capo del Sismi, Santovito. Grandi alberghi, yacht, belle donne, sigari rigorosamente cubani e tagliasigari d’oro… Un’altra epoca. Adesso ha 62 anni e fuma le Capri, mentre cammina da uomo libero sul lungomare di Lerici.

Cominciamo dall’inizio: come avviene l’incontro con Santovito?
“Me lo presentò l’ingegner Berarducci, oggi segretario generale dell’Eurispes. Santovito era suo zio, e mi chiese di fare il suo consulente internazionale”.

 
E perché Santovito le dà questo incarico senza conoscerlo prima?
“Sa, io parlavo diverse lingue e avevo un sacco di relazioni in giro per il mondo. Normalmente non avviene così, ma all’epoca era quasi tutto improntato all’improvvisazione”.

E in cambio cosa riceveva?
“Rimborso spese. Siccome non avevo bisogno di soldi, era quello che volevo: se volevo andare a New York in Concorde, andavo in Concorde. Mi sembrava tutto molto avventuroso”.

Si dice che lei sia stato determinante nella sconfitta di Carter contro Reagan.
“La storia comincia con Mike Ledeen a Washington, che mi aveva presentato Santovito; lui dirigeva il Washington Quarterly e faceva capo ad una lobby legata ai repubblicani (e alla Cia-ndr). Così gli dico: “Guarda che quando c’è stata la festa per l’anniversario della rivoluzione libica, il fratello di Carter ha fraternizzato con George Habbash”, che era il capo del Flp. E a quel punto disse: “Se tu mi dai le prove , noi possiamo fare l’ira di Dio””.

E le prove come se le era procurate?

“Attraverso un giornalista siciliano, Giuseppe Settineri, che io mandai con un microfono addosso ad intervistare l’avvocato Papa, che faceva il lobbista e aveva partecipato alla festa di Gheddafi. Lui raccontò per filo e per segno tutto quello che era successo. Le foto dei festini me le avevano fornite Michele Papa e Federico Umberto D’Amato, la testa degli affari riservati del Viminale”.

Il Viminale ha dunque interferito nelle elezioni di un paese alleato?
“Sissignore, però la débacle ci sarebbe stata ugualmente, ma non in misura così massiccia”.

Lei, che non è un militare, diventa capo del Super Sismi. Cos’era?
“Il Super Sismi ero io con un gruppo di persone che gestivo in prima persona”.

Marzo 1981, le Br sequestrano l’assessore campano Cirillo. Lei che ruolo ha avuto?
“Un ruolo importante. Fui sollecitato da Piccoli, allora segretario della Dc. Incontrai ad Acerra il numero due della Nuova Camorra Organizzata di Cutolo, Nicola Nuzzo. Mi disse che in dieci giorni Cirillo sarebbe stato liberato, e così è stato”.

Chi ha pagato?
“Non i servizi. Il giudice Alemi disse di aver scoperto che furono i costruttori napoletani a tirar fuori un miliardo e mezzo di lire, che finirono alle Br”.

Piccoli cosa le ha dato per questa consulenza?
“Niente, assolutamente niente, eravamo amici, non c’era un discorso mercantilistico”. (Del miliardo e mezzo, alle Br finiscono 1.450 milioni. Chi ha imbustato i soldi del riscatto sarebbe Pazienza, che, secondo vox populi, avrebbe taglieggiato le Br tenendo per sé 50 milioni).

A gennaio 1981 sul treno Taranto-Milano viene piazzata una valigia con esplosivo della stessa composizione di quello usato nella stazione di Bologna… Ci sono dei documenti intestati a un francese e un tedesco, indicati dai servizi come autori di stragi avvenute a Monaco e Parigi. Si scoprirà poi che si trattava di depistaggio.

“Il depistaggio è stato fatto dal Sismi per non fare emergere la vera verità della bomba di Bologna. Secondo l’allora procuratore Domenico Sica c’era di mezzo la Libia, e coinvolgerla in quel momento avrebbe voluto dire tragedia per la Fiat e per l’Eni. Vada negli archivi delle sedute parlamentari: il 4 agosto 1980, Spadolini in persona presentò un’interrogazione parlamentare in cui attribuiva la bomba di Bologna a origini straniere mediorientali”.

Ma qual era l’interesse mediorientale?
“L’Italia non poteva sottrarsi agli obblighi Nato, e quindi doveva fare un accordo con Malta, per proteggerla in caso di attacchi del colonnello Gheddafi. L’accordo fu firmato, e Gheddafi fece la ritorsione. Ustica porta la stessa firma. Me lo ha raccontato Domenico Sica. Quando tolgono il segreto di Stato la verità salterà fuori”.

Lei è stato condannato a 10 anni per depistaggio, qualche prova a suo carico evidentemente c’era, i servizi segreti li comandava lei.
“Le prove a mio carico erano dovute al fatto che sono stato il braccio destro, mandato dagli americani, per sostituire Licio Gelli alla guida della P2. E siccome Gelli era il motore primo del depistaggio, io che ero il suo braccio destro, automaticamente…”.

Quando è scoppiata la bomba a Bologna dov’era?

“A New York”.

84 morti e 250 feriti, nel suo paese. Lei è consulente del Sismi, non ha pensato: “Adesso bisogna trovare chi è stato”?
“Io no. Perché non è mio compito. I servizi segreti sono come un’azienda. Giusto? Se tu ti occupi di una cosa, non è che dici “adesso parliamo di Bologna, parliamo di Ustica”…”.

1982. Calvi viene impiccato sotto un ponte. Si è parlato di un suo coinvolgimento.
“Sì, e qual era il mio interesse? Io non sono stato mai neanche indagato nell’omicidio Calvi. La sua morte è un mistero anche per me, comunque non si uccide Calvi a livello di Banda della Magliana… E non mi venga a dire che l’MI5 non sapesse che Calvi si trovava a Londra da giorni! I giochi di potere erano molto più grossi. Capisce cosa voglio dire?”.

No.
“La morte di Calvi e lo scandalo del Banco Ambrosiano avrebbero imbarazzato pesantemente il Vaticano, che insieme all’Arabia Saudita voleva Gerusalemme città aperta a tutte le religioni, e Israele era contrario. Poi c’era lo scontro politico interno italiano, c’erano i comunisti, che hanno preso una valanga di soldi dal Banco Ambrosiano. Non è così semplice dire è A, B o C”.

Di chi erano i soldi che andavano verso la Polonia?
“Arrivavano dai conti misti Ior-Banco Ambrosiano. L’organizzatore era Marcinkus d’accordo con papa Wojtila. Sono stato io a mandare 4 milioni di dollari in Polonia”.

Ma come ha fatto tecnicamente?
“Vicino a Trieste, abbiamo fatto preparare una Lada col doppio fondo e dentro c’erano 4 milioni di dollari di lingottini d’oro di credito svizzero. Era aprile 1981, un prete polacco venne a ritirare questa Lada e la portò a Danzica. Qual era il discorso? Agli operai in sciopero non potevamo dare gli zloty, né i dollari perché i servizi segreti polacchi se ne sarebbero accorti. Anche perché lei può fare il patriota come vuole, però se a casa ha 4 bambini e non ha come farli mangiare, lo sciopero non lo fa. Giusto?”.

Ma lei perché si portava su un aereo dei servizi segreti un ricercato per tentato omicidio, braccio destro di Pippo Calò, capo della banda della Magliana?
“Lei sta parlando di Balducci. Io sapevo che era uno strozzino, ma non è mai salito su un aereo dei servizi. Usava lo pseudonimo di Bergonzoni e una volta lo feci passare a Fiumicino mentre proveniva da Losanna. Era un favore che mi chiese il prefetto Umberto D’Amato, suo amico intimo”. (Per questo “favore” Pazienza fu condannato per favoreggiamento e peculato: fu accertato che aveva trasportato, su un aereo dei servizi , il latitante Balducci sotto falso nome).

Nell’84 lei deposita da un notaio un documento intitolato “operazione ossa”. “Ossa” starebbe per Onorata Società Sindona Andreotti. Che cos’era?
“All’epoca c’era il pericolo che Sindona potesse inventare dei coinvolgimenti di Andreotti in questioni di crimini organizzati. Bisognava capire cosa volesse fare Sindona per tirarsi fuori dai guai prima di rientrare in Italia quando si trovava nel carcere americano di New York”.

Ci siete riusciti?
“Non c’è stato bisogno di fare nessuna misura attiva, ne abbiamo fatta una conoscitiva”.

La misura attiva qualcuno l’ha fatta quando è finito nel carcere italiano…
“Qui parliamo del 1986. Nel carcere italiano ha bevuto un caffè di marca Pisciotta…”.

Lei in quante carceri ha soggiornato?
“Alessandria, Parma e alla fine a Livorno.
Complessivamente ho fatto 12 anni di carcere gratis”.

Non si ritiene colpevole di nulla?
“Zero. Le racconto una cosa, 30 marzo 1994: un maggiore della Dia, nome M. cognome M. mi dice: “Lei è un uomo informatissimo, ci deve raccontare di come portava le lettere di Fabiola Moretti (compagna di De Pedis, componente della banda della Magliana, coinvolto nel rapimento di Emanuela Orlandi-ndr) al senatore Andreotti, nel suo ufficio privato. Sa, fra poco esce la sentenza di Bologna, e noi la mettiamo a posto”. Io gli ho detto: “A me di Andreotti non importa niente. Il problema è che quel che lei mi chiede di ricordare non è vero”. Avevo il microfono addosso. Sa qual è la cosa comica? Che molti pensano che io sapessi di questo e di quell’altro e che non ho detto niente perché sono un duro. Non ho detto niente perché non sapevo. Capisce la differenza?”.

Quando è uscito dal carcere dove è andato?

“A casa dei miei genitori, comunque non è un problema ricominciare da capo”.

Cosa fa ora per sbarcare il lunario?
“Il consulente per transazioni internazionali. Sto trattando un cementificio in Africa”.

Come pensa di ricostruirsi una credibilità?
“La storia non è finita, sta cominciando il secondo tempo”.

Erano 25 anni che volevo incontrare il grande faccendiere. Una curiosità tutta personale, volevo vedere in faccia l’uomo che ha fatto da cerniera in tutti i misteri profondi di questo paese. Ci vuole grandezza anche per essere protagonisti di grandi drammi. Invece si incontrano delle comparse, figure che si dimenticano. Sembrano scelte apposta.

Cosa ricordo io di quel 2 agosto? Ero andata a prenotare delle cuccette. Nell’atrio tanta gente che andava e veniva, in un sabato di ferie, e i ragazzini che fanno sempre un gran casino, fra la biglietteria e il marciapiede del binario 1. L’immagine successiva non ha sonoro: è quella di un luogo irriconoscibile coperto dalla polvere. E poi il bianco di un lenzuolo che attraversa la città, appeso alle porte di un autobus. Per qualche anno, ho avuto paura tutte le volte che andavo in stazione. Da 15 anni prendo un treno tutte le settimane, vado di fretta, e non guardo mai lo squarcio coperto da un vetro, non guardo mai l’orologio fermo alle 10.25. Ogni anno il 2 agosto osservo da lontano la gente che si raduna per commemorare. Qualche volta mi viene da piangere.

(30 gennaio 2009)

http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/politica/pazienza-gelli/pazienza-gelli/pazienza-gelli.html

ECCO COME GELLI E PAZIENZA S’ IMPOSSESSARONO DEL SISMI

10 gennaio 1987 —   pagina 6   sezione: POLITICA INTERNA

ROMA Il primo processo ai delitti della P2 è ormai alle soglie: il 19 comincerà a Bologna il dibattimento sulla strage alla stazione del 2 agosto del 1980. Una udienza breve, poi un rinvio determinato dalla necessità di consolidare l’ aula del tribunale. Entro la fine di febbraio sospetti esecutori e alcuni sospetti ispiratori dell’ eccidio più atroce (85 morti) nella storia di questi anni sfileranno davanti ai giudici. Si alzerà così il sipario su un disegno politico-criminale sostanzialmente di destra, dietro al quale si sono mossi personaggi che hanno scandito delle loro imprese la cronaca di questi anni: Licio Gelli e il vertice della P2, i gruppi neofascisti romani e veneti, uomini come Aldo Semerari (ucciso dalla camorra), Paolo Signorelli, i fratelli De Felice, Massimiliano Fachini, i servizi segreti della P2, il braccio armato della loggia di Gelli Fioravanti, Francesco Pazienza. E non più soltanto sullo sfondo, quella banda della Magliana forse troppo a lungo sottovalutata, che porta direttamente al capo mafia Pippo Calò, sospettato anche nell’ inchiesta sulla strage del Natale ‘ 84. Per la prima volta dei giudici saranno chiamati a emettere una sentenza su quell’ intreccio fra ambienti diversi che finora sembrava un modo astratto di definire un insieme di fatti ed episodi concreti ma anche lontani fra loro. Giudici coraggiosi e intemerati come li ha definiti Norberto Bobbio, sono gli autori della sentenza ordinanza che gli Editori Riuniti pubblicano alla vigilia del processo di Bologna, proseguendo nella tradizione già iniziata con la pubblicazione dei documenti dei giudici di Palermo e con gli atti d’ accusa contro Sindona dei giudici di Milano. Saranno Norberto Bobbio, il sostituto procuratore fiorentino Pierluigi Vigna e l’ ex sindaco di Bologna Renato Zangheri a presentare mercoledì a Roma il volume (La strage, l’ atto di accusa dei giudici di Bologna) che raccoglie, insieme alla sentenza ordinanza dei giudici Zincani e Castaldo, anche un capitolo (il sistema di potere della P2) della requisitoria dei Pm Mancuso e Dardani. La tesi accusatoria è nota: la bomba alla stazione fu opera di un gruppo di fascisti guidati da Valerio Fioravanti, nell’ ambito di un’ ampia trama che ha visto convergere interessi di ambienti neofascisti e ambienti legati a Licio Gelli. E la strage del 1980 costituisce non un episodio isolato, ma il punto di massima espansione della progettualità complessiva. I passaggi meno noti Meno noti sono invece i molti passaggi attraverso i quali i giudici ricostruiscono insieme al quadro generale, anche il ruolo di ciascuno dei protagonisti. E sconosciuti, finora, erano importanti dettagli che hanno permesso di approfondire il ritratto della coppia Gelli-Pazienza e dei suoi protettori politici al di là di quanto era stato già fatto dalla Commissione Anselmi. Pazienza farà la sua prima comparsa pubblica mercoledì prossimo a Roma nel corso del processo per gli appalti in Irpinia. Ha chiesto un’ unica garanzia: quella di poter alloggiare non in carcere ma in una caserma dei carabinieri. Ed ha promesso: Se mi concedono tre udienze parlerò per tre giorni di seguito. Di cosa? Anche dei delitti di Reagan e di Haig, come ha annunciato nel momento del suo ultimo arresto? L’ avvocato Nino Marazzita ritiene di sì, e spiega che dovrebbe trattarsi di crimini commessi in America. Pazienza ha sempre sostenuto di non aver mai incontrato Licio Gelli e di non conoscere il capo della P2. I giudici di Bologna non gli credono e hanno raccolto tutti gli elementi sui quali basano le loro accuse. Nel capitolo dedicato al sistema di potere di Gelli, il sostituto procuratore Mancuso afferma che la carriera di Gelli fu favorita da Andreotti: Esistono solo elementi frammentari scrive il magistrato sulle protezioni che resero possibile questa operazione (di convogliare nella massoneria i gradi superiori dell’ esercito n.d.r.); ma anche nella loro parzialità questi dati sono estremamente significativi. Innanzitutto la frequentazione di Gelli con Andreotti, per anni ministro della Difesa; e inoltre i rapporti, da questo legame probabilmente favoriti, che misero in contatto Gelli con ambienti Nato e che gli consentì di ottenere commesse per importi assai rilevanti. Forte di queste protezioni Gelli potè quindi in breve tempo iniziare con successo l’ opera di proselitismo. Il lavoro di Gelli viene interrotto solo con la scoperta degli elenchi nel marzo del 1981; ma già da tempo è cominciata una sostituzione del Venerabile con Francesco Pazienza, il quale fa la sua prima comparsa nel 1978. Mancuso ha raccolto la testimonianza del professor Franco Ferracuti, consulente del Sisde del generale Grassini nella qualità, di selezionatore degli aspiranti alle assunzioni civili presso il Sisde, amico di Semerari, piduista. Secondo Ferracuti, era stato Michael Ledeen a indicare Pazienza, per conto del Centro della George Town University quale esperto di terrorismo che avrebbe potuto collaborare con il Sisde. Il Ferracuti (ma poi anche Grassini) gli risponde negativamente. Ferracuti ha detto ai giudici che Ledeen, contrariato, passò sulla mia testa e andò a contattare un ministro in carica se non addirittura il presidente del consiglio dei ministri in quel momento (da poco vi era stato il ritrovamento del cadavere dell’ onorevole Moro) in visita negli Usa. So che questo grosso esponente politico venne direttamente contattato da Ledeen, mi sembra di ricordare che l’ esponente politico fosse l’ on. Andreotti che dimostrò interessamento alla cosa. I depistaggi dopo la strage Scrive Mancuso: Sta di fatto che Pazienza entrò non nel Sisde di Grassini ma nel Sismi di Santovito. Appare evidente come l’ inserimento di Pazienza al vertice del nostro servizio militare sia avvenuto grazie all’ interessamento dell’ allora presidente del Consiglio. Poteva Pazienza non essere in contatto con Gelli che in quegli stessi mesi (luglio ‘ 78) dava ai piduisti il recapito telefonico di un ufficio del Sismi in Piazza Barberini come segreteria generale della loggia? Pazienza-Musumeci-Santovito-Gelli: ecco chi dirigeva, formalmente o informalmente, il Sismi in quel fatidico 1980 sostiene Mancuso. Cosa fece il Sismi per impedire ai magistrati di Bologna di far luce sulla strage lo raccontano i giudici Zincani e Castaldo. Appena le indagini cominciarono a puntare sui vari Signorelli, Semerari, Fachini ecc. che avrebbero portato direttamente al cuore della P2, misero in moto quella serie di depistaggi che oggi costituiscono uno dei principali atti d’ accusa nei confronti di esecutori e ispiratori. Inventarono una pista internazionale a sostegno della quale si mobilitarono in massa. E’ divenuto finalmente chiaro scrivono i giudici il motivo per cui Gelli si attivi personalmente mobilitando l’ intero apparato della P2 inserito nei servizi per coprire le responsabilità degli autori della strage: esso è costituito dall’ esistenza di un vincolo associativo occulto che collega gli ambienti della P2 alla esecuzione della strage, vincolo rivelato anche da altri delitti come quello Pecorelli. La P2 mobilita prima di tutto l’ Olp, attraverso i buoni rapporti del colonnello Giovannone. I palestinesi rilasciano interviste, rivelano che responsabili della strage sono la falange, misteriosi neofascisti italiani e tedeschi. Gli inquirenti vanno in Libano più volte. Oggi i giudici scrivono che da una parte i loro colleghi distolsero l’ attenzione dai personaggi chiave dell’ inchiesta, dall’ altra Giovannone, passato direttamente agli ordini di Santovito, acquisiva verso l’ Olp ulteriori titoli di benemerenza. Segue il depistaggio a cui tutto il vertice Sismi partecipa, costituito dalla valigia alla stazione di Bologna con indizi che portano alla pista tedesca e esplosivo simile a quello del 1980. Infine, il depistaggio Ciolini anche quello di pura marca P2. Quanto a Pazienza, d’ accordo con Santovito, avrebbe ispirato alcune delle veline che accreditavano la fantomatica pista internazionale, tanto cara a Licio Gelli. – di SANDRA BONSANTI

 

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/10/ecco-come-gelli-pazienza-impossessarono-del.html

 

“La Cassazione ha anche condannato, ma solo per depistaggio, il gran maestro della loggia P2 Licio Gelli, il faccendiere Francesco Pazienza, oltre a Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, due ufficiali del Sismi (il servizio segreto militare). Il 23 gennaio 1981, sempre nella stazione di Bologna, viene trovata una valigia piena di esplosivo T4 (lo stesso della strage) sul treno 514 Taranto-Milano. Oltre al T4 ci sono due mitra MAB, dei giornali francesi e tedeschi e due biglietti aerei intestati a un francese e a un tedesco per voli diretti a Parigi e a Monaco in partenza da Linate. Il 7 febbraio un’informativa del Sismi indica come acquirente del biglietto Giorgio Vale, esponente dei Nar, in contatto il gruppo francese Fane e il gruppo tedesco Hoffman. Uno dei due mitra MAB proviene dall’arsenale della Banda della Magliana. Il servizio segreto militare, in una nota alla procura di Bologna, comunica di aver appreso dell’esistenza di un piano di attentati chiamato “Terrore sui treni” ideato da gruppi di estrema destra in collaborazione con terroristi tedeschi e francesi. Secondo la Corte di Assise di Roma, il depistaggio è “l’ennesimo episodio di una pervicace opera di inquinamento delle prove destinate ad impedire che responsabili della strage di Bologna fossero individuati”. Anche la sentenza definitiva del 1995 individua i colpevoli del depistaggio, ma non spiega il perché di tale operazione.”

 

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