Deja s envole la fleur maigre – Paul Meyer by anonimacinefili

Déjà S’Envole La Fleur Maigre: la triste storia dell’emigrazione italiana in Belgio [recensione]

Di Roldano Cisternino

L’opera del 1960, disponibile su Festival Scope, è un j’accuse nei confronti di un paese che ha fallito nell’ambito delle politiche di integrazione.

La piattaforma Festival Scope, con la prima edizione del Festival of French Speaking Belgium Cinema, offre la possibilità di vedere nella versione restaurata (gratuitamente in streaming su FestivalScope.com con sottotitoli in italiano) Déja S’Envole La Fleur Maigre, un monumento del cinema belga che rappresenta un pezzo di storia italiana.

Déja S’Envole La Fleur Maigre (Già Vola Il Fiore Magro è la traduzione nella nostra lingua) è un film del 1960 che porta sul grande schermo il tema dell’emigrazione italiana in Belgio nelle miniere della regione del Borinage. L’opera è rude e disincantata nel documentare il miraggio di tante famiglie, la loro voglia di riscatto in una terra straniera attraverso la promessa di un lavoro, l’apparente normalità con cui il Belgio cerca di creare un contesto accogliente ma, in definitiva, declinando il vuoto con cui tanti italiani si trovarono a fare i conti. Un vero e proprio fallimento dell’integrazione.

IL GRANDE INGANNO E LA GRANDE SPERANZA

Il film di Paul Mayer, regista deceduto nel 2007, tocca i temi legati agli emigrati degli anni Sessanta ma anche i problemi, le paure, i preconcetti e il business del Paese ospitante. Nei piccoli villaggi della regione, all’interno delle scuole, i bambini italiani sono spesso derisi dai loro coetanei, i sacerdoti non coinvolgono le famiglie italiane e spesso neanche le conoscono. Gli adulti passano il tempo libero al campo di bocce mentre lo svago principale dei più piccoli è quello di scivolare seduti sulle teglie di ferro lungo le discese di terriccio delle colline. La lingua è il francese e i nostri compatrioti, per soddisfare le esigenze dei locali che hanno interessi nelle miniere e nella manodopera proveniente dal Sud dello Stivale, sono costretti ad apprenderlo. Per gli emigrati di quegli anni non c’è via di scampo: per molti, oltretutto, il lavoro resterà solo un desiderio irrealizzato, rimanendo disoccupati in terra straniera mentre altri, completamente spersonalizzati da un ambiente ostile, dovranno cercare la loro identità attraverso il valore simbolico delle canzonette in voga nell’Italia di quell’epoca per rievocare le loro radici (molti però si ammaleranno di silicosi).

Déja S’Envole La Fleur Maigre parte dalla necessità del Belgio di trovare lavoratori per estrarre il carbone dalle sue miniere e dalle esigenze dell’Italia che, specialmente nelle regioni più povere del Sud, incentivava l’emigrazione in cambio di combustibile per mandare avanti le industrie nel periodo del boom economico. Paul Mayer mette in scena lo sfruttamento da parte di entrambi i paesi ma la pellicola è, soprattutto, un j’accuse alle politiche di integrazione adottate dallo Stato belga. Particolare curioso: l’ostacolo alla “comprensione” pervade sia lo spettatore belga che quello italiano, a cominciare dai dialoghi, perché il regista fa parlare in italiano gli emigrati e in francese i belgi. Integrazione quindi: un capitolo e una ferita aperta ancora oggi, anche se stavolta è l’Italia la meta dei flussi migratori dall’Africa. Certo, il contesto in cui si muove il film è cambiato ma Mayer è profetico: illustra infatti un sistema fallimentare, lasciando però nel finale uno spiraglio di speranza.

IL CORAGGIO È POETICO

Paul Mayer girò Déja S’Envole La Fleur Maigre grazie ad un finanziamento che, nelle intenzioni dei produttori, avrebbe dovuto esaltare le politiche energetiche nel Belgio, usando come pretesto il “patto del carbone” fatto con l’Italia. In realtà il regista realizzò un vero e proprio atto di accusa. Mentre però quattro anni prima, nel 1956, il suo Paese gli perdonò il cortometraggio Klinkaart (in cui un’operaia era abusata sessualmente dal datore di lavoro), nel caso di Déja S’Envole La Fleur Maigre il governo, la classe politica e tutti i finanziatori gli chiusero i rubinetti, interrompendo così di fatto la carriera di un cineasta che sarebbe potuto diventare un grandissimo regista. Il suo film fu talmente osteggiato che ne rimase soltanto una copia in 35 mm che con il tempo subì un grosso deterioramento (la pellicola fu restaurata un paio di anni fa ad opera della Cinematek Royale Belgique). Il lungometraggio è girato in bianco e nero, con colori piuttosto decisi e cupi (tranne il grigio del cielo belga). Gli attori sono tutti non professionisti e si muovono davanti alla macchina da presa di Mayer come se si trovassero nella vita reale: in effetti l’opera oscilla sempre tra documentario e cinema di finzione, una tecnica che il regista scelse per rendere tutto più realistico (come i suoi personaggi, che sembrano muoversi incuranti del set). La sensazione è quasi che siano loro ad entrare “casualmente” nell’obiettivo, non viceversa.

La verità, diceva qualcuno, è un atto di coraggio. Sicuramente nel caso di Déja S’Envole La Fleur Maigre la verità è poetica. Non è forse un caso che il titolo del film si ispiri ad un verso di una poesia di Salvatore Quasimodo: “Non saprò nulla della mia vita, /oscuro monotono sangue. / Non saprò / chi amavo, chi amo, / ora che qui stretto, ridotto alle mie membra, / nel guasto vento di marzo / enumero i mali dei giorni decifrati. / Già vola il fiore magro / dai rami. Ed io attendo / la pazienza del suo volo irrevocabile”.

Déjà S’Envole La Fleur Maigre: la triste storia dell’emigrazione italiana in Belgio [recensione]



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