Juan Rulfo Pedro Paramo pdf ; La rivolta dei cristeros – films

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PDF) Análisis de “Pedro Paramo” de Juan Rulfo | …

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Gabriel Garcia Marquez gli deve molto e lo ammette: Pedro Paramo, il romanzo che il messicano Juan Rulfo aveva pubblicato nel 1955, gli fece passare una nottata insonne ed emozionante, pari a quella trascorsa, dieci anni prima, in una pensione per studenti di Bogotà, divorando La metamorfosi di Kafka. Il futuro autore di Cent’ anni di solitudine avrebbe imparato il libro quasi a memoria. Si era, allora, nei primi anni Sessanta. Gabo si era appena trasferito in Messico e abitava al settimo piano di una casa senza ascensore. Fu il suo amico Alvaro Mutis, l’ inventore del marinaio Maqroll, a farsi un giorno tutti quei piani a piedi e di buona lena, per portargli, con altri libri, quel libro piccolo ma esemplare. Pedro Paramo doveva in realtà intitolarsi “I mormorii”, ma l’ editore lo trovò poco commerciale. Eppure il titolo era, o meglio sarebbe stato, perfetto. Pedro Paramo è infatti un libro di voci. Voci che escono dalle case in rovina di un paese abbandonato, voci di morti che ancora trafficano nel tempo dei vivi, alternando ricordi di dolori, amori, fame, guerre~ Mormorii che tendono un arco tra passato e presente, ammesso che esistano queste due assai relative condizioni del tempo. Il paese si chiama Comala e naturalmente non è mai esistito, ma, altrettanto naturalmente, appare al lettore come lo specchio allucinato di un luogo, un luogo assoluto prima ancora che di un luogo messicano, che contempla il proprio disfacimento. In Comala Marquez covò Macondo. Che cosa accade in Pedro Paramo? Una domanda così la si può rivolgere ad un romanzo di impianto tradizionale, che sappia stare ben saldo nei confini di una storia che si svolge attraverso il tempo. Ma Rulfo manda a Comala Juan Preciado, perché sua madre, che è appena morta, veniva da lì e ha chiesto a suo figlio di andare a cercare suo padre: Pedro Paramo, appunto. Ma appena Juan giunge in vista del paese un tale, con cui fa un pezzo di strada, lo informa che Pedro Paramo è morto da molti anni e che anche lui gli è figlio. Tra i due fratellastri non scatta tuttavia nessuna solidarietà e nemmeno quel briciolo di curiosità che sarebbe persino ovvia in casi del genere. Juan Preciado entra in paese e viene accolto in casa da donna Eduviges Dyada. Gli dice di aver saputo da sua madre che stava arrivando e che sua madre era stata la sua grande amica. Quando Juan le dice che la madre è morta, Eduviges commenta «Poverina, ci eravamo fatte la promessa di morire assieme. Di andarcene tutte e due per farci coraggio l’ una con l’ altra, nell’ altro viaggio~». Ma è viva o è morta donna Eduviges? Ed è vivo o è morto Juan Preciado? Nel precario universo di Comala non è utile porsi domande come queste: il lettore vi vedrà agire un tempo reversibile ed elastico, adatto a far rifluire le azioni dei vivi, ma anche ad inquadrarne finalmente e fatalmente la morte. Dai frammenti apprendiamo che Pedro Paramo è un proprietario terriero. La tenuta della Media Luna è vasta e gli assicura il dominio su uomini e donne, terre e animali. è un uomo deciso e autoritario. Semina figli in tutto il paese, ma l’ unico figlio da lui riconosciuto, Miguel, muore cadendo da cavallo, dopo aver condotto una vita dissipata. La morte dunque visita anche lui: la morte e la follia. Susana San Juan, da lui amata, è una austera e delirante folle. Suo padre, don Bartolomé, le ha ingiunto una volta di calarsi in un buco profondo per recuperare quello che secondo lui doveva esserci: un tesoro tra monete e preziosi. Susana aveva invece trovato uno scheletro e pian piano aveva passato al padre le ossa che si andavano disfacendo tra le sue stesse dita, a cominciare da un cranio. La morte messa in scena da Juan Rulfo non è una morte qualsiasi: è la morte dei cattolici peccatori, nella fantasia macabra e allucinata di certi quadri figli dell’ Inquisizione, dell’ orrore e del buio. Certe scene sono degne del Goya nero e il romanzo è ricco di richiami al sepolcro, alla fisicità della morte. «Ho la bocca piena di terra» ingiunge di dire a Susana morente il padre Renteria. Non le chiede di pregare, ma di ripetere con lui parole voluttuosamente mortuarie. E non è certo un caso se nella memoria della moribonda scatta invece un ricordo sensuale, sicché recita senza parlare: «Ho la bocca piena di te, della tua bocca. Le tue labbra serrate, dure come se mordessero schiacciano le mie labbra…». Più che morire, comunque, in questo libro si espia: la morte non è che il primo passo, il peggio viene dopo, quando non si è più niente e non si ha neppure qualcosa di decente da rimpiangere. Ma certe volte il mondo impazzisce e non obbedisce ai ritmi giusti. Quando muore Dona Susana, per esempio, le campane di Comala suonano per giorni senza interruzione e gli abitanti diventano quasi sordi. Ma arriva gente dagli altri paesi, come in pellegrinaggio e tutti si distraggono. Da qualche parte sbuca fuori persino un circo, con le sedie volanti e la musica. La festa si protrae. Pochi si accorgono di quella morte e Pedro Paramo medita la sua vendetta. «Incrocerò le braccia», dice, «e Comala morirà di fame». «Pedro Paramo» ha scritto di recente Ernesto Franco in una sua lettura apparsa sul “Romanzo Einaudi” «è un’ opera al meno». Nel senso che l’ autore ha lavorato sottraendo. «Una narrazione senza le astuzie del romanzo. Un brano di Storia senza date e senza eroi. Un tempo immobile». Anche se, aggiungiamo, da certi riferimenti si capisce che siamo nel Messico delle continue rivoluzioni e di Pancho Villa. Nonostante la brevità, Pedro Paramo è un libro grande. Il lettore vi si aggira come in un labirinto e proprio perché privato di ogni guida, di ogni didascalia, sente su di sé il peso del vivere dei personaggi e l’ assurdo della vita in un deserto metafisico che confina con la morte. Rulfo non è un nichilista. Il nichilismo ne farebbe uno scettico in grado di filosofare con ironia. Invece la sua lettura del mondo si impasta con le cose, con i corpi, con le voci che durano oltre la morte. Prima che la narrativa latinoamericana avesse reso celebre l’ aspetto magico e assurdo di quel mondo, Rulfo lo aveva già perfettamente dipinto nei settanta frammenti di cui il suo libro è composto. Parliamo oggi del capolavoro di Juan Rulfo perché esce, proprio in questi giorni, una nuova e bella traduzione di Paolo Collo per Einaudi (pagg. 141, euro 11). Sarà finalmente un’ occasione per leggerlo? Bisogna dir subito che in Italia Rulfo non ha avuto molta fortuna, forse anche perché è autore di pochissime pagine. Oltre al romanzo, pubblicò, nel ’53, una raccolta di racconti La pianura in fiamme, che in italiano uscì da Mondadori nel ’63 col titolo La morte al Messico e qualche scritto cinematografico, pubblicato da noi per Editori Riuniti col titolo Il gallo d’ oro nel 1982. Il romanzo ebbe qualche disavventura. Come ha scritto un’ allieva dell’ ispanista Angelo Morino, Barbara Destefanis, si può parlare di una (s)fortuna italiana di Rulfo. Pedro Paramo, tradotto da Emilia Mancuso per Feltrinelli nel remoto 1960, arrivò probabilmente troppo presto. L’ America Latina non diceva allora quasi nulla ai lettori e il travolgente successo del romanzo latinoamericano era ancora di là da venire. Il libro ebbe poche recensioni. Lo ripubblicò, in tempi ormai più che maturi, Einaudi nel ’77, facendolo però tradurre da Francisca Perujo, che, non conoscendo bene l’ italiano, ne diede una versione abbastanza imprecisa e messa praticamente all’ indice, nella sua recensione, da un maestro come Dario Puccini. Di fatto (e forse proprio per la traduzione) il libro non ebbe la circolazione che meritava, pur essendo ormai l’ America Latina dei romanzieri quasi un luogo comune. E non bisognerebbe mai dimenticare che Rulfo è un padre di quel romanzo e non certo un epigono. Uno scrittore spagnolo, Enrique Villa-Matas, che ha ormai una buona fama anche in Italia, gli dedica molta attenzione (e ammirazione) nel suo stravagante Bartleby e compagnia uscito qualche tempo fa da Feltrinelli. E’ uno strano libro in cui si parla degli scrittori che non scrivono e Juan Rulfo osservò dopo Pedro Paramo un silenzio pressoché totale, anche se continuò a lavorare in modi diversi: per esempio come fotografo. La Jaka Book ha pubblicato un suo libro fotografico dedicato al Messico pochi anni fa. Incontrando Villa-Matas qualche giorno fa a Roma dove era venuto a presentare un suo libro, ancora una volta e fin dal titolo, stravagante, Suicidi esemplari (tradotto da Nottetempo) gli ho chiesto «Non pensa che Rulfo non abbia scritto altro per il semplice motivo che Pedro Paramo è un libro perfetto?». Villa-Matas ha sorriso, a lungo. Credo non ci sia scrittore che di fronte a questo capolavoro non si sia in qualche modo arreso. Sì, Rulfo ha tolto tutto quello che c’ era da togliere o da non scrivere e adesso il libro è qui, con mezzo secolo sulle spalle, asciutto e vibrante come se fosse stato scritto ieri. O meglio, come se fosse stato scritto per durare sempre.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/12/16/torna-pedro-paramo.html




  • Highly symbolic and allegorical, this drama takes the search of a son for his father in the chaotic times of the Mexican Revolution and the early 1900s as its basis. Stereotypical (or archetypal) figures from early Mexican cinema appear from time to time, and the violence of the revolutionary period is not glossed over. As the son searches for the father, scenes of the father and his earthy way of living are screened. Written by Anonymous

http://www.imdb.com/title/tt0062108/plotsummary?ref_=tt_ov_pl

Guerra Cristera – Wikipedia, la enciclopedia libre

Juan Rulfo, testigo y víctima de la Cristiada

  • Huérfano, y con 8 años, fue testigo del horror de la guerra cristera
  • “El llano en llamas” le convirtió en el prosista de la desolación y la muerte
  • Rulfo llamó a la Cristiada “revolución estúpida” y atroz
  • 19.04.2012 |
  • JOSÉ G.CONCEPCIÓN BLASCO
    • Todas las grandes tragedias humanas, y la guerra cristera lo fue, han tenido sus grandes narradores, que han sabido trasladarnos a esos escenarios de odio y aniquilamiento. Juan Rulfo (1917-1986) fue una de las víctimas de esa guerra cristera, que dividió México en los años 20 del pasado siglo. Hoy sigue siendo un tema tabú e ignorado por los jóvenes generaciones que desconocen la guerra que dividió a sus abuelos. Se ha impuesto una historia oficial, admitida como única verdad, en los que cristeros aparecen como borrachos y ladrones.
    • De aquella experiencia terrible, la guerra cristera,  Juan Ruflo nos ha dejado El llano en llamas (1953) y Pedro Páramo (1955). Es el prosista de la desolación. “Simplemente hablo de mi gente, mis sueños y mi tierra”, afirmó Rulfo. Pedro Parámo inspirará una ópera que se estrenará en 2015.
    • El Llano en llamas, la gran epopeya cristera, tiene en Cristiada, la película  ya estrenada en México, su traslación cinematográfica. El público y los críticos tendrá que comprobar si esta apuesta cinematográfica está a la altura de la gran prosa de Rulfo,que llamó a esta guerra cristera una “rebelión estúpida, donde los dos bandos enfrentados cometieron toda clase de atrocidades”. Lo afirmó en TVE, en el programa A fondo, emitido en 1977. Cinco años después, en 1983, volvería a España para recibir el Príncipe de Asturias.
    • Los Cristeros fue un movimiento armado que desde 1926 hasta 1929 combatió la política laica del presidente Plutarco Elías Calles y por su sucesor, Emilio Portes Gil, en cuyo mandato se puso fin al conflicto religioso. La denominada Guerra Cristera estalló en agosto de 1926, principalmente en los estados de Jalisco, Nayarit, Guanajuato, Michoacán y Zacatecas, escenarios naturales utilizados en Cristiada.Su origen fueron las medidas adoptadas por el gobierno de Calles, encaminadas a disminuir las actividades educativas de la Iglesia y, sobre todo, a eliminar por completo el culto religioso
    • Por destruir nuestros templos sagrados/No podrán esos fieros tiranos/Arrancar de nuestra alma a Jesús. Era uno de los muchos corridos que se repetían en aquella época.
    • Rulfo nació a finales de la Revolución mexicana en la provincia de Jalisco,aislada, misérrima, fanática y violenta. Pasó su infancia,huérfano de padre y madre y con ocho años, en medio de la Guerra de los Cristeros.  Su padre murió cuando tenía cinco, asesinado en su hacienda en un México violento y convulso, muy parecido a los tiempos que vive actualmente este país. La familia lo perdió todo en aquella cruenta guerra civil y obligó a recluir al joven Rulfo a un orfanato-prisión de Guadalajara.
    • El gran alzamiento de enero del 1927 fue más civil que militar. Al principio los cristeros cambatían sin un uniforme, sin equipo. Se proveían de los ropas de los federales caídos en combate. Solo eran reconocidos por su brazalete negro, signo de duelo y luego por su brazalete blanco y rojo, de los colores de Cristo
    • La base sería local. La gente del campo suministraba a la vez los soldados y sus aliados civiles; la gente de las ciudades trabajaba en la organización, en la propaganda y en el aprovisionamiento.Con el paso de los años a Rulfo le quedó muy vivo en el recuerdo aquella locura. “Entonces viví en una zona de devastación.No sólo de devastación humana, sino devastación geográfica. Nunca encontré ni he encontrado hasta la fecha, la lógica de todo eso. No se puede atribuir a la Revolución. Fue más bien una cosa atávica, una cosa de destino, una cosa ilógica”.
    • No podemos atribuir a los cristeros una motivación económica. Lo formaban indios comuneros, despojados, peones y aparceros, que siguieron el movimiento en masa, al igual que los marginados. No eran ricos propietarios territoriales, que deseaban mantener sus privilegios. Se habló de la santa causa,  y hasta una película reciente se tituló Guerra Santa. Y acierta, pues los cristeros eran hombres y mujeres necesitados de expresar a Dios su amor por medio del culto, que su gobierno prohibía.
    • Los jefes tenían que ser reconocidos o elegidos por sus soldados, antes de confirmar el título las autoridades superiores.La elección siempre se hacía democráticamente, por voto y aclamación.Un jefe del que la tropa estuviera descontenta no podía mantenerse largo tiempo en el puesto y había que volver a las filas o marcharse.
    • El movimiento cristero estaba imbuido de una profunda espiritualidad. Eran soldados de la fe. Algunos soldados hacían capillas, de varas y de zacate. También los sacerdotes hacían sus casas ahí junto a los campamentos cristeros, esto con el fin de llevar los sacramentos a los incansables guerreros de Dios. Todos los días escuchaban la Santa Misa y, por las tardes rezaban el rosario, como los carlistas de nuestras guerra civiles.Pío XI, que instituyó la fiesta de Cristo Rey, alentó el movimiento cristero, dándoles su bendición, apoyando a la Liga Nacional Defensora de la Libertad Religiosa, que alentó un boicot social y económico como primera  forma de protesta, antes de levantarse en armas, para oponerse a las medidas anticlericales del gobierno.
    • En 1926, nada más estallar la guerra, escribió al obispo al Obispo de Tacambaro estas palabras:
      “Si Dios está de nuestra parte, ¿Quién podrá al fin arrebatarnos la victoria?, podremos exclamar confiadamente, con la mirada puesta en el cielo y el corazón en Dios, por más que ruja en nuestro derredor las furias espantosas del abismo….”
    • La mujer tuvo un papel esencial, llegando a veces a estar en primer línea, cuando los generales caían en combate. El centro de la resistencia en Huejuquilla fue María del Carmen Robles, que supo resistir al general Vargas, y cuyo martirio le valió una fama de santidad. María Natividad González, llamada la generala Tiva era tesorera de la Brigada Quintanar, mientras que la infatigable doña Petra Cabral, no contenta con dar a sus hijos a la causa, aprovisionaba a los cristeros.
    • Se ocupaban las mujeres de custodiar las iglesias, misión peligrosa pues suponía arriesgar la propia vida. A ellas se les debe una organización, que resultó esencial para los cristeros, como Las Brigadas Femeninas de Santa Juana de Arco. Era una organización militar destinada a procurar dinero, aprovisionar a los combatientes, suministrar municiones, uniformes y refugios, a curarlos y esconderlos.  Se imponía a sus miembros un juramento de obediencia y de secreto. La organización se extendió a todo el país. En enero de 1928 se fundaba la primera Brigada en el Distrito Federal. Se extendió rápidamente, llegando a contar con más de 10 mil militantes, la mayoría jóvenes solteras de 15 a 25 años, dirigidas por jefes de los cuales ninguno tenía más de 30 años.
    • A mediados de 1928 los cristeros tenían unos 25.000 hombres en armas, seguros de la victoria, pues los federales pasaban por un momento de clara debilidad. En plena campaña presidencial, en 1928, fue asesinado Álvaro Obregón como candidato presidencial. Fue nombrado presidente interino Emilio Portes Gil. Estados Unidos  urgía a la pacificación, buscando una solución a la cuestión religiosa. Los cristeros, que eran para Estados Unidos, unos bandidos, no podían entrar en ese diálogo.
    • Después de tres años de guerra, se calcula que en ella murieron 25.000 o 30.000 cristeros, por 60.000 soldados federales, una sangría humana que solo podía terminar mediante un acuerdo, que para los cristerios constituían una traición. Monseñor Ruiz y Flores, Delegado Apostólico ad referendum, escogió como secretario en la negociación a monseñor Pascual Díaz y Barreto, el único obispo que había mostrado decidido empeño en lograr una transacción con los callistas. Ambos fueron traídos desde EEUU a México, incomunicados en un vagón de tren, por el embajador norteamericano Dwight Whitney Morrow, banquero y diplomático, protestante y masón
    • Los obispos elegidos para estos arreglos no cumplieron las instrucciones de Pío XI, pues no tuvieron en cuenta el juicio de los Obispos, ni el de los cristeros o la Liga Nacional; tampoco consiguieron, ni de lejos, la derogación de las leyes persecutorias de la Iglesia; y menos aún obtuvieron garantías escritas que protegieran la suerte de los cristeros una vez depuestas las armas.
      Juan Rulfo recogió el desánimo en las filas cristeras, que se vieron así traicionadas por los representantes de la Iglesia, a la que defendían.
    • “A la hora de los arreglos los cristeros tuvieron la oportunidad de presentarse a las autoridades militares para recibir un salvoconducto; a cambio tenían que entregar el caballo y el rifle, instrumentos de guerra, contra diez pesos que se les ofrecían para regresar a casa, en un estado mucho peor que en 1926, con una mano adelante y otra atrás”.
    • “Después de la amnistía llegó el exterminamiento del ejército cristero y sus dirigentes -tal como describe Edgar González en Los otros cristeros. “Cuando terminó la primera guerra cristera en 1929, asegura este autor, empezó el gobierno a matar generales y coroneles del ejército cristero”.
    • Al Rulfo niño le quedaron muy grabados las imágenes de la represión contra los cristeros. “Era raro que no viéramos colgado de los pies a alguno de los nuestros en cualquier palo de algún camino. Allí duraban hasta que se hacían viejos y se arriescaban como pellejos sin curtir”.
    • Cristada recoge con toda realismo aquella represión que no pudo acabar con el movimiento cristero, que volvió a echarse al monte en la llamada Segunda Guerra Cristera (1934-41). “Unos pocos formaron unas gavillas de bandoleros, al estilo Pedro Zamora, por rencor, por la inercia de la costumbre adquirida y por la falta de trabajo; otros, más numerosos, volvieron a levantarse en armas”, recordaba Juan Rulfo en sus últimos años de vida. La Iglesia católica se mantuvo al margen, y fue considera traidora por los nuevos cristeros.

·         Estalla la guerra civil (1926-1929)

·         Los soldados de la fe

·         Las Brigadas Femeninas

·         Los arreglos (21-6-1929)

·         Se ignoraron las instrucciones de Pío XI

http://www.rtve.es/noticias/20120419/juan-rulfo-testigo-victima-cristiada/517301.shtml

http://www.cineblog.it/post/448498/cristiada-recensione-in-anteprima

JUAN RULFO:”¡DILES QUE NO ME MATEN!”

Juan Rulfo fotografo – Leer “Talpa” Por Lilian Elphick ed altro …

Juan Rulfo – Luvina ; la imagen de la desolación | controappuntoblog …

Paso del Norte Teatro La Memoria

http://www.controappuntoblog.org/2014/07/10/paso-del-norte-teatro-la-memoria/

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