Charles Wright : Guidando in Tennessee e in Italia

Guidando in Tennessee – Poeti statunitensi contemporanei /8

Charles Wright

Charles Wright è il nuovo poeta laureato degli Stati Uniti per l’anno 2014-2015. Ha preso servizio lo scorso 25 settembre inaugurando il suo mandato con una lettura pubblica nell’auditorium della Biblioteca del Congresso a Washington, l’istituzione che ogni anno assegna questo prestigioso ruolo a esponenti di rilievo della poesia americana. La scelta del bibliotecario responsabile della Library of Congress è caduta sul nome autorevole di un autore ormai considerato un classico, un poeta cui resterà per sempre legata la poesia americana fra la fine del XX secolo e i primi decenni del XXI. Dagli anni Settanta ad oggi Wight ha continuato a raffinare una lingua inconfondibilmente sua lavorando intorno alla costruzione di una grandiosa biografia dello spirito di un laico contemporaneo e intorno a un unico tema: il destino umano di vita e di morte e il nostro eterno desiderio di conoscenza. Le sue poesie sono spesso poemetti in più sezioni, brevi liriche iocnografiche separate da una lineetta e strutturate in forma di diario. I suoi caratteristici versi si contraggono, si espandono e si rompono sulla pagina per comporre un racconto pausato dal ritmo, come lui stesso dice, “epifanico e oceanico allo stesso tempo. Intensivo e estensivo. Lungo e breve. Alla maniera americana”. La sua scrittura si riallaccia infatti alla più  alta cultura statunitense,  ma allo stesso tempo, come è nella tradizione del suo Paese, riprende anche quella del vecchio mondo. Se da un lato la sua poesia riecheggia la metafisica di Emily Dickinson e il maestoso canto di Walt Whitman, la musica country, il blues e il jazz, l’imagismo di Pound, l’astrattismo di Wallace Stevens, dall’altro richiama l’architettura e l’immaginario di Dante, la metafisica modernista di Montale, quella pittorica di Giorgio Morandi e Paul Cézanne, il surrealismo di Kafka, le voci dei mistici cristiani, i lirici paesaggi interiori dei poeti medievali cinesi.

Anche la topografia dei suoi testi è un telaio di molti luoghi rielaborati nella memoria e sempre funzionali al suo  ragionare sulla condizione umana. In particolare, il paesaggio italiano del nord-est entra subito nella sua scrittura e si intreccia a quello del sud-est degli Stati Uniti, dove è nato nel 1935 e dove tuttora vive, per estendersi in seguito fino al Montana, dove passa le vacanze estive. Il risultato è un affresco mitografico animato da epifanie, luci e ombre, importanti date storiche o personali, visioni e ricordi, immaginari incontri con i suoi maestri e citazioni che servono a comporre un ininterrotto dialogo con la tradizione in cui Wright si riconosce. Il paesaggio italiano è inoltre legato a fattori biografici perché proprio in Italia, nel marzo 1959, Wright prese coscienza della sua vocazione poetica. Aveva allora 24 anni ed era un soldato dell’esercito americano a Verona, più attratto dal nostro Paese che dalla vita militare. Un giorno si trovò a leggere “Blandula, Tenulla, Vagula”, la poesia di Pound che definisce Sirmione più bella  del Paradiso, proprio nel luogo, sul lago di Garda, che l’aveva ispirata. Con il sole di marzo che filtrava fra gli ulivi e rendeva l’acqua d’argento, le Prealpi sopra Riva avvolte nelle nuvole e, accanto, le rovine della villa di Catullo, quella “metafisica del quotidiano”, che è il filo conduttore della sua poetica,  gli apparve come la ragione per una vita di scrittura. Abbandonato l’esercito, si mise a studiare poesia, inclusa quella italiana – Montale, Pavese, Leopardi, Campana. Pochi anni dopo, a Roma come borsista Fulbright, traduceva Montale e  leggeva Dante, e traducendo e leggendo imparava a comporre versi e a immaginare grandi architetture poetiche.«I soli due poeti che ammiro e venero», ha scritto, «e che davvero penso che credano in quel che credo io sono Emily Dickinson e Eugenio Montale. Parlo della visione della vita e dell’oltre vita. Mi piace pensare che ci tocchiamo sul piano metafisico oltre che fisico». Dante, invece, è per lui il grande «solco» che ogni poeta deve seguire; la sua poesia «è un grande modello platonico di vita e arte», una sorta di «dizionario» dove andare a cercare significati e prendere a prestito immagini e situazioni per raccontare il contemporaneo. Le trilogie di trilogie in cui Wright ha raccolto i suoi libri di decennio in decennio sono ispirate alla Commedia.

Con i suoi 22 volumi (l’ultimo, Caribou, è uscito pochi mesi fa) Wright ha continuato a raccontare, di libro in libro, il viaggio di un moderno pellegrino in cammino verso una elusiva e improbabile meta, che metaforicamente chiama “quell’immobile puntino di luce al centro dell’universo dove ogni cosa s’incontra”, “la città di luce oltre l’acqua”, “l’altra sponda del fiume”. In questo viaggio, il mondo visibile gli appare come la controparte di un mondo invisibile, dell’infinito in senso leopardiano, del sublime in senso americano, convinto che l’unico paradiso sia qui sulla terra, e che amare il mondo terreno significhi amare un presunto ordine trascendente delle cose. Ogni elemento su cui si posano gli occhi di questo poeta-viandante va infatti a formare un libro magico saturo di messaggi che la lingua, unico strumento nelle sue mani, formula e riformula in provvisorie cartografie di una fiction metafisica.

Come Wright ha detto e scritto più volte, la sua poesia nasce dall’incontro fra  il paesaggio, la lingua e l’idea del divino. Le sue lussureggianti architetture e i suoi pannelli dinamici, sempre nuovi nei vari momenti del giorno e delle stagioni, sono lo spazio entro cui il suo personaggio insegue un Dio destinato a rimanere un’astrazione sospesa nella sua potenzialità. La ricerca della parola assoluta che faccia esplodere il big bang della conoscenza è perciò ragione e giustificazione della sua scrittura, l’unica strada, come scrive parafrasando Dante, verso la “forma che muove il sole e le altre stelle”. L’intera opera di Wright non è, in fondo, che uno straordinario esercizio di stile intorno alla rappresentazione delle “schegge del divino”, di quei momenti in cui il tutto, o il nulla, sembra rivelarsi.

Centrale nella sua poesia è anche il tema della morte, metafora estrema dell’ignoto, il negativo della vita verso cui è diretto il pellegrino postmoderno di Wright. Da questa  prospettiva parte la sua meditazione sulla mortalità umana immaginando, come ogni pellegrino, un nostos, un ritorno a una patria ideale che, per Wright, è il mondo misterioso della natura a cui, in virtù di una  panteistica rigenerazione, ognuno infine si ricongiunge. Scrive in una poesia giovanile: “Se noi, come siamo, siamo polvere, e la polvere com’è certo risorge, / allora risorgeremo, e ci ritroveremo / nel vento, nella nuvola, e saremo il loro effluvio, // una cascata di cose nella cascata del mondo, e scivoleremo, / fra le punte dei rami e le giuntture schiantate dei sempreverdi”. Ecco perché i paesaggi  di Wright fremono di invisibili presenze; ecco perché tutta la sua poesia è un canto alla terra e alle costellazioni del cielo in cui immagina di trasfigurarsi nell’oltrevita.

Nei libri più recenti questo canto ha acquistato un livello sempre più alto di leggerezza in una suggestiva sublimazione delle parole in musica. Il che è, in ultima analisi, la soluzione estetica di Wright alle tematiche metafisiche. Alla lingua, simulacro per eccellenza, il poeta affida il compito di superare i limiti umani  e essere scala all’idea del divino oltrepassando la sua stessa natura per diventare strumento ‘non verbale’ di conoscenza. Nel sottrarre peso alle parole, anche la figura del poeta-pellegrino si rarefà e s’identifica con Orfeo, il poeta mai esistito ma sinonimo di poesia come canto infinito di trionfo e sconfitta. Figura non nuova nella poesia di Wright, il mitico cantore che non riesce a riportare in vita un’ombra diviene ora il suo doppio, come si legge in una poesia  del 2000:

Cammino nel freddo della notte in pieno autunno,
……………………………………come Orfeo,
pensando il mio canto, ansioso di voltarmi,
la mia vita svanita un ornamento, una nuvola alla deriva, dietro [di me,
leggera trascendenza di cenere,
sepolta e risorta una volta, e poi ancora e ancora.
Il marciapiede si srotola come un sonno profondo.
Sopra di me le stelle, stelle austere,
svelano il volto.
…Nessun cuore batte alle mie spalle, nessun passo.

Alla figura di Euridice Wright trasferisce il senso di tutta la sua poesia. Come la donna che svanisce nel momento in cui sta per reincarnarsi, così la sua “leggera trascendenza di cenere” (altra immagine per “le schegge del divino”) continua a dissolversi davanti ai suoi occhi e diventa metafora di quell’invisibile punto in cui tutto converge.  L’Orfeo contemporaneo di Wright non sa rassegnarsi a questa perdita e ostinatamente continua a credere di poter trattare l’ombre come cosa salda (altro verso dantesco caro a Wright). Perciò prosegue nel suo viaggio fatto solo di partenze, attese e domande scrutando i mutamenti nel paesaggio e lavorando sullo stile e sulla tecnica per piegare la lingua verso il non rappresentabile, verso la luce, il silenzio e la musica. Queste sue leggere filigrane tessono e ritessono una storia antica tentando di immaginare quell’originale da cui siamo esclusi. “Tutte le poesie”, si legge in un suo adagium, “sono traduzioni”.

Antonella Francini

[Charles Wright, Crepuscolo americano e altre poesie (1980-2000), a cura di Antonella Francini, Jaca Book, 2001; Charles Wright, Breve storia dell’ombra, a cura di Antonella Francini, Crocetti Editore, 2006, da cui proviene in parte questa introduzione.]

***

GUIDANDO IN TENNESSEE (1981)

Strano quel che riporta il passato.
I genitori, ad esempio, come si profilano fervidi
nei brevi e istantanei
lampi di memoria, un piede davanti all’altro
perfino a ritroso, e così inaccusabili.

E le città in cui vivemmo un tempo
e chi eravamo allora, le vie percorse in su e in giù
ritornano davanti a noi come brina
su cui batte la luce della luna, e ritorna Gesù, Stefano [Martire
e San Paolo della Spada…

– Io sono la loro musica,
madri e padri e luoghi dove ci affrettammo nella notte:
accosto la bocca alla polvere e canto la loro canzone.
Ricordati di noi, Galeotto, e fischietta il nostro motivo [quando verrà l’ora,
per amore di carità.

*

DIARIO DEL PRATO (1988)

– Nebbia fra gli alberi, chiazze d’acqua sporca e erba [tagliata
sul passo carraio,
………………s’ingrossa ad occidente il pomeriggio,
un paio d’ore di strada più giù:
strano come la luce ruoti concentrica sul suo asse
…………………………………………avanti e indietro
dopo la pioggia, come se il mondo visibile
fremesse in una goccia d’acqua
…………………………appesa a un filo d’erba:
il passato non è mai il passato:
………………………steso come una lunga lingua
ci camminiamo verso l’umida bocca del futuro,
…………..dove nuovi denti
ammiccano come stelle novelle intorno a noi,
e i venti che ci pizzicano e ci tormentano le orecchie
………………………suonano curiosamente come [vecchie canzoni.

– Crepuscolo profondo e insetti luminosi
………………………compongono un alfabeto sul muro [di levante,
la corazza del cielo venata di blu ronza
a suo modo, estranea a tutto.
Alberi si dissolvono nell’opera della notte,
…………………………case si dileguano nell’aria:
lassù da qualche parte un’immagine aspetta il suo [momento
bruciando come Abramo nel freddo, chiare
……………………………………immensità dei cieli,
aspetta d’accogliermi per completare la mia equazione:
quel che conta è astratto, ed è quel che è l’amore,
candescente nella memoria,
……………………………………………continuo
e incancellabile, come l’amore…

– La ghiandaia fa balzi da canguro nell’erba alta del prato,
poi sù, in un colpo di pennello
………………………………e sulla siepe ad arco.
La luce grava sulle azalee,
i banchi di nuvole di ieri ancora là, affrescati
……………………………sotto la cornice del cielo,
veloce trasfusione di porpora nel verde braccio del [pomeriggio.
Fiori di luce solare come di cera vanno alla deriva
………………………nel frutteto nano e galleggiano
sotto peschi e peri pigmei
su tutta l’America,
………………………………………ed anche qui i fiori
continuano a cadere, all’improvviso, chissà da dove.
L’ombra del merlo arde nella creta rossa di sotto.

– Esclusione è il segreto: ciò che manca è ciò che appare
più visibile all’occhio:
………………………………più le cose sono luminose,
più sottraggono cosa le circonda,
sbucciando via la pelle arsa del mondo
………………………rendendo visibile l’invisibile:
corpo dopo corpo, tutti risorgono nella luce
tattili e ancora molli,
quel rododendro, quella passiflora, quell’abete,
un’architettura dell’assenza,
…………………………un paesaggio le cui parole
sono impronte, immagini che si sfanno se si chiudono le [palpebre:
le porto via perché rimangano lì-
………………quel cespuglio, ad esempio, quello stelo…

– Un calabrone della misura del mio pollice
……………………………si solleva come Gerione
dalla dura tenebra dantesca
sotto la finestra e lambisce la bolgia di stagno della [grondaia,
poi si ritrae come un colibrì
……………………scomparendo, languido, a spirale,
omeri su cui ho voluto sedermi, un volo che ho voluto fare,
depositato nell’oltreluce
……………………………di città accalcate nell’erba,
intermittenti illuminazioni, pianura ferrigna che giace
ingombra di musica e piccoli fuochi,
…………………………proda rocciosa della fossa
alla fine d’ogni strada,
i primi volti che emergono:
……………………………Bico, sei tu qui, amico mio?

*

ULTIMO DIARIO (1988)

Condannati dalla nostra stessa bocca,
…………………noi che confidiamo nelle cose visibili.

Ben presto dimenticheremo il mondo.
………………………E ben presto il mondo [dimenticherà noi.

Il soffio della vita, da questa all’altra trapassando,
è quel che dice il vento, nella sua sola parola
…………………………………la gioia della terra.

Lussuria della lingua, lussuria dell’occhio,
……………condannati dalla nostra stessa bocca…

*

VITE DI SANTI, parte 1 (1997)

Nodo allentato su una corda corta,
la vita continua a sgusciar via sotto di me, intatta ma
calante,
………il suo schema perde schema,
l’abisso blu dell’aria d’ogni giorno
l’inala e l’esala
…………in nuvolette come di fumo,
in piccole filze e fili di vento.

Tutto quello che il lapis dice è cancellabile,
ma non le nostre voci, parole nere e permanenti,
che imbrattano la vita come fuliggine,
……………………………ma non le nostre memorie,
incise come sagome nella mente,
ma non le nostre irrecuperabili azioni…
Il lapis tutto sparge e poi tutto riprende.

Per esempio, eccomi qui fra Hollywood Boulevard e Vine,
a quasi 60 anni, la vigilia di Natale, carni in mostra e [mezzani
e incessante su Walk of Fame
……………………………………lo spengersi di canne
sperando che qualcosa di non-troppo-terribile accada sulla [strada.
La raffica di pioggia si è bloccata di schianto,
le fronde della palma ciondolano seducenti
……………………La vita, come si dice, è bella.

*

Da Caribou (2014)

NINNA NANNA

Ho detto quel che dovevo dire
con tutta la melodia che mi fu data.

Ho detto quel che dovevo dire
nel fondo più in fondo che potessi arrivare.
…………………Sono stato dove

volevo stare ma non a Gerusalemme,
che non esiste, ed è tempo di partire credo,

tempo d’andare,
tempo d’incontrare chi non ho mai incontrato,
……………………………tempo di dire buonanotte.

Donaci il silenzio, non donarci risposte,
donaci ombre e i loro accoliti
…………………………nascosti nel cielo.

*

OLTRE IL RUSCELLO C’E’ L’ALTRA RIVA DEL FIUME

Il buio non esce dai boschi,
…………………non appaiono angeli.
Ascolto, nessuna parola, guardo e non vedo nulla.
Deve nascondersi là l’eternità, è stato così in passato.

Posso aspettare, o posso salire,
come Orfeo, su per i viscidi organi del mio corpo.

Aspetterò, credo,
……………almeno fino a domani notte, o il giorno dopo.
E se il buio non appare,
………………sarà lungo il tempo.
E senza un angelo, sarà più lungo ancora

http://www.nuoviargomenti.net/poesie/caribou-poeti-statunitensi-contemporanei/

Italia

13 gennaio 2017 Pubblicato da Le parole e le cose

di Charles Wright

[È uscito in questi giorni Italia di Charles Wright (Donzelli, Poesia n.61). Fra i maggiori poeti americani della sua generazione, Charles Wright (1935) ha scritto nel corso del tempo molte poesie sull’Italia e su temi italiani. Questo volume, curato da Damiano Abeni e Moira Egan, le raccoglie e le traduce. Presentiamo una scelta di testi]

Omaggio a Ezra Pound

Oltre San Sebastiano, oltre
Ognissanti e San Trovaso, lungo
Le Zattere e a sinistra
al di là del ponte scalinato fino a dove
—discosta sulla destra, seminascosta—
la Dogana Vecchia brucia al sole primaverile:
è così che ci si arriva.

Questa è la strada in cui abita Pound,
un vicolo cieco
di anfratti catarrosi e pietra sbrecciata,
al cui imbocco le acque
si radunano, i gabbiani stridono;
qui dentro—muto, immoto—lui aspetta,
cernendo gli affetti freddi del sangue.

*

Altri hanno aperto il cammino,
svanendo nel sonno, i letti
sfatti, lenzuola ancora intrise
da ciò che li ha messi in disparte—
il cancro o i polmoni malati, la nuvolaglia
della vecchiaia che avanza, l’incenso
torpido del suicidio …

E lui è sopravvissuto,
o si è rifiutato di accodarsi, e adesso
passeggia nello stroboscopio lento del sole,
o siede nelle sue stanze ovattate,
e si chiede dove le cose sono andate storte,
e tende l’orecchio alla trasmissione, al sommesso
frusciare d’ali, al tuffo di un remo.

*

Oggi è uno di quei giorni
che si giura siano una profezia:
l’aria esplicita e carica di umori,
come colmata da preghiere inesaudite;
il crepuscolo, che comincia a infilare
le dita fuligginose tra le piante;
e tu, Pound,

sommerso da una vita sbagliata,
rotti gli ormeggi sulla laguna (il vento
al largo, che rinforza), la marea che cala …
Ecco qui il tuo amnios e il tuo caustico,
qui c’è il tuo vestito,
padre dal sangue freddo della luce—
alzati e sii integro di nuovo.

Venezia

Homage to Ezra Pound

Past San Sebastiano, past
The Ogni Santi and San Trovaso, down
The Zattere and left
Across the tiered bridge to where
– Off to the right, half-hidden –
The Old Dogana burns in the spring sun:
This is how you arrive.

This is the street where Pound lives,
A cul-de-sac
Of rheumy corners and cracked stone,
At whose approach the waters
Assemble, the gulls cry out;
in here – unspeaking, unturned – he waits,
Sifting the cold affections of the blood.

*

Others have led the way,
Vanishing in their sleep, their beds
Unmade, the sheets still damp
From what has set them apart –
Cancer or bad lungs, the wrack
Of advancing age, the dull
Incense of suicide…

And he has survived,
Or refused to follow, and now
Walks in the slow strobe of the sunlight,
Or sits in his muffled rooms,
Wondering where it went bad,
And leans to the signal, the low
Rustle of wings, the splash of an oar.

*

Today is one of those days
One swears is a prophesy:
The air explicit and moist,
As though filled with unanswered prayers;
The twilight, starting to slide
Its sooty fingers along the trees;
And you, Pound,

Awash in the wrong life,
Cut loose upon the lagoon (the wind
Off-shore, and gaining), the tide going out…
Here is your caul and caustic,
Here is your garment,
Cold-blooded father of light –
Rise and be whole again.

                                   Venice

da Tatuaggi

[…]

4.

Dita di limo, ossa e moncone di limo.
E due volte ora, nel cielo drogato,
lune bianche, lune nere.
E due volte ora, nei giardini,
il seme immenso dell’affetto.

Sciabordare del canale di Zuan, passi
offuscati del Tintoretto, il resto
il resto è fulgore: Turner alle 3 di mattina, lampioni di falene
lungo le finestre. O, piume
azzurre, questa limpida cattedrale … 

E ora questi puntelli di gioia,
sottomurazioni radiose:
antiche impalcature, progetti antichi,
cadono tutti in una pioggia di luce.
Io ho visto quello che ho visto.

1968

(Venezia, Italia)

[…]

from Tattoos

[…]

4.

Silt fingers, silt stump and bone.
And twice now, in the drugged sky,
White moons, black moons.
And twice now, in the gardens,
The great seed of affection.

Liplap of Zuan’s canal, blear
Footfalls of Tintoretto; the rest
Is brilliance: Turner at 3 a.m.; moth lamps
Along the casements. O blue
Feathers, this clear cathedral…

And now these stanchions of joy,
Radiant underpinning:
Old scaffolding, old arrangements,
All fall in a rain of light.
I have seen what I have seen.

                            1968

(Venice, Italy)

***
Morandi

Parlo della quiete, il riserbo
di un centrotavola di porcellana, un vaso lacrimale, una brocca.

Parlo dello spazio, che ha una sola faccia,
inesaudita, lasciata a essiccare.

Parlo della tempera, della forma, del vuoto
a cui questi oggetti stanno di sentinella, e da cui scaturiscono.

Parlo del peccato, goccia rossa, goccia bianca,
della sua deformazione e curvatura, che è azzurra.

Parlo di bottiglie, di rovina,
e di quello che usiamo per illuminare la tenebra, e del perché …

Morandi

I’m talking about stillness, the hush
Of a porcelain center bowl, a tear vase, a jug.

I’m talking about space, which is one-sided,
Unanswered, and left to dry.

I’m talking about paint, about shape, about the void
These objects sentry for, and rise from.

I’m talking about sin, red drop, white drop,
Its warp and curve, which is blue.

I’m talking about bottles, and ruin,
And what we flash at the darkness, and what for…

***

Mantova

Mantegna alle pareti, il Mincio che forma stagni fuori porta,
nuvole tatuate sul petto azzurro,

Mantova galleggia nella luce-colomba del tardo pomeriggio
ventidue anni fa.
La pioggia taglia la scena con i suoi schiaffi bianchi.

Ricordo un sogno che feci una volta a Mantova,
tutti i presenti in abito da cerimonia,
un refettorio,

coppe e tovaglie di lino bianco.
A capotavola, vicino a me, ammucchiati su un vassoio di bronzo
come quaglie, tutti ossicini del desiderio e zampe delicate,
i bambini arrosto venivano serviti
“Deve provare le cosce”,
mi diceva il padrone di casa, ancora con i guanti.
“Deve provare le cosce”.

Metà del cielo colmo di pioggia, metà no,
canne spinte dall’acqua a restare immobili,
il fiume che scende in piena ma senza tracimare,
tutto capovolto,
il cielo a riposo sotto i piedi.
Parole, ma chi si ricorda?

Che parole sanno il cielo, le nuvole?

Sulla parete della residenza estiva,

dove lo lasciò Giulio Romano,

il leone beve sulla sponda del fiume, e gli alberi accudiscono.

Mantova

Mantegna on all the walls,
The Mincio puddled outside the gates,
clouds tattooed on its blue chest,
Mantova floats in the pigeon-light of late afternoon
Twenty-two years ago.
Rain shoots its white cuffs across the scene.

I remember a dream l had once in Mantova,
Everyone in it in full dress,
refectory hall,

Goblets and white linen.
At the near end of the table, heaped on a bronze salver
Like quail, all wishbone and delicate leg,
The roast children were served up.
«You must try the thighs,»
My host said, his gloves still on.
«You must try the thighs.»

Half the sky full of rain, and half not,
Reeds under water pressure to stay still,
The river oncoming but not flashed,
Everything upside down,
the sky at rest underfoot.
Words, but who can remember?

What words does the sky know, or the clouds know?

On the wall of the summer house,
where Giulio Romano left him,
The lion sips at the riverbank, and the trees provide.

***

A Giacomo Leopardi in cielo

Se sei diventato un’idea eterna

che rifiuta ogni investitura nei nostri stracci rosa,
saggio al di là di corpo e forma,

o se dispensi altrove l’ostia di un diverso sole
in uno degli altri eteri,
da quaggiù
dove i nostri anni hanno fauci onnivore,
ascolta ciò che dicono queste parole di uno che ti ricorda.

_________

Il 17 luglio, in veranda
guardando tra le assi della balaustra e le foglie di palma
l’oceano senza orizzonte che manda segnali,
comincio a esumare dal marmo
interminati spazi, oltre,
silenzi così immensi da risuonare come vento,
come questo vento che mi sgomenta
con la sua calma

quando mi tira il lenzuolo della notte

sulla testa.
Com’è dolce annegare in acque così sicure.

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Ogni volta che ti vedo
sul tuo fianco sinistro tra le nubi
che ci guardi,
le nostre lingue legate, gli amici tutti scomparsi,
i nostri cuori e i nostri respiri con l’aria che hanno esalato,
mi fai sentire amaro per l’essere così simile a te.

_________

Che giorno ho scattato questa foto in cui tu non hai alcuna parte?
1959, non una foglia sugli alberi, autunno inoltrato, Ponte Pietra sull’Adige.
Verona, primo mattino.
A che scopo il tuo breve aleggiare sul mio percorso?
Cerchi di cancellare le tue tracce
ma sei troppo lontano dalla terra.

Hai palpitato abbastanza.
Ogni cosa sulla faccia della Terra è degna dei tuoi rimpianti.

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Non venire mai alla luce è la cosa migliore, dici,
tu che fosti fatto per la gioia,
il tuo collo di gesso come una scia d’aeroplano nel cielo.

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Lo so che sei lassù, nascosto dietro la luce del mezzogiorno
e il cristallo dello spazio.

Quaggiù
nell’incedere furtivo e affannoso del giorno che ti attende
nel tuo abito nero e madreperla,
la posta arriva, l’immondizia se ne va,
le farfalle accoppiate

planano e si tuffano a capofitto in formazione,
le api seguono le proprie lingue
e in punta di piedi si affaccendano sul contorno

dei piumini di melaleuca,
succhiandone la dolcezza, il 27 luglio,
il colibrì addormentato sul suo ramo,
il ragno fermo nella fiamma.

_________

Leggevi, leggevi sempre,
vocale su consonante
poi tre passi verso le stelle,
e lì tu langui,
delineato in punti sfolgoranti e geometria solida,
epistola stracciata …

_________

Tu ci danni, noi che vediamo il tuo volto.
Ci imponi il tuo dolore:
così fragile e gretto sempre,
com’è il nostro,
assale l’orecchio come fosse paradiso.
La luna sorge e cala,
risvegliata e poi spenta giù in basso.

Ti pieghi come un biglietto da visita ritraendoti dall’alba.
Tu ci danni, noi che vediamo il tuo volto.

_________

È la mente non il corpo,
che ci sostiene e ci fa brillare una luce negli occhi:
se lo spirito è il nulla,
preferirei che la luce tornasse piuttosto che la luce si accendesse.

_________

Mezzogiorno, e tu sei di nuovo lì sull’altra faccia del cielo.
Due aquiloni hanno fatto il nido nella gonna secca
della palma
e graffiano la loro voce come unghie
sulle finestre dell’aria
quando sfarfallano giù, dita svelte, a cibare i loro pulcini.
Ti piacerebbe da questa parte, credo.
L’estate è ovunque, la tua favorita,
e il terriccio ancora si sfalda e cade come pioggia minuta dalla mano.
Il vento soffia dal mare.
Le ragazze sono belle e tutti sono tristi.

_________

La sera è limpida e incisa,
la luna come un LP d’oro
sulle case e sul boschetto di avocado,

e tu sei tornato,
ti libri oltre i ricami delle stelle,
un filo così fine da infilare.
Ti ricordi la pena di com’era per te,
la canzone di Teresa che grattava via la crosta dell’abrasione della tua gioventù
e dalla fine che si avvicinava
i giorni non abbastanza lunghi, e le notti non abbastanza lunghe
perché tu soffrissi fino in fondo?
Rifaresti lo stesso, scommetto,
e vivresti la stessa vita,
ombrello di carta sulla tua testa
per evitare la neve,
il colore della nevicata come tendaggi sui tuoi occhi.

_________

Non una sola parola s’è mai dissolta in gloria, non una.
Continuiamo a mandarle in alto, comunque,così come il sole piove giù.
Tu stesso l’hai fatto,
tutte quelle notti con lo sguardo al cielo, col desiderio di essere là
lontano dalla pena di essere qui
nella carne sbagliata.
Ti devono sembrare buffe adesso,
si alzano come segnali di fumo nell’infinito,
la stessa lettera ripetuta di continuo,
la o maiuscola e la o minuscola.

_________

15 agosto, e dieci giorni
e 2500 Km da dove ci siamo parlati l’ultima volta, meno di un batter d’occhio
per te,
settant’anni nel passato per me
mentre il corvo vola e il clima s’infiamma.
E perfino qui, come la mano di chi sta annegando, la tua mano
indica da dietro le stelle
ancora senza precipitazione
l’Orsa e le acque scure
su cui ogni barca di carne issa le vele …
Una tal pena, e io volto pagina
su questo posto, costruito nel 1912
da qualcuno che non aveva mai nemmeno sentito il tuo nome
ma riconosceva il tuo volto nelle notti serene
su Mount Caribou
mentre tu ruotavi verso occidente, la bocca piena di stelle.

_________

Non volevo dire altro.
Pensami di tanto in tanto, come io penso a te
quando la luna è una zecca dorata nel cielo estivo
gonfia di luce:
tu sei parte delle mie parti del discorso.
Pensami di tanto in tanto. Io penserò a te.

To Giacomo Leopardi in the Sky

If you are become an eternal idea,
Refusing investiture in our pink rags,
wise beyond body and form,
Or if you housel elsewhere a different sun
in one of the other aethers,
from down here
Where our years are fanged and omnivorous,
Listen to what these words say, from one who remembers you.

_________

July 17th, on the front deck
Looking out through the slats and palm leaves,
The ocean horizonless and sending out signals,
I start to unmarble
interminable spaces beyond it,
Silences so immense they sound like wind,
Like this wind that dismays me
With its calm
as it pulls the sheet of the night
Over my head.
How sweet it is to drown in such sure water.

_________

Whenever I see you
On your left side through the clouds
Looking down on us,
our tongues tied, our friends all gone,
Our hearts and breaths with the air let out of them,
You make me bitter for being so much like you.

_________

What day did I take this picture you have no part in?
1959, no leaves on the trees, late fall.
Ponte Pietra over the Adige
Verona, early morning.
What purpose your brief drifting along my course?
You try to erase your tracks
but you’re too far from the ground.
You’ve throbbed enough.
Everything on the earth is worth your sighs.

_________

Never to see the light is best, you say,

who were made for joy,
Your neck of chalk like a vapor trail across the sky.

_________

I know you’re up there, hiding behind the noon light
And the crystal of space.
Down here,
In the lurch and gasp the day makes as it waits far you
In your black suit and mother-of-pearl,
The mail comes, the garbage goes,
the paired butterflies

Dip and swoop in formation,
Bees trail their tongues
and tiptoe around the circumferences
Of the melaleuca puffs,
Sucking the sweetness up, July 27th,
The hummingbird asleep on her branch,
the spider drawn up in flame.

_________

You kept reading and reading,
Vowel over consonant
then three steps to the stars.
And there you languish,
outlined in flash points and solid geometry
Epistle in tatters…

_________

You doom us who see your face.
You force on us your sorrow:
So frail and vile throughout,
as ours is,
It assails the ear like paradise.
The moon goes up and goes down,
roused and quenched low.
You bend like a calling card away from the dawn.
You doom us who see your face.

_________

It’s the mind, not the body,

That bears us up and shines a light in our eyes:
If spirit is nothingness,
I’d rather the light came back than the light came on.

_________

Noon, and you’re there again on the other side of the sky.
Two kites have nested in the dry skirt
Of the palm tree
and scrape their voices like fingernails
Against the windowpane of the air
When they flutter down, quick fingers, to feed their chicks.
You’d like it on this side, I think.
Summer is everywhere, your favorite,
And dirt still crumbles and falls like small rain from the hand.

 

The wind blows in from the sea.
The girls are pretty and everyone is sad

_________

The night is clear and incised,

The moon like a gold record
above the houses and avocado grove,
And you’re back,
floating behind the star’s stitching,
Such fine thread to sip through.

Do you remember the pain of the way it was for you,
Teresa’s song scratching the scab off your own youth
And approaching end,
The days not long enough, and the nights not long enough
For you to suffer it all?
You’d do the same again, I’ll bet,
And live the same life,
Paper umbrella above your head
To keep the snow off,
the color of snowfall like curtains across your eyes.

_________

Not one word has ever melted in glory not one.
We keep on sending them up, however,
As the sun rains down.
You did it yourself,
All those nights looking up at the sky, wanting to be there
Away from the grief of being here
in the wrong flesh.
They must look funny to you now,
Rising like smoke signals into the infinite,
The same letter over and over,
big o and little o.

_________

August 15th, and ten days

And 1,700 miles from where we last spoke, less than a twitch

For you,
seventy years into the past for me
As the crow flies and the weather burns.
And even here, like the hand of a drowning man, your own hand
Points out from behind the stars
still without urgency

The Bear and the dark waters
Each boat of flesh sets sail on…
Such hurt, and I turn the page
to this place, built in 1912
By someone who’d never heard your name
But knew your face on clear nights
over Mount Caribou
As you wheeled west, your mouth full of stars.

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That’s all I wanted to say.
Think of me now and then, as I think of you
When the moon’s like a golden tick on the summer sky
Gorged with light:
you’re part of my parts of speech.
Think of me now and then. I’ll think of you.

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