G.Ungaretti- Il Dolore pdf – I fiumi da “L’allegria”

G.Ungaretti- Il Dolore

GIUSEPPE UNGARETTI: IL DOLORE- ANALISI DELL’OPERA

Pubblicato Martedì, 31 Marzo 2015 11:38

Scritto da Krizia Ribotta

Ungaretti giuseppe La prima edizione de Il Dolore è del 1947, ma le singole liriche erano già  tutte apparse in precedenza soprattutto su riviste. Il poeta indica come data di composizione un periodo che va dal 1937 al 1946, in gran parte coincidente con l’epoca di elaborazione de La Terra Promessa (1935 – 1953) e di Un Grido e Paesaggi (1939 – 1952): fra i tre libri esistono in effetti notevoli convergenze testuali, particolarmente rilevabili fra alcune poesie (dedicate al figlio morto) de Il Dolore e la poesia Gridasti: Soffoco della silloge Un Grido e Paesaggi.

Lo stile di queste tre raccolte è influenzato anche dalle numerose traduzioni cui Ungaretti fu duramente provato dalla vita ed ebbe, nel contempo, la possibilità  di approfondire la propria fede.

Il motivo del dolore è suggerito sia dalle disgrazie familiari sia dalla visione di Roma occupata dell’Italia straziata dalla guerra.

Le prime sono tuttavia prevalenti. Oltre al normale umano significato che tali lutti hanno, specialmente quello del figlio, per Ungaretti esse rappresentano la cancellazione di quella sorta di residuo edenico che è l’età  infantile: col fratello muore infatti l’ultimo testimone dell’infanzia del poeta e col figlio la speranza di rivivere di riflesso quest’esperienza.

Insieme l’anomalia della morte di un bimbo di nove anni lo porta a considerare la natura sotto un aspetto nuovo.

Gli si configura così in modo preciso la violenza che la vita stessa comporta e l’ineluttabilità  di essa.

Per esprimere l’angoscia di tale scoperta e la sofferenza nella sopportazione della vita, Ungaretti modula il suo canto su un tono nuovo utilizzando la parola gridata o l’affanno reso con dei puntini di sospensione. Non si può tuttavia parlare di autocommiserazione, in quanto il suo non è atteggiamento passivo, ma espressione di forza; anche nel dolore personale Ungaretti non si isola, ma s’immedesima nel ruolo di cantore dell’umano dolore, non solo del proprio.

E in tal senso, anche nelle composizioni ad oggetto più intimo e personale, si avverte il senso di solidarietà  che unisce i sofferenti singoli.

http://www.mondoscuola.net/superiori/137-appunti/762-da-pubblicare-giuseppe-ungaretti-il-dolore-analisi-dell-opera.html

da IL DOLORE – da ROMA OCCUPATA 1.

Mio fiume anche tu, Tevere fatale,
Ora che notte già turbata scorre;
Ora che persistente
E come a stento erotto dalla pietra
Un gemito d’agnelli si propaga
Smarrito per le strade esterrefatte;
Che di male l’attesa senza requie,
Il peggiore dei mali,
Che l’attesa di male imprevedibile
Intralcia animo e passi;
Che singhiozzi infiniti, a lungo rantoli
Agghiacciano le case tane incerte;
Ora che scorre notte già straziata,
Che ogni attimo spariscono di schianto
O temono l’offesa tanti segni
Giunti, quasi divine forme, a splendere
Per ascensione di millenni umani;
Ora che già sconvolta scorre notte,
E quanto un uomo può patire imparo;
Ora ora, mentre schiavo
Il mondo d’abissale pena soffoca;
Ora che insopportabile il tormento
Si sfrena tra i fratelli in ira a morte;
Ora che osano dire
Le mie blasfeme labbra:
“Cristo, pensoso palpito,
Perchè la Tua bontà
S’è tanto allontanata?”

Ora che pecorelle cogli agnelli
Si sbandano stupite e, per le strade
Che già furono urbane, si desolano;
Ora che prova un popolo
Dopo gli strappi dell’emigrazione,
La stolta iniquità
Delle deportazioni;
Ora che nelle fosse
Con fantasia ritorta
E mani spudorate
Dalle fattezze umane l’uomo lacera
L’immagine divina
E pietà in grido si contrae di pietra;
Ora che l’innocenza
Reclama almeno un eco,
E geme anche nel cuore più indurito;
Ora che sono vani gli altri gridi;
Vedo ora chiaro nella notte triste.

Vedo ora nella notte triste, imparo,
So che l’inferno s’apre sulla terra
Su misura di quanto
L’uomo si sottrae, folle,
Alla purezza della Tua passione.

Fa piaga nel Tuo cuore
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l’uomo;
Il Tuo cuore è la sede appassionata
Dell’amore non vano.

Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell’umane tenebre,
Fratello che t’immoli
Perennemente per riedificare
Uamnamente l’uomo,
Santo, Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi,
D’un pianto solo mio non piango più,
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri.

Giuseppe Ungaretti

NON GRIDATE PIÙ

Cessate d’uccidere i morti,
non gridate più, non gridate,
se li volete ancora udire,
se sperate di non perire.

Hanno l’impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell’erba,
lieta dove non passa l’uomo.

I fiumi

Cotici il 16 agosto 1916

Mi tengo a quest’albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna

Stamani mi sono disteso
in un’urna d’acqua
e come una reliquia
ho riposato

L’Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso

Ho tirato su
le mie quattr’ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull’acqua

Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere
il sole

Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo

Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia

Ma quelle occulte
mani
che m’intridono
mi regalano
la rara
felicità

Ho ripassato
le epoche
della mia vita

Questi sono
i miei fiumi

Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre

Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d’inconsapevolezza
nelle estese pianure

Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto

Questi sono i miei fiumi
contati nell’Isonzo

Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch’è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre

Giuseppe Ungaretti da “L’allegria”

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