lo “strano” cinema di BRUNO DUMONT : La Vie de Jésus – L’Humanité – MA LOUTE

IL CINEMA DI BRUNO DUMONT

Scritto da John Brown

A Dumont non piace il cinema: nel cinema c’è qualcosa di morto.

Dumont ammette che un cinema intellettuale o un cinema puramente estetico e illustrativo è noioso, è un cinema vuoto. “Cinema=Tempo. Il tempo è presente nella vita. Il cinema non può essere immaginario.” Non vuole radicarsi su un cinema fedele al realismo ma su un cinema che filma il rappresentabile.

I suoi film sono pieni di immagini mentali, ma esse non sono mai inquadrature surreali, anzi appaiono come semplici campi lunghi che inseriti nel contesto del film lasciano spazio allo spettatore di riflettere sui personaggi. È per questo che in produzione Dumont segue meticolosamente la scelta delle location. I posti scelti si impongono per il loro impatto visivo/emotivo e vengono ripresi così come sono evitando qualsiasi tentazione di manipolazione; persino le luci non vengono aggiunte. Qualsiasi accentuazione o caratterizzazione viene scartata. Le scene vengono adattate ai luoghi scelti, al reale, per mantenere l’autenticità e la verità di uno spazio di vita. Anche i suoi dettagli sono inquadrature che rappresentano un’interiorità irrappresentabile se non con un’immagine ravvicinata.

Le sue storie vengono rappresentate con situazioni di quotidianità e Dumont punta a renderle così reali non escludendo la noia, il silenzio e gli sguardi fissi al cielo o al mare. Tutto questo perchè a Dumont interessa filmare la vita, che è segmentata dal tempo e molti di questi segmenti che spesso vengono sottovalutati dal resto del cinema sono invece utili per evitare che lo spettatore non subisca un film senza parteciparvi con la sua analisi.

Nel suo cinema c’è un esercizio di trasgressione e deformazione. Dumont altera i canoni filmici procedendo per sottrazione. Sin da L’età inquieta la narrazione è alterata ma è L’humanitè l’esempio più emblematico: qui Dumont elimina tutti i codici legati al poliziesco. Pharaon, il protagonista, appare come un detective incompetente ed è su questa infrazione di norma che il regista si/ci sta interrogando. Nei detective-film occidentali, l’archetipo dell’eroe è stoico, logico e determinato, un personaggio con il quale è facile identificarsi. Il catatonico Pharaon, invece, è un uomo che, forse per la prima volta nella sua vita, è travolto da una empatia per gli altri, desidera disperatamente essere in contatto con l’umanità, di sentire e toccare l’odore e il sapore degli altri, fino a baciare l’assassino che stava cercando.

Per il regista un film è un’esperienza di stupore e il suo soggetto non è l’oggetto del film, ma lo sguardo su questo oggetto: creando un distacco dal tema fornisce allo spettatore lo spazio necessario a riflettere, partecipando a ciò che succede, al di là della prevaricazione di un genere.

Lo stupore dato dall’alterazione dei canoni istituzionali destabilizza l’immaginario dello spettatore non provocando più l’immersione ma lasciandogli spazio alla meditazione, alla riflessione.

Twentynine Palms è il caso più estremo. Nell’intervista riportata nel press-book di presentazione del film dichiara: “Avevo notato da parecchio tempo, soprattutto in fase di montaggio, che anche senza niente si fa sempre qualcosa, che le inquadrature non hanno necessariamente bisogno di sostenere un racconto. Neutralizzare il racconto e’ diventato quindi un principio, a tutti i livelli del film. Non volevo appoggiarmi sul suono o la fotografia perchè, per me, l’essenziale nel cinema, e’ la sintesi, il film stesso”.

Questo lungometraggio è la sperimentazione più estrema attuata dal regista francese. Cerca di raccontare l’orrore della coppia, è come se Dumont fosse partito dall’horror svuotandone le caratteristiche per approdare ad una serie di scene che mettono in attesa lo spettatore, che si aspetta prima o poi che succeda qualcosa, ma ciò non avviene. L’attesa lascia spazio al pensare mentre la coppia consuma un gelato, guida in auto ascoltando sempre lo stesso brano musicale e fa sesso. Quando l’attesa nello spettatore si placa, alla fine del film, succede l’imprevisto che provoca il vero e proprio finale horror oramai inaspettato.

L’effetto cumulativo di queste immagini per lo spettatore è a volte snervante. I film di Dumont erodono lentamente il distacco ironico e il cinismo che abbiamo costruito come difesa. Allo stesso tempo il mondo è rappresentato senza nessun grado di giudizio ma con un distacco che lo rende fin troppo simile a quello che ci circonda. Questa assenza di giudizio ci porta a riflettere sul rappresentato, quindi a riflettere sull’umanità, sull’amore e sulla guerra.

Il cinema non è tecnica, l’ho imparato camminando per strada, incontrando gente comune. Il cinema è la pazienza, l’umiltà, uno sguardo agli altri. Il cinema di oggi è sopraffatto dai codici, dai luoghi comuni, dai riferimenti ad altri film.”

Il cinema di Bruno Dumont è fresco, privo di nozioni accademiche/aristocratiche.

In fondo Dumont è un Prosumer, prima di diventare un autore è stato un insegnante di filosofia e un regista autodidatta di film industriali. Dumont ricordando il passato ha dichiarato che tutto quello che stava filmando, seppur noioso, è diventato interessante: “ho imparato come rendere interessante cose che apparentemente non lo sono. Il mio modo di lavorare oggi è completamente legato a quei dieci anni di filmare il nulla”. È approdato al cinema per il bisogno di ristabilire un contatto con la gente, ciò che, a suo parere, gran parte dei registi contemporanei non fanno, ubriachi da un modello di costruzione filmica istituzionalizzato o spinti dal desiderio di un cinema estetico/formale che, seppur con qualche contenuto, non lascia spazio allo spettatore

http://www.prosumerfilm.com/index.php?option=com_content&view=article&id=46:il-cinema-di-bruno-dumont&catid=34:monografici&Itemid=55

La Vie de Jésus (1997)

Making use of locals instead of professional actors lends authenticity to this impressive look at a group of otherwise innocuous teenage lads in a boring northern French town (Bailleul in Flanders), driven to violence by a mixture of boredom, jealousy, macho pride and ingrained racism. Essentially it’s a work of low key ‘realism’ in the Bressonian tradition (albeit less obviously ‘spiritual’), though it includes odd touches, such as the local marching band’s unexpectedly dissonant music, and a couple of brief sequences (involving body doubles) so sexually frank they look like out-takes from Ai No Corrida. Perhaps strangest of all is that the protagonist’s girlfriend seems for most of the film to be the only young female in town, but that’s a very minor criticism when compared to writer/director Dumont’s tough, confident handling of mood, milieu, pace, performance and theme.

By: GA

http://www.timeout.com/london/film/la-vie-de-jesus

L’UMANITA’

(L’Humanité )

di Bruno Dumont

Produzione: Francia

1999

Genere: Drammatico

durata: 148′

Interpreti: Emmanuel Schotté, Severine Caneele, Philippe Tullier, Ghislain Guesquiere, Ginette Allegre, Daniel Leroux

Sceneggiatura: Bruno Dumont

Fotografia: Yves Capes

Montaggio: Guy Lecorne

Scenografia: Marc-Philippe Guerig

Costumi: Nathalie Raoul

Colonna Sonora: Richard Cuvillier, Pancrace Royer

TRAMA

Il corpo esanime di una bambina violentata viene ritrovato nelle campagne limitrofe a una cittadina del nord est francese. Pharaon e’ il poliziotto incaricato delle indagini.

RECENSIONI

Pharaon sommerso dai pensieri. Musica: spinetta impazzita. Un cammino affannoso che diventa corsa; l’uomo casca, quasi morde la terra. Un sesso di bambina: oscenamente spalancato, ignobilmente violato. E poi mani, colli sudati, corpi veri, facce segnate, una vecchina che dorme, il bambino con l’aranciata al bar. Lo sguardo si perde tra i movimenti, i gesti ordinari, in un quotidiano dolore. Solitudine silenziosa di un universo sbarrato. L’uomo si muove quasi in catalessi, l’inerzia della sofferenza, una ferita dentro che spurga e ottunde le facoltà, rigetta la reazione. Nessuna concessione: la vita è una merda, non ci si muove che tra le cose di tutti i giorni, nella mediocrità di un’esistenza che attende solo di finire. Il sesso a tratti: selvaggio, animalesco. Basta con l’ipocrisia del “fare l’amore”: l’uomo penetra furiosamente la donna, semplicemente si scopa, in una stanza anonima, sul letto, su un divano, per terra. Ed è sesso ansimante, crudo, rabbioso, senza carezze, senza parole, senza occhi negli occhi. L’amore non esiste e quel “Ti amo” al tavolino del bar suona vuoto, seguito com’è da un intrecciarsi di dita senza tenerezza, mani che dicono ancora corpo, ancora sesso, ancora scopare. E poi improvvisa, speculare alla prima, un’altra vagina aperta: adulta stavolta, viva stavolta e il fil rouge tremendo tra i due sessi, quello adolescente e violentato, quello adulto e offerto, appare improvviso, chiaro ma egualmente indifferente. Perché siamo in un noir senza storia, con un ispettore senza pistola, alle prese con un’indagine senza punti cruciali. Perché tutto è visione, tutto è afferrabile, niente passa sotto traccia. Niente da capire, solo ossessivo guardare, fissare figure che si muovono in una realtà antipoetica, antiestetizzante, antihollywoodiana. Tutto e’ concreto, quasi palpabile, urla la sua essenza, non si nasconde, non si edulcora. Retorica zero, nessuna atmosfera effettata, nessun idealismo. Ancora (dopo La vie de Jesus) una figura cristologica, un uomo che ama e quasi combatte contro questo suo istinto, tocca, bacia il suo simile, vuole consolare e essere consolato, vuole riscattare quell’umanità sperduta, anche quando spaccia, anche quando stupra. E l’altare della chiesa, d’un tratto, di sfuggita, mentre Domino cammina, è un monito? Un miraggio? La suprema illusione? Neanche l’abbraccio finale è consolatorio, seguito da un’ ultima immagine di vuota solitudine, di tormento inesauribile.
L’Umanità e’ un groppo in gola di due ore e mezza. Un film che rompe qualcosa dentro. Come Pharaon vorremmo urlare davanti al fracasso coprente di un treno in corsa. Forse è giusto continuare a illudersi con le bellezze finte e i sorrisi a tutta dentiera che la macchina dei sogni ci propina senza pause. Forse hanno ragione loro: L’Umanità di Dumont e’ cinema insopportabile, sarebbe bene evitarlo.

Luca Pacilio

http://www.spietati.it/z_scheda_dett_film.asp?idFilm=1700


MA LOUTE (Bruno Dumont)

Il film è ambientato nel 1910, sulla Côte d’Opale, e vede un ispettore di polizia e il suo assistente indagare su alcune misteriose sparizioni, mentre i rampolli di due famiglie, Ma Loute Bréfort e la giovane e spregiudicata Billie Van Peteghem, intrecciano una storia d’amore che sconvolgerà sia i Bréfort (traghettatori) che i Van Peteghem (ricchi borghesi degenerati).

http://www.comingsoon.it/film/ma-loute/53213/scheda/

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