Guerre di religione in Europa + ASCESA DI FRANCIA, OLANDA E INGHILTERRA , NASCITA EUROPA MODERNA

Guerre di religione in Europa

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« Dicono che la terribile guerra è finita. Ma qui non ci sono segni di pace: c’è solo odio e violenza. Questo abbiamo imparato dalla guerra … Viviamo come animali, strappando l’erba coi denti … Molti dicono che qui non c’è Dio.[1] »

Le guerre di religione sono state una serie di guerre combattute in Europa dalla fine del conflitto tra Francia e Spagna conclusosi con la Pace di Cateau-Cambrésis nel 1559 fino alla conclusione della Guerra dei trent’anni (16181648) [2][3]

Gli scontri militari, politici, civili che si susseguirono dopo la spaccatura confessionale avvenuta a seguito della Riforma protestante (15171555) e dello Scisma anglicano (1534), avevano come causa scatenante il fattore religioso divenuto diffusa ideologia estremizzante e motivo di accesa intolleranza anche negli strati più bassi della popolazione europea.

Le istituzioni politiche temporali ed ecclesiastiche si schierarono nei campi contrapposti del protestantesimo e del cattolicesimo non solo per convinzioni religiose ma anche, più frequentemente, per consolidare il loro potere secondo i loro progetti politici.

Tra le conseguenze delle guerre di religione va annoverata una nuova forma di organizzazione del potere: «Il conflitto religioso trovò alla fine…la sua soluzione non nel trionfo di una fede sull’altra, ma proprio nel superamento di ogni pretesa di fondazione del potere su una fede purchessia…» Al di là dei tentativi di conservare un potere signorile basato su ormai estinte libertà feudali e di affermare un potere monocratico del sovrano fondato su basi divine e personali nasceva una «nuova forma di organizzazione del potere» rappresentata dal principe come «ordine esterno necessario a garantire la sicurezza e la tranquillità dei sudditi…» [4]

Aetas ferrea (Il “secolo di ferro” delle guerre di religione)

Così il calvinismo in Fiandra rinsaldò la volontà di indipendenza dal predominio cattolico spagnolo (1568-1648) e ispirò gli ugonotti francesi e i puritani inglesi che fecero dei valori calvinisti la bandiera di una nobiltà e di una borghesia che aspirava ad abbattere l’assolutismo monarchico. L’editto di Nantes (1598) e il Parlamento inglese (16421649) avviarono la costituzione di uno Stato laico e tollerante e il ridimensionamento del potere temporale del papato.[5]

Nel fronte cattolico la Controriforma rappresentò la definitiva sistemazione dogmatica disciplinare della fede cattolica con il concilio tridentino e il controllo delle coscienze con le istituzioni dell’Indice e della nuova Inquisizione, segnò la rivincita confessionale con l’avanzata della evangelizzazione ad opera dei nuovi ordini missionari in Asia e in America e la riconquista cattolica sostenuta dalle armi imperiali della Boemia e della Germania orientale. Dal fallito tentativo asburgico di creare un impero universale cattolico in Europa cominciarono ad emergere le nuove realtà nazionali.[2]

Note

  1. ^ Annotazione del capofamiglia in una Bibbia contadina (17 gennaio 1647)
  2. ^ a b Dizionario di Storia (2011) in Enciclopedia Treccani alla voce Guerre di Religione
  3. ^ Raffaello Morghen, Profilo storico della civiltà europea, Palumbo, 1955 p.696
  4. ^ Pierangelo Schiera, Verso lo stato post-moderno in AA.VV., Crisi dello Stato e storiografia contemporanea, a cura di R. Ruffilli, Il Mulino, Bologna, 1979
  5. ^ Sapere.it alla voce “Guerre di religione”

Voci correlate

https://it.wikipedia.org/wiki/Guerre_di_religione_in_Europa

IL CROLLO DELLA SPAGNA DI FILIPPO II
E L’ASCESA DI FRANCIA, OLANDA E INGHILTERRA

FILIPPO II di SPAGNA

  1. Filippo II (1556-98) eredita dal padre Carlo V d’Asburgo la Spagna, i Paesi Bassi, il Mezzogiorno, le colonie americane, e nel 1580, come parente più prossimo del re del Portogallo, si annette anche questo Stato e tutte le sue colonie (che resteranno alla Spagna sino al 1640), creando un impero ancora più vasto di quello del padre (benché non avesse avuto la corona imperiale degli Asburgo e i possedimenti annessi).
  2. Tutte le risorse dell’impero sono destinate a proteggere l’aristocrazia laica ed ecclesiastica, a eliminare o subordinare la borghesia presente nell’impero e qualunque forma di dissenso anti-cattolico (ivi inclusi gli ebrei e i mori, anche se già convertiti alla fede cristiana), in netta controtendenza rispetto alle altre nazioni europee. L’unica cosa somigliante è il potenziamento della burocrazia (che però nel suo impero è abnorme) e delle forze militari e navali. Filippo II accentua l’assolutismo monarchico e burocratico, circoscrivendo le pretese politiche della grande nobiltà, a cui contrappone quella piccola, che, per averla fedele, la fa accedere ai ranghi di funzionari di stato. Tra i ceti urbani preferisce i laureati in diritto, da impiegare per gli interessi dello Stato.
  3. La Controriforma, nata col Concilio di Trento, trova in lui il più acceso sostenitore. Filippo II usa la religione come strumento di potere, riducendo al massimo anche le ingerenze della curia romana, persino nella scelta dei vescovi. Col pretesto della Controriforma elimina i conversos (cioè gli ebrei della cui forzata conversione al cristianesimo, avvenuta durante l’unificazione nazionale, diceva di non fidarsi) e i moriscos (cioè i musulmani, non solo per lo stesso motivo, ma anche perché li sospettava d’essere collusi coi turchi, che la Spagna stava combattendo nel Mediterraneo). Queste persecuzioni serviranno a ridurre il peso dei ceti artigiani e mercantili, espropriandoli delle loro risorse.
  4. La sua vittoria più grande la ottiene, con l’aiuto di Venezia, nella battaglia di Lepanto (1571) contro i turchi. Tuttavia siccome gli interessi della Spagna e di Venezia erano coincidenti per quanto riguardava il Mediterraneo, la rivalità commerciale impedisce loro di approfittare della vittoria, tant’è che due anni dopo quella famosa battaglia navale, Venezia farà una pace separata coi turchi, cedendo loro definitivamente l’isola di Cipro, già occupata due anni prima, pur di salvaguardare le agevolazioni commerciali di cui godeva in Medioriente. Quanto ai turchi, essi, dopo aver conquistato la Tunisia, riusciranno ad avvalersi per molto tempo dei pirati barbareschi (di Tunisia, Libia, Algeria e Marocco) per assalire tutte le navi cristiane del Mediterraneo.
  5. Le tre più grandi sconfitte di Filippo II sono state contro le Fiandre, l’Inghilterra e la Francia.
  6. La politica economica del suo governo è del tutto fallimentare:
  • esosa fiscalmente, per mantenere un imponente apparato burocratico, il lusso della corte e le continue guerre;
  • favorevole ai grandi latifondi, usati prevalentemente come pascoli per gli ovini, e nettamente sfavorevole ai ceti produttivi, eliminati anche in seguito a persecuzioni di tipo ideologico;
  • utilizza i metalli pregiati provenienti dall’America soltanto per pagare i debiti esteri e il proprio esercito, per acquistare grano e prodotti di lusso all’estero, per ottenere interessi finanziari dai depositi presso le banche straniere;
  • non può impedire le frequenti bancarotte dello Stato, che utilizzava anche per non restituire i crediti ricevuti dalle banche straniere (soprattutto genovesi). Durante tutto il periodo di Filippo II il debito statale quadruplica e il costo degli interessi sui prestiti ottenuti decurtava della metà le entrate.

A) Fiandre

Filippo II vuol fare delle Fiandre, ottenuti in eredità da Carlo V, una semplice provincia della Spagna, togliendo loro quelle autonomie giuridiche e commerciali riconosciute già da Carlo V. Le Fiandre erano divise in 17 province: quelle del Sud corrispondevano, all’incirca, al Belgio attuale; quelle del Nord all’Olanda attuale. Le prime erano di origine francese e di religione cattolica; le seconde di origine germanica e di religione protestante.

Filippo II:

  • mette tasse esorbitanti ai ceti borghesi,
  • revoca ogni privilegio o immunità commerciale,
  • istituisce il tribunale dell’inquisizione contro i protestanti,
  • riempie quei territori di militari spagnoli.

Le prime province a ribellarsi sono quelle del Nord (1567) e la lotta va avanti fino al 1609, quando sette province assumono il titolo di Paesi Bassi (poi Olanda, la provincia più importante). Erano state aiutate da Inghilterra (che voleva entrare nel Mare del Nord per commerciare liberamente) e Francia (il cui re, Enrico di Borbone, era capo del partito ugonotto-calvinista francese).

Siccome Filippo II, per ritorsione, impedisce all’Olanda di commerciare col porto di Lisbona, gli olandesi allestiscono una potente flotta navale con cui iniziano il loro colonialismo oltreoceano, togliendo a spagnoli e portoghesi alcune delle loro colonie (Malesia, Capo di Buona Speranza ecc.). In poco tempo fanno diventare Amsterdam il più grande porto commerciale di spezie al mondo.

Il Belgio invece rimarrà cattolico.

B) Inghilterra

Filippo II voleva unire la corona di Spagna a quella inglese, sposando Maria la cattolica (1553-58), figlia di Enrico VIII e Caterina d’Aragona. Maria, detta anche “la sanguinaria”, voleva a tutti i costi far tornare l’Inghilterra al cattolicesimo. La sua breve guerra fatta contro la Francia le fa perdere l’ultimo avamposto inglese nella Francia: il porto di Calais.

Quando Maria muore, senza aver avuto figli da Filippo, gli inglesi la sostituiscono con Elisabetta (1558-1603), una figlia che Enrico VIII aveva avuto da Anna Bolena. Quando Elisabetta non solo rifiuta di sposare Filippo II, ma ripristina anche l’anglicanesimo, perseguitando i cattolici, Filippo II favorisce il diritto alla successione al trono inglese da parte della cattolica Maria Stuart o Stuarda (1542-87), già regina di Scozia, ma cacciata dai calvinisti. Non riuscendovi, perché quest’ultima viene prima imprigionata, poi giustiziata da Elisabetta, decide di dichiarare guerra agli inglesi, sulla base di tre motivazioni:

  • Elisabetta era stata scomunicata dal papa, il quale chiedeva di compiere una crociata contro di lei;
  • i pirati inglesi, autorizzati dalla corona, attaccavano le navi spagnole provenienti dall’America, sequestrando il loro carico di metalli pregiati;
  • l’Inghilterra aiutava i ribelli dei Paesi Bassi a separarsi dalla Spagna.

Elisabetta allestisce una potente flotta con cui sconfigge la cosiddetta “Invincibile Armada” di Filippo (1588), segnando così la fine della potenza navale spagnola e l’inizio di quella inglese, che sino alla II guerra mondiale resterà la più potente flotta del mondo. E’ appunto con questa flotta che Elisabetta fa nascere il colonialismo inglese, che vede impegnata non solo la borghesia ma anche buona parte dell’aristocrazia. In politica interna la regina favorisce da un lato la trasformazione dei “campi aperti” (gestiti dai villaggi) in “campi chiusi” (gestiti da privati), e, dall’altro, l’allevamento degli ovini e la produzione tessile, al fine di rendere il paese del tutto indipendente dall’Olanda e anzi esportatore di prodotti finiti e non più solo di lana grezza.

C) Francia

Filippo II decide d’intervenire in Francia quando si apre il problema della successione al trono, proponendo sua figlia. Infatti Enrico II di Valois (figlio di Francesco I) era morto improvvisamente nel 1559, lasciando dei figli minorenni e la moglie Caterina dei Medici, che i francesi odiavano perché straniera.

Si formano quindi due partiti pretendenti al trono, intenzionati a scalzare i Valois: i Borbone (protestanti), appoggiati dagli inglesi, e i Guisa (cattolici), appoggiati dalla Spagna. Dopo 40 anni di guerra civile si giunge all’Editto di Nantes (1598), che riconosce ai protestanti piena libertà religiosa e pari diritti politici e civili. Sul trono sale Enrico IV di Borbone, che però, per pacificare gli animi, accetta di farsi cattolico. La dinastia dei Valois viene definitivamente sostituita da quella dei Borbone.

Enrico IV di Borbone caccia gli spagnoli dalla Francia e, dopo essersi alleato con tutte le potenze protestanti europee, pensa di fare della Francia il baluardo più importante contro gli Asburgo d’Austria e di Spagna, ma nel 1610 viene assassinato da un monaco cattolico.

Nonostante questo la Francia di Richelieu e di Mazzarino (entrambi cardinali cattolici saliti al potere), costringerà sia gli Asburgo d’Austria alla pace di Westfalia (1648), con cui la Francia può annettersi l’Alsazia, sia gli Asburgo di Spagna alla pace dei Pirenei (1659), con cui può annettersi l’Artois e il Rossiglione, e, attraverso la politica matrimoniale, mettere sul trono di Spagna un ramo Angiò dei Borbone (Trattato di Utrecht del 1713), che, a parte la parentesi repubblicana e franchista del XX secolo, continuerà a regnare in Spagna (attualmente con il re Juan Carlos).

Invece la dinastia degli Asburgo d’Austria si ridurrà al pur vasto e potente Impero austro-ungarico e cesserà di regnare alla fine della I Guerra mondiale (1918).

In sintesi

La Spagna di Filippo II fu l’esempio più lampante non solo dell’inutilità della Controriforma in un contesto europeo intenzionato a sviluppare il capitalismo, ma anche dell’illusione di poter essere una grande potenza semplicemente basandosi sul fiscalismo interno e sul saccheggio delle risorse provenienti dalle colonie, senza preoccuparsi di reinvestirle in attività produttive.

Filippo II non si rese assolutamente conto che per mantenere uno Stato centralistico, burocratico e militarizzato era necessario sviluppare al massimo le proprie forze borghesi, rinunciando altresì alla coercizione ideologica.

L’impero di Federico II fu una riedizione del vecchio feudalesimo medievale, con la differenza che, avendo a che fare con nazioni concorrenti di tipo capitalistico, fu costretto a creare delle parvenze di ricchezza ostentata per dimostrare ch’era possibile vivere nel benessere anche senza essere borghesi e protestanti.

Queste parvenze illusorie (che si espressero, p. es., nel lusso della corte, nell’esibizione di titoli nobiliari, nella spavalderia militare, nello sfoggio dell’arte barocca ecc., messe bene in evidenza da quel capolavoro letterario che fu il Don Chisciotte) furono pagate con la grandissima miseria delle popolazioni contadine, sottomesse ai latifondisti spagnoli, sempre difesi da militari senza scrupoli e da avvocati compiacenti, e con il durissimo sfruttamento delle popolazioni coloniali e delle loro risorse naturali.

La Spagna e lo Stato della chiesa furono gli elementi principali che, insieme agli junkers tedeschi, impedirono a buona parte dell’Europa di avviarsi con decisione verso lo sviluppo capitalistico, ostacolando altresì, in tutti i modi, che, in alternativa a tale sviluppo, si formasse una gestione democratica ed egualitaria dell’attività agricola.

http://www.homolaicus.com/storia/moderna/monarchie_nazionali/formazione_monarchie2.htm

NASCITA DELL’EUROPA MODERNA

Un banchiere tedesco in un dipinto del fiammingo Mabuse

Una questione che gli storici devono esaminare più approfonditamente è quella di sapere se l’impero bizantino avrebbe potuto affrontare meglio l’espansione islamica se non avesse dovuto subire l’invasione latina delle crociate; oppure se Costantinopoli sarebbe ugualmente caduta in mano turca, in quanto aveva insanabili contraddizioni interne.

Ciò che infatti più stupisce dell’impero bizantino è che di esso non è rimasto niente proprio nel territorio geografico in cui è stato più presente: la Turchia (senza considerare i Paesi arabi limitrofi).

L’ideologia ortodossa dell’impero bizantino (la cosiddetta “teologia apofatica”), che era allora tra le più sofisticate del mondo, venne ereditata da un Paese, la Russia, che a quel tempo era tra i più arretrati. E venne ereditata accentuando gli elementi soggettivi della fede (misticismo, ascetismo, sacrificio di sé sino al martirio) oppure gli elementi iconografici (vedi Rublev), perdendo di vista la sobria oggettività della tradizione greca. L’eccessivo soggettivismo e fatalismo russo porterà poi, di riflesso (o per reazione), a un’ipertrofia dell’apparato statale e burocratico, ovvero al dogmatismo ideologico delle classi dirigenti e alle continue eresie delle classi senza potere.

Anche nell’Europa occidentale (soprattutto in Italia) si ereditò qualcosa della cultura bizantina: il rapporto col platonismo. Incapace di confrontarsi con l’alta idealità dell’ortodossia (del grande Palamas in occidente non rifluì praticamente nulla), il cattolicesimo latino, già ampiamente laicizzato dopo la riscoperta dell’aristotelismo, preferì sviluppare il lato intellettualistico della confessione bizantina, cioè i nessi tra teologia e filosofia.

Durante l’Umanesimo l’occidente europeo stava vivendo una forte laicizzazione della fede (soprattutto in Italia): ciò non poteva comportare -come nella Russia di quel periodo- un maggiore approfondimento esistenziale della religione. Il soggettivismo religioso occidentale s’identificò immediatamente con la riscoperta filosofica del platonismo, ovvero con la rinascita del neoplatonismo (un’esperienza che sembrava essersi esaurita con Plotino e che la riscoperta accademica di Aristotele sembrava aver concluso per sempre). Invece il neoplatonismo venne cristianizzato con l’ideologia ortodossa e usato in funzione anti-aristotelica. In Russia non si sviluppò una teologia veramente originale, ma solo un’originale esperienza della fede (e dell’arte religiosa); in Italia si sviluppò una sorta di filosofia religiosa che non aveva né il rigore della classica teologia bizantina né la laicità del pensiero umanistico.

D’altra parte la religione in Italia veniva conservata per motivi esclusivamente politici (almeno da parte delle autorità), in quanto il papato era una forza politico-militare: tra gli intellettuali esso non suscitava più un vero interesse, né culturale né esperienziale.

Tuttavia, la riscoperta del platonismo non ha aiutato l’occidente a superare il limite politico e ideologico del cattolicesimo latino, e per una semplice ragione: l’umanista era un individualista che si teneva lontano dalle istanze delle masse popolari (quelle contadine soprattutto). Il neoplatonismo cristiano fu un’esperienza di pochi intellettuali, e non ebbe mai una caratteristica sovversiva. Mentre in Russia l’acquisizione soggettiva della fede era diventata un fenomeno popolare, in Italia l’acquisizione del platonismo restò sempre un fenomeno d’élite e, tutto sommato, regressivo, almeno rispetto all’approfondimento scientifico dell’aristotelismo (che avvenne anzitutto ad opera di R. Bacone). In Europa occidentale l’esperienza religiosa più significativa fu quella della Riforma, che fu in realtà un processo di emancipazione dalla religione tradizionale, e quindi un’altra forma di laicizzazione della fede.

La chiesa cattolica, infatti, dopo un primo momento favorevole alle tesi conciliariste e federative (espresse nel Concilio di Costanza del 1419), seppe riporre il proprio potere su basi monarchiche e assolutistiche (Concilio di Basilea del 1431-49). La chiesa pagò questo rigido conservatorismo, questa anacronistica centralizzazione clericale perdendo mezza Europa, e senza riuscire ad avere una forte influenza né in Francia (a causa del gallicanesimo) né successivamente in Austria (a causa del giuseppinismo). L’impero di Carlo V fu senz’altro cattolico-conservatore, ma, a parte il fatto ch’esso s’infranse subito contro il muro protestante, la chiesa cattolica non riuscì mai a servirsene come nei secoli medievali fece coi Franchi. Dopo Bonifacio VIII, la religione cattolica sarà sempre più uno strumento ideologico nelle mani delle monarchie nazionali.

La chiesa romana però riuscì ad impedire che nell’area del cattolicesimo latino si formasse un movimento di massa che s’ispirasse alle idee laiche dell’Umanesimo. Occorrerà attendere la Rivoluzione francese prima che in Europa si possa riproporre l’idea di un’alternativa laica all’ideologia e alla prassi clericale del cattolicesimo feudale (che tale si riconfermò nel Concilio di Trento).

L’Italia, che aveva promosso per prima un notevole processo di laicizzazione, si troverà, da un lato, a non poterlo proseguire per le divisioni interne (tipicamente borghesi) fra Signorie e Stati, mentre, dall’altro, si troverà a non saper neppure “riformare” la religione, come stava accadendo in molta parte d’Europa. La borghesia italiana, che già si sentiva superiore a qualunque forma di religione, sarà poi costretta a convivere -a causa della propria incapacità a realizzare la democrazia- con la confessione più arretrata d’occidente.

Qui però bisogna fare una precisazione. L’esigenza di realizzare la democrazia non deve essere vista come strettamente subordinata all’esigenza di realizzare l’unificazione nazionale. Effettivamente nel resto d’Europa le varie monarchie, con l’aiuto della borghesia, erano riuscite a ridimensionare di molto l’autonomia della privilegiata classe feudale, che ostacolava ogni centralizzazione politica e ogni unificazione nazionale per poter continuare a garantirsi i grandi privilegi del passato.

Ecco, nei confronti di tale atteggiamento feudale, l’operato delle monarchie e delle borghesie fu senz’altro progressista per le sorti dei vari Paesi. Tuttavia, la centralizzazione monarchica e la stessa unificazione nazionale avvennero non con l’aiuto delle classi più povere (contadini soprattutto) ma, anzi, contro i loro stessi interessi, poiché a partire da questo momento i contadini avranno a che fare con due oppressori: il signore locale (sempre sufficientemente potente per continuare ad opprimere) e la monarchia centralizzata (bisognosa di tasse, di eserciti, di burocrazia ecc.).

Ciò sta a significare che se la borghesia avesse cercato l’appoggio delle masse contadine contro la feudalità, l’unificazione nazionale sarebbe potuto avvenire senza centralizzazione, ma in modo da rispettare l’autonomia locale, nella quale il potere del feudatario sarebbe stato notevolmente ridimensionato dall’esproprio delle terre. Il fatto che l’unificazione nazionale sia avvenuta in ogni parte d’Europa secondo il modello della centralizzazione assolutistica e monarchica non deve farci credere che quella fosse l’unica alternativa possibile: era l’unica alternativa che poteva avere una borghesia lontana dalle esigenze dei contadini.

Davvero il potere della chiesa non avrebbe potuto essere sconfitto senza l’unificazione nazionale centralizzata nella persona del re? Probabilmente il potere della chiesa avrebbe potuto essere sconfitto più lentamente e più in profondità, se solo si fosse lasciato ai contadini dello Stato della chiesa il compito di liberarsi dal giogo clerico-feudale, dopo aver visto esempi analoghi in altri territori.

Le moderne monarchie centralizzate non furono che un tentativo politico d’imporre con la forza alle tradizionali classi feudali (nobili, clero e contadini) non tanto un’ideologia più progressista (ciò avverrà solo con le rivoluzioni borghesi vere e proprie), quanto un’esigenza di rinnovata prassi socioeconomica manifestata da una classe emergente, imprenditoriale, legata non solo ai commerci ma anche alle manifatture. Monarchia e borghesia nel XVI sec. si appoggiarono a vicenda, anche se in ultima istanza sarà la monarchia a giocare, ancora con clero e nobiltà, il ruolo politico prevalente.

La Francia, in questo senso, rappresenta un’anomalia nel contesto europeo di quel tempo. In quanto “nazione cattolica” avrebbe dovuto fare la fine di Spagna e Portogallo, che non riuscirono a imporsi sulle nazioni protestanti. Invece divenne una delle nazioni più forti dell’Europa: per quale ragione? Anzitutto il cattolicesimo francese ha sempre cercato di conservare una propria indipendenza da quello italiano, non è mai stato così fanatico e intollerante come p.es. quello spagnolo, né così arretrato, sul piano culturale, come p.es. quello polacco; in secondo luogo il cattolicesimo in Francia veniva più che altro considerato politicamente, come una religione della nazione e non anzitutto del popolo (la differenza non è formale: si veda, in questo senso, l’esempio di Cartesio, cattolico e scettico allo stesso tempo); in terzo luogo, proprio a motivo dell’approccio politico al fenomeno religioso, in Francia si realizzò il curioso compromesso di cattolicesimo (a livello istituzionale) e di calvinismo (a livello sociale). Nelle colonie la Francia si comportava esattamente come una nazione protestante, legata più ai profitti che all’ideologia.

In fondo se la Francia, in un primo momento, fu superata dalle capacità colonialistiche della Spagna, ciò fu dovuto anche al fatto che la Spagna soffriva di contraddizioni assai maggiori fra necessità di conservare le tradizioni ed esigenza della modernità. La Francia sentiva il bisogno di avere una religione nazionale, ma non il bisogno di crederci. La Spagna invece, pur di dimostrare la propria fede religiosa, in un momento in cui il resto d’Europa aveva tutt’altre preoccupazioni nei confronti del cattolicesimo, si servì anche del colonialismo.

La rivoluzione francese dell’89 sarà violentissima sia perché il colonialismo non era così consistente come quello ispano-portoghese, sia perché la classe borghese aveva continuato a svilupparsi nell’ambito della monarchia assoluta (cosa che in Spagna invece non avverrà), sia perché, infine, si era dovuta soffocare sul nascere la Riforma protestante, ben sapendo che tale Riforma, esistendo già la nazione come fatto politico, non avrebbe avuto molta difficoltà a imporsi e a consolidarsi. La monarchia cattolica cercherà un compromesso politico con il protestantesimo, garantendo a quest’ultimo la libertà del culto, ma permettendo al cattolicesimo di restare la religione istituzionale.

In tal senso, la Rivoluzione francese non sarà che una Riforma protestante senza religione (o con una religione tutta interna ai limiti della ragione). Viceversa la Riforma, per i tedeschi, fu una rivoluzione culturale senza politica e senza vera laicità. La Germania si darà, come “nazione”, un obiettivo politico-laico solo alla fine dell’800, vivendo, in questo senso, un’esperienza analoga a quella italiana.

Non a caso il nazismo e il fascismo emergono quasi contemporaneamente. Essi si assomigliano perché sono il prodotto, in Germania, di una riforma religiosa (quella protestante) avvenuta senza rivoluzione politica; in Italia, di una riforma laica (quella umanistica) avvenuta anch’essa senza rivoluzione politica (quella rivoluzione politica che avrebbe permesso alla borghesia d’imporsi come classe politicamente egemone). Quando la borghesia tedesca e italiana andarono al potere, alla fine dell’800, i ritardi politico-istituzionali accumulati rispetto alle altre borghesie europee non potevano essere colmati che adottando forme estreme di dittatura. Le borghesie degli altri Paesi europei non volevano concorrenti di sorta nella spartizione colonialistica del mondo e neppure ovviamente nella produzione di determinate merci capitalistiche.

Le differenze tra nazismo e fascismo non sono poche. Molte comunque sono riconducibili al fatto che essendo stata la Riforma una fenomeno di massa, e non un fenomeno elitario come l’Umanesimo italiano, il nazismo possedeva una carica ideale superiore a quella del fascismo, il quale però, proprio per questa ragione, appariva meno pericoloso (meno intollerante) sul piano politico e ideologico.

Il caso più interessante comunque resta quello inglese. La corona riuscì a fare una riforma religiosa che accontentasse sia i cattolici che i protestanti, permettendo ad entrambi di avere rilevanza istituzionale. Non solo, ma la borghesia non ha avuto bisogno di ricorrere a una sanguinosa rivoluzione politica per imporsi, in quanto la nobiltà preferì accordarsi, adattandosi con intelligenza alle nuove esigenze del capitalismo.

L’Inghilterra ha avuto la nazione centralizzata quasi subito, la Riforma anglicana al momento giusto e pochissimo spargimento di sangue (la guerra delle Due Rose fu, rispetto ad altre rivoluzioni, un gioco da ragazzi). I veri problemi l’Inghilterra dovrà affrontarli dopo la metà del XVIII sec., quando la rivoluzione industriale creerà il proletariato urbano.

Sfruttando duramente i propri contadini e poi i propri operai (e poi, ancora più duramente, il sottoproletariato coloniale: cosa che permetterà un relativo benessere al proletariato inglese), l’Inghilterra diventò facilmente una potentissima nazione, che tale rimarrà sino alla IIa guerra mondiale. Non è singolare che l’Inghilterra abbia cominciato a servirsi della possibilità di emigrare oltreoceano non tanto per motivi economici (fare fortuna) quanto per motivi politici (estradare i dissidenti)? Il “blocco storico” realizzato tra borghesia, aristocrazia e clero fu così solido che praticamente l’Inghilterra ebbe la possibilità di diventare una grande nazione anche senza l’apporto delle colonie. L’uso delle colonie fu conseguente al fallimento di tale compromesso politico, in quanto le classi marginali risultavano particolarmente oppresse.

DAGLI INIZI DEL TRECENTO ALLA FINE DEL SEICENTO

La crisi del Trecento in Europa è stata un’occasione perduta. L’occasione di poter rinunciare allo sviluppo borghese e di ritornare alla terra, non in maniera feudale ma in maniera libera, cioè eliminando lo sfruttamento delle classi aristocratiche. Non fu abbastanza forte e determinata la guerra civile. E quando si avviò il colonialismo oltreoceano fu letteralmente impossibile pensare di poter tornare indietro. Il 1492 costituì una svolta epocale per la borghesia, e se non ci fosse stata quella scoperta, sicuramente ci sarebbe stata una guerra tra Spagna e Portogallo per egemonizzare l’Africa e gli scambi con l’oriente asiatico circumnavigando quel continente; e sempre per lo stesso motivo ci sarebbero state nuove guerre tra Francia, Inghilterra e Olanda da una parte e Spagna e Portogallo dall’altra. La stessa Italia avrebbe forse accelerato l’unificazione e proceduto alla conquista di territori africani, invece di accontentarsi di svolgere un ruolo finanziario per le monarchie europee, lasciandosi nel contempo occupare dagli spagnoli, nell’illusione che sviluppando al massimo la cultura artistica potesse continuare a svolgere ancora un certo primato in Europa.

Concluso il periodo inglorioso delle crociate mediorientali, con la fine dell’impero latino d’oriente, che non fece altro che arricchire i veneziani e indebolire i bizantini nei confronti degli arabi e soprattutto dei turchi, l’Europa non aveva più modo di “scaricare” all’esterno il peso delle proprie contraddizioni borghesi e si vide costretta a provvedere dall’interno, scatenando una serie infinita di guerre civili per ripensare i criteri di spartizione del potere e portando le persecuzioni religiose a livelli inusitati. Certamente se le crociate baltiche avessero avuto il successo sperato, il colonialismo europeo avrebbe preso la direzione dell’area orientale dell’Europa, rivolgendosi soprattutto verso le terre sconfinate della Russia, ma questa fu un ostacolo insormontabile.

La guerra dei Cent’anni tra Francia e Inghilterra, la riconquista anti-islamica in Spagna e Portogallo, la lotta fratricida tra le Signorie italiane (che troverà una battuta d’arresto solo con la pace di Lodi del 1454, suscitata dal timore che i turchi, dopo Bisanzio, potessero occupare anche l’Italia) si sommeranno alle devastanti pestilenze, a partire dal 1348, che ridurranno la popolazione europea di un terzo, e anche alle farneticanti persecuzioni antisemitiche in tutta Europa. Si doveva per forza trovare un nemico interno, del tutto fittizio, a cui addebitare la causa del malessere sociale ed economico.

Contadini e operai cercarono di difendersi, di approfittare di questa crisi per ottenere maggiore giustizia e libertà, ma non furono capaci di andare sino in fondo, di organizzarsi con le dovute maniere e ne uscirono sconfitti, anche se dalle loro lotte vennero fuori dei rapporti economici meno oppressivi.

Praticamente, a partire dalla colonizzazione portoghese dell’Africa e da quella spagnola dell’America, l’Europa occidentale aveva trovato il modo di continuare sulla strada dello sviluppo borghese, iniziando a sfruttare risorse umane e materiali che non le appartenevano. Le guerre all’interno dell’Europa ora si spiegano per due ragioni.

  1. Le nuove nazioni borghesi vogliono eliminare del tutto il vecchio impero feudale, i cui confini sono concentrati nell’area centrale dell’Europa: Germania, Boemia, Austria, Ungheria, ecc., al fine d’impadronirsi dei suoi territori, e la prima o la più importante nazione a volerlo fare è quella francese, che tenta anche di occupare l’Italia a partire dal 1494, sino al 1559 (pace di Cateau-Cambresis), trovandosi poi sconfitta dalla Spagna che, intanto, con Carlo V, grazie al proprio colonialismo, era diventata un impero. Tale situazione permane fino a quando queste stesse nazioni borghesi non iniziano l’avventura coloniale transoceanica, scontrandosi inevitabilmente con le due nazioni semifeudali che le avevano precedute e che avevano monopolizzato i commerci: Spagna e Portogallo.
  2. La nascita del protestantesimo è un’occasione incredibile per scatenare grandi conflitti per l’egemonia politica in Europa; e qui appare evidente che, senza l’aiuto delle risorse economiche provenienti dall’America, sarebbe stato impossibile per il cattolicesimo contenere l’onda d’urto della riforma protestante, anche perché esso era già stato profondamente scosso dai due gravi scismi avvenuti subito dopo la cattività avignonese (il primo dal 1378 al 1417, il secondo dal 1439 al 1449), nei quali si chiedeva con insistenza che l’istanza conciliare fosse superiore alla monarchia pontificia. Il papato però riuscì ad avere la meglio perché la chiesa ortodossa di Bisanzio, ormai prossima a crollare sotto l’avanzata turca, aveva dichiarato al concilio di Firenze la propria sottomissione.
    Va inoltre detto che le ultime due nazioni che all’interno dell’Europa scateneranno guerre devastanti, e cioè la Germania nazista e protestante e l’Italia fascista e cattolica, saranno anche le ultime due nazioni europee ad accedere alla spartizione coloniale del pianeta: nei confronti di questa esigenza egemonica, essere protestanti o cattolici risultava del tutto indifferente, tant’è che non fu di alcun ostacolo alla realizzazione di alleanze strategiche a scopi militari.

L’ultima cosa va detta sulla guerra dei Trent’anni (1618-48), che fu un’occasione perduta sia per la borghesia tedesca, uscita sconfitta nella battaglia contro l’aristocrazia, che per la classe contadina, uscita sconfitta su tutti i fronti. Quella guerra segnò il declino irreversibile della Germania almeno sino al 1871, anno dell’unificazione sotto la Prussia. Tale declino fu dovuto al fatto che quando si fece la Riforma, Lutero non cercò all’alleanza contadina contro i nobili, ma fece proprio il contrario. Lo sterminio dei contadini in rivolta (guidati da Muntzer) fece perdere alla borghesia un prezioso alleato in funzione anti-nobiliare. Pertanto, il fatto d’essere divenuta protestante non servì minimamente alla Germania per avviare una rivoluzione borghese (se non, come dimostrerà lo sviluppo della filosofia idealistica, sul piano del pensiero). Quella guerra servì soltanto a rafforzare la Francia sul continente (dimostrando così che la sbornia colonialistica aveva già dato alla Spagna il massimo dell’euforia possibile, per cui questa, d’ora in poi, avrebbe dovuto contenere le sue pretese egemoniche) e, nel contempo, ad assicurare all’Olanda la possibilità di diventare una grande potenza coloniale, almeno fino a quando non incontrerà sulla sua strada la rivale Inghilterra, che però dovrà prima fare la rivoluzione del 1688.

http://www.homolaicus.com/storia/moderna/monarchie_nazionali/nascita_europa_moderna.htm

 

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