The Ethics : Spinoza, Benedict de Internet Archive : Librivox , e in italiano

The Ethics

LibriVox recording of The Ethics, by Benedict de Spinoza.The Ethics is a philosophical book written by Baruch Spinoza. It was written in Latin. Although it was published posthumously in 1677, it is his most famous work, and is considered his magnum opus.In The Ethics, Spinoza attempts to demonstrate a “fully cohesive philosophical system that strives to provide a coherent picture of reality and to comprehend the meaning of an ethical life. Following a logical step-by-step format, it defines in turn the nature of God, the mind, human bondage to the emotions, and the power of understanding — moving from a consideration of the eternal, to speculate upon humanity’s place in the natural order, freedom, and the path to attainable happiness.”(Wikipedia)For further information, including links to online text, reader information, RSS feeds, CD cover or other formats (if available), please go to the LibriVox catalog page for this recording.

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The Ethics : Spinoza, Benedict de – Internet Archive

Prop. 50.

Una cosa qualsiasi può essere per accidens, cioè indirettamente e casualmente, cagione di Speranza o di Timore.

Dimostrazione: Questa Proposizione si dimostra col medesimo procedimento seguìto per la Prop. 15 di questa Parte. Si veda anche il Chiarim. 2° della Prop. 18 di questa stessa Parte.

Chiarimento: Le cose che sono indirettamente e casualmente cagione di Speranza o di Timore sono dette buoni o cattivi presagi. In quanto questi presagi sono causa di Speranza o di Timore, in tanto (vedi le Definizioni di Speranza e di Timore, che abbiamo dato qui sopra) ci sono causa di Letizia o di Tristezza; e in tanto ancora, di conseguenza, noi li vediamo verificarsi volentieri o con avversione, e ci sforziamo di conservarli in essere come mezzi per ottenere ciò che speriamo o di eliminarli come ostacoli o come cause di Timore. Noi siamo poi per natura costruiti in modo tale (come risulta dalla Prop. 25 di questa Parte) da credere facilmente che possa accadere ciò che speriamo e difficilmente che possa accadere ciò che temiamo, e da stimare queste cose più o meno del giusto: e di qui sono nate le Superstizioni, dalle quali dappertutto gli umani sono vessati. Direi che ora non valga la pena di specificare le fluttuazioni d’animo che nascono dalla Speranza e dal Timore: dato che dalla stessa definizione di questi sentimenti risulta che non c’è Speranza senza Timore, né Timore senza Speranza, come spiegheremo più diffusamente a suo luogo; e dato inoltre che in quanto speriamo o temiamo alcunché, in tanto l’amiamo o l’odiamo; e quindi ognuno potrà applicare alla Speranza e al Timore tutto quello che abbiamo detto dell’Amore e dell’Odio. (P. III, Prop. 15; Chiarim. 2° d. Prop. 18; Prop. 28).

Prop. 51.

Più umani, differenti l’un dall’altro, possono essere interessati in maniere differenti dallo stesso unico oggetto; e uno stesso unico umano può in tempi diversi essere interessato dallo stesso unico oggetto in differenti maniere.

Dimostrazione: Il Corpo umano, come risulta dalla Convenzione 3 della Parte II, è interessato in moltissime maniere dai corpi esterni. E’ dunque possibile che due umani siano interessati, nello stesso tempo, in maniere diverse: e perciò essi possono essere interessati dallo stesso oggetto in maniere differenti. Inoltre (v. ancora la Convenz. citata) il Corpo umano può essere interessato ora in un modo, ora in un altro; e, di conseguenza, in tempi diversi esso può essere interessato dallo stesso unico oggetto in maniere diverse. (P. II, II, Ass. B1).

Chiarimento: Vediamo pertanto che può accadere che uno ami una cosa che un altro odia, e che uno tema ciò che un altro non teme; e che lo stesso umano ami ora quel che prima odiava, e osi ora quel che prima non s’azzardava a fare: e così via. E poiché ciascuno giudica secondo il suo sentimento che cosa sia bene o male o meglio o peggio, avviene che gli umani siano diversi tanto nel giudicare, quanto nel sentire (abbiamo mostrato – nel Chiarim. d. Prop. 13 della II Parte – che ciò può accadere, sebbene la Mente umana sia una parte dell’intelletto divino); e di qui avviene che quando confrontiamo gli umani fra di loro noi li classifichiamo solo in base a quanto il loro sentimento differisce dal nostro; e chiamiamo pertanto intrepidi gli uni, timorosi gli altri, e così via: per esempio, io chiamerò intrepido colui che disprezza un male o un pericolo che per me invece è temibile; e se poi io veda che la sua cupidità di far del male a chi egli odia e di far del bene a chi egli ama non è ostacolata dal timore di qualche male che di solito trattiene invece me quando mi trovo nelle stesse circostanze, lo chiamerò audace; mi sembrerà invece timido chi teme un male che io di solito disprezzo: e se vedrò che la sua cupidità è coartata dal timore di un male che solitamente non riesce invece a trattenere me, lo chiamerò pusillanime: e ognuno giudicherà gli altri con questo stesso criterio. Teniamo poi presente che, a causa della sua natura e della sua incostanza di giudizio, l’Uomo giudica spesso le cose solo in base al suo sentimento; e che le cose che l’Uomo crede capaci di produrre Letizia o Tristezza – e che perciò egli si sforza di promuovere o di ostacolare – sono spesso soltanto immaginarie (trascuriamo ora le altre considerazioni che abbiamo espresso nella II Parte a proposito dell’incertezza delle cose): e non avremo difficoltà a renderci conto di come 1’ Uomo possa spesso aver parte nella causa del suo rattristarsi e del suo allietarsi, ossia di come egli possa provare, e provi in effetto, una Tristezza, o una Letizia, accompagnata dall’idea di se stesso come causa. E’ ora facile capire che cosa siano il Rimorso e la Soddisfazione interiore (o Autocompiacimento): il Rimorso è una Tristezza che il soggetto prova accompagnata dall’idea di se stesso come causa, e la Soddisfazione interiore o Autocompiacimento è una Letizia che il soggetto prova accompagnata dall’idea di se stesso come causa. Questi sentimenti, per la convinzione che gli umani hanno di essere liberi, sono particolarmente veementi. (P. III, Prop. 28; Chiarim. d. Prop. 39; Prop. 49).

Prop. 52.

Un oggetto, che abbiamo già visto insieme con altri, o che immaginiamo non avere alcuna dote che non sia comune a parecchi oggetti, sarà considerato da noi meno lungamente di un altro che immaginiamo avere qualcosa di singolare.

Dimostrazione: Non appena immaginiamo un oggetto che abbiamo visto insieme con altri, noi ricordiamo anche gli altri oggetti: e così dalla considerazione di un oggetto passiamo sùbito alla considerazione di un altro oggetto. Così dicasi di un oggetto che ci sembra non avere alcuna dote che non sia comune a molti oggetti: per ciò stesso infatti noi riteniamo di non avere in esso nulla da considerare che non abbiamo già considerato in altri oggetti. Quando invece supponiamo di immaginare in un oggetto qualsiasi qualcosa di singolare, mai visto prima d’allora, noi non diciamo se non che la Mente, mentre considera quell’oggetto, non ha in sé null’altro che essa possa passar a considerare lasciando la considerazione dell’oggetto in questione: e dunque essa è determinata a considerare solo questo oggetto.

Chiarimento: Quest’affezione della Mente, ossia questo immaginare una cosa singola in quanto essa sola occupa la Mente, si chiama Ammirazione o Stupore. Se questa Ammirazione è provocata da un oggetto che temiamo si chiama Smarrimento, o Impotenza senza scelta, perché l’Ammirazione (orrifica) di quel male trattiene l’Uomo così concentrato su di esso da non permettergli di pensare ad altre cose – nemmeno a quelle grazie alle quali egli potrebbe evitare il male considerato. Se invece l’oggetto che ammiriamo sia la saggezza di un umano o la sua ingegnosità, o qualche altra cosa di questo genere, per cagion della quale noi riteniamo quell’Uomo molto superiore a noi, l’Ammirazione o Stupore si chiama Venerazione; se poi l’oggetto del nostro stupore è l’ira, o la malvagità, di qualcuno, l’Ammirazione si chiama invece Orrore, o Repulsione. E se noi ammiriamo il senno o la bravura di un umano che amiamo, per ciò stesso – v. la Prop. 12 di questa Parte – l’Amore sarà maggiore; e a quest’Amore unito all’Ammirazione o alla Venerazione io do il nome di Devozione. In questa maniera si può anche concepire che siano uniti all’Ammirazione l’Odio, la Speranza, la Sicurezza e altri sentimenti; e si può così individuare altri sentimenti ancora, più numerosi dei termini correnti disponibili: cosa questa che dimostra come la denominazione dei Sentimenti sia risultata dalla pratica che ne ha la gente piuttosto che da una loro conoscenza scientifica.

All’Ammirazione si oppone il Disprezzo, la cui origine è perlopiù la seguente. Dal vedere che qualcuno ammira o ama o teme una determinata cosa, o dal ritenere a prima vista che una determinata cosa somigli a cose che ammiriamo o amiamo o temiamo, noi siamo orientati ad ammirare o ad amare o a temere quella cosa; ma se il vedere effettivamente quella cosa, o il considerarla più accuratamente, ci costringa a negare di essa ciò che può essere causa di Ammirazione o d’Amore o di Timore, la Mente allora si trova orientata dalla presenza stessa della cosa a pensare alle cose che non sono in essa più che a quelle che ci sono; mentre di solito la Mente, in presenza di un oggetto, pensa principalmente a ciò che nell’oggetto c’è. Come poi la Devozione sorge dall’Ammirazione di una cosa che amiamo, così lo Scherno sorge dal Disprezzo per una cosa che odiamo o temiamo; e la Disistima sorge dal Disprezzo per la stoltezza, così come la Venerazione sorge dall’Ammirazione per il senno. E come si diceva dianzi, anche al Disprezzo possiamo pensare uniti l’Amore, la Speranza, la Gloria e altri sentimenti, e dedurne così sentimenti nuovi che – anch’essi – di solito non distinguiamo dagli altri con denominazioni proprie. (P. III, Prop. 15 e sua Conseg.; Prop. 27).

Prop. 53.

Quando la Mente considera se stessa e la sua potenza d’agire si allieta; e ciò tanto più, quanto più distintamente essa immagina se stessa e la sua potenza d’agire.

Dimostrazione: L’Uomo non conosce se stesso se non mediante le affezioni del suo Corpo e le idee delle affezioni stesse. Quando dunque accade che la Mente possa considerare se stessa, per ciò stesso si suppone che essa passi ad una perfezione maggiore, cioè che essa provi Letizia: e una Letizia tanto maggiore quanto più distintamente la Mente può immaginare se stessa e la sua potenza d’agire. (P. II, Prop. 19 e 23; P. III, Chiarim. d. Prop. 11).

Conseguenza: Questo sentimento di Letizia è moltissimo favorito, negli umani, dall’immaginare di esser lodati da altri. Quanto più, infatti, qualcuno immagina d’esser lodato dagli altri, tanto maggiore è la Letizia che egli immagina provata dagli altri per cagion sua, cioè accompagnata dall’idea di lui stesso: e quindi egli prova una Letizia maggiore, e accompagnata dall’idea di se stesso. (P. III. Prop. 27; Chiarim. d. Prop. 29).

Prop. 54.

La Mente si sforza di immaginare soltanto le cose che pongono (o affermano) la sua potenza d’agire.

Dimostrazione: Lo sforzo, o potenza, della Mente (v. la Prop. 7 di questa Parte) è l’essenza stessa della Mente considerata; e l’essenza della Mente, come è noto di per sé, afferma soltanto ciò che la Mente è e può, e non affatto ciò che essa non è e non può; e quindi la Mente si sforza di immaginare soltanto ciò che afferma, o pone, la sua potenza d’agire.

Prop. 55.

Quando la Mente immagina la sua impotenza, per ciò stesso si rattrista.

Dimostrazione: L’essenza della Mente, come abbiamo detto qui sopra, afferma solo ciò che la Mente è e può: ossia la Mente per sua natura immagina solamente le cose che pongono la sua potenza d’agire. Quando pertanto diciamo che la Mente, considerando se stessa, immagina la propria impotenza, noi non diciamo se non che la Mente, mentre si sforza d’immaginare qualcosa che pone la sua potenza d’agire, viene coartata in questo suo sforzo, ossia deve rattristarsi (Chiarim. d. Prop. 11 di questa Parte).

Conseguenza: Questo sentimento di Tristezza è moltissimo favorito se ci s’immagina biasimati da altri: ciò che si dimostra nella stessa maniera seguita nella Conseg. della Prop. 53 qui sopra.

Chiarimento: Questa Tristezza, accompagnata dall’idea della nostra incapacità, si chiama Senso della propria insufficienza; la Letizia invece che sorge dal nostro considerarci favorevolmente si chiama Amore di sé o Soddisfazione interiore o Autocompiacimento. Questa Letizia si ripete tutte le volte che un umano considera le proprie virtù, ossia la sua potenza d’agire: e questa è la ragione per cui ognuno si premura di narrare le sue gesta e di mettere in mostra tanto la sua energia somatica quanto la sua forza d’animo: col risultato che gli umani s’infastidiscono a vicenda. Per la ragione predetta, anche, accade che gli umani sono per natura invidiosi e malevoli, e godono dell’incapacità dei loro pari mentre si dispiacciono della loro virtù. Tutte le volte, infatti, che qualcuno immagina le proprie azioni prova una Letizia, e una Letizia tanto maggiore quanto maggiore è la perfezione che quelle azioni esprimono e quanto più distintamente egli le immagina: vale a dire, quanto più egli può distinguerle dalle azioni degli altri e considerarle come eventi singolari. Nella considerazione di sé, quindi, ognuno proverà il massimo della gioia quando vedrà in lui stesso qualcosa che non può trovare negli altri: non gioirà tanto, invece, se ciò che egli afferma di se stesso può essere riferito all’idea generale di Uomo o di animale; e addirittura si rattristerà se, confrontando le sue azioni con quelle altrui, dovrà immaginarle più scadenti di queste ultime: e si sforzerà di allontanare questa Tristezza, sia interpretando malamente le azioni degli altri, sia abbellendo quanto è possibile le sue proprie. E’ quindi evidente che gli umani sono per natura proclivi all’Odio e all’Invidia, e che a ciò li orienta la stessa educazione: i genitori, infatti, sogliono spronare i figli a farsi una posizione nel mondo col solo pungolo dell’Onore e dell’Invidia. Contro questa affermazione generica si può forse obiettare che non di rado noi realmente ammiriamo le virtù degli umani, e veneriamo alcuni di essi: per rimuovere questa obiezione aggiungerò la Conseguenza qui sotto.

Conseguenza: Nessuno invidia la virtù di un altro che non gli sia eguale.

Dimostrazione: L’Invidia (o Malevolenza) è l’Odio stesso, ossia una Tristezza, cioè un’affezione dalla quale la potenza d’agire – o lo sforzo – di un umano è contrastata. Ma un Uomo non si sforza né desidera di fare se non ciò che può derivare dalla sua specifica natura:. dunque un Uomo non desidererà che gli si riconosca alcuna potenza d’agire (o alcuna virtù, che è lo stesso) che sia propria della natura di un altro ed estranea alla sua; e quindi l’umano in parola non sentirà contrastata la sua Cupidità, né pertanto egli si rattristerà, quando consideri una qualche virtù in qualcuno dissimile da lui; e, di conseguenza, nemmeno invidierà a quel qualcuno la sua virtù. Ma invidierà la medesima virtù in un suo eguale, che si suppone avere la stessa sua natura. (P. III, Chiarim. d. Prop. 9; Chiarim. d. Prop. 11; Chiarim. d. Prop. 13; Chiarim. d. Prop. 24).

Chiarimento: Quando ho detto, nel Chiarimento della Prop. 52 qui sopra, che noi veneriamo un determinato umano perché abbiamo ammirazione del suo senno, della sua fortezza, eccetera, intendevo perciò che la cosa vada presa nel senso (come appare nella stessa Proposizione) che noi immaginiamo quelle virtù come appartenenti a lui in modo singolare, e non come comuni alla sua e alla nostra natura; e pertanto noi non gliele invidiamo più di quanto invidiamo agli alberi l’altezza, ai leoni la forza, eccetera.

Prop. 56.

Quante specie ci sono di oggetti dai quali siamo interessati, tante specie ci sono di Letizia, di Tristezza e di Cupidità, e conseguentemente di ciascun sentimento che se ne compone (come la Fluttuazion d’animo) o che ne deriva (come l’Amore, l’Odio, la Speranza, il Timore, eccetera).

Dimostrazione: La Letizia e la Tristezza, e di conseguenza i sentimenti che se ne compongono o che ne derivano, sono passioni; ma noi siamo passivi necessariamente in quanto abbiamo idee inadeguate, cioè idee da cui seguono effetti dei quali noi siamo causa soltanto parziale, e solo in quanto abbiamo tali idee noi siamo in tanto passivi: cioè noi siamo necessariamente passivi in tanto, in quanto immaginiamo, ossia in quanto proviamo un sentimento che implica la natura del nostro Corpo e la natura di un corpo esterno. La natura di ciascuna passione deve perciò necessariamente essere descritta in modo tale che dalla descrizione risulti anche la natura dell’oggetto dal quale siamo interessati. Per esempio, la Letizia che sorge dall’oggetto A implica la natura dello stesso oggetto A, e la Letizia che sorge dall’oggetto B implica la natura dello stesso oggetto B: e quindi questi due sentimenti di Letizia sono diversi per natura, perché hanno origine da cause di natura diversa. Parimente il sentimento di Tristezza che nasce da un certo oggetto è diverso per natura dalla Tristezza che nasce da un’altra causa; e lo stesso deve intendersi a proposito dell’Amore, dell’Odio, della Speranza, del Timore, della Fluttuazion d’animo, eccetera: ragion per cui, come s’affermava, ci sono necessariamente tante specie di Letizia, di Tristezza, di Amore, di Odio, eccetera, quante sono le specie degli oggetti dai quali siamo interessati. Ma la Cupidità è la stessa essenza, o natura, di ciascuno, in quanto noi la concepiamo determinata a (genericamente) agire in forza della sua specifica costituzione, qualunque essa sia: e dunque, a seconda che ciascuno è interessato da cause esterne con questa o quella specie di Letizia, di Tristezza, d’Amore, di Odio, eccetera, cioè a seconda che la sua natura è strutturata in questo o in quel modo, cosi è necessario che la sua Cupidità sia diversa da caso a caso, e che la natura di una Cupidità differisca da quella di un’altra Cupidità in proporzione di quanto differiscono l’un dall’altro i sentimenti dai quali ciascuna Cupidità ha origine. Vi sono quindi tante specie di Cupidità quante sono le specie di Letizia, di Tristezza, d’Amore, eccetera, e di conseguenza – come abbiamo ormai mostrato quante sono le specie degli oggetti dai quali siamo interessati. (P. II, Prop. 17 e suo Chiarim.; Chiarim. 1° d. Prop. 40; P. III, Prop. l; Prop. 3; Prop. 9; Chiarim. d. Prop. 11).

Chiarimento: Tra le specie di sentimenti, che – come risulta dalla Proposizione che precede – debbono essere moltissimi, si segnalano la Propensione alla crapula, l’Inclinazione all’ubriachezza, la Libidine, l’Avidità di beni, e l’Ambizione, che non sono se non espressioni dell’Amore o della Cupidità, e che esplicano la natura di queste due affezioni dell’animo mediante gli oggetti a cui esse si riferiscono. Infatti con i termini predetti Propensione alla crapula, Inclinazione all’ubriachezza, Libidine, Avidità di beni, -Ambizione – noi intendiamo esattamente un Amore smodato, o una Cupidità smodata, del mangiare, del bere, dell’attività erogena, dei beni terreni, della gloria. Questi sentimenti, in quanto li distinguiamo solo mediante l’oggetto al quale essi si riferiscono, non hanno il contrario: perché la Temperanza, la Sobrietà e la Castità – che si suole opporre, rispettivamente, alla Propensione alla crapula, all’Inclinazione all’ubriachezza, alla Libidine – non sono sentimenti, o passioni, ma indici ed espressioni della potenza dell’animo, la quale governa i sentimenti predetti. Quanto alle restanti specie di sentimenti, non posso spiegarle qui – perché sono tante quante le specie di oggetti; e se anche potessi non sarebbe necessario. Per il nostro obiettivo, infatti, cioè per determinare le forze dei sentimenti e il potere della Mente su di essi, ci basta avere la definizione generale di ogni sentimento: per essere più chiari, al fine di poter determinare quale e quanta sia la potenza della Mente nel governare e nel reprimere i sentimenti ci basta comprendere le proprietà comuni dei sentimenti e della Mente. Quindi, sebbene sia grande la differenza fra questo e quel sentimento d’Amore, di Odio, o di Cupidità – per esempio, fra l’Amore verso i figli e l’Amore verso la consorte – , non c’è tuttavia bisogno che noi conosciamo queste differenze e che indaghiamo più a fondo la natura e l’origine dei sentimenti.

Prop. 57.

Qualsivoglia sentimento di ciascun individuo si differenzia tanto dallo stesso sentimento di un altro individuo, quanto l’essenza dell’uno differisce dall’essenza dell’altro.

Dimostrazione: Questa Proposizione risulta evidente dall’Assioma II B 1 della II Parte; nondimeno la dimostrerò in base alle definizioni dei tre sentimenti primitivi.

Tutti i sentimenti si riferiscono alla Cupidità, alla Letizia o alla Tristezza, come dimostrano le definizioni che ne abbiamo dato. Ma la Cupidità è la stessa natura o essenza di ciascuno (se ne veda la Definizione nel Chiarim. della Prop. 9 di questa Parte): e dunque la Cupidità di ogni individuo si distingue dalla Cupidità di ogni altro tanto quanto l’essenza (o la natura) dell’uno differisce dall’essenza dell’altro. La Letizia e la Tristezza, poi, sono passioni, dalle quali in ogni individuo la potenza, ossia lo sforzo di perseverare nel proprio essere, è aumentata o diminuita, favorita o contrastata. Ma come “sforzo di perseverare nel proprio essere” noi intendiamo, in quanto esso si riferisce insieme alla Mente e al Corpo, l’Appetito e la Cupidità: dunque la Letizia – e la Tristezza – è la stessa Cupidità (o Appetito) in quanto da cause esterne essa è aumentata o diminuita, favorita o contrastata, cioè è la stessa natura di ciascuno; e pertanto la Letizia e la Tristezza di ognuno si differenziano dalla Letizia e dalla Tristezza di ogni altro tanto quanto la natura o essenza dell’uno differisce dall’essenza dell’altro; e di conseguenza qualsivoglia sentimento di ciascun individuo si differenzia tanto dallo stesso sentimento di un altro individuo, quanto l’essenza dell’uno differisce dall’essenza dell’altro. (P. III, Chiarim. d. Prop. 9; Prop.11 e suo Chiarim.).

Chiarimento: Di qui segue che i sentimenti degli esseri animati che noi diciamo irragionevoli (non possiamo infatti assolutamente dubitare che anche gli animali sentano, dopo che conosciamo l’origine della Mente) differiscono dai sentimenti umani tanto quanto la natura di quegli esseri differisce dalla natura umana. Certo il cavallo è trascinato, come l’Uomo, verso il piacere connesso alla procreazione: ma l’uno da una libidine equina, l’altro da una libidine umana. Così, anche, le Libidini e gli Appetiti degl’insetti, dei pesci, degli uccelli, debbono essere ben diversi fra di essi. Ogni individuo, in questa visuale, vive dunque contento della sua natura, grazie alla quale egli (o esso) è quel che è, e gode di essa; ma quella vita, di cui ciascuno è contento, e quel godere, non sono altro che l’idea o l’anima dell’individuo medesimo: e pertanto il godere dell’uno è tanto diverso per natura dal godere dell’altro quanto l’essenza dell’uno è diversa dall’essenza dell’altro. Dalla Proposizione precedente si può infine rilevare – come poi qui è dimostrato – che c’è anche non poca differenza tra il godimento che attira, poniamo, un ubriacone, e il godimento a cui perviene un Filosofo: cosa che a questo punto dovevo pure, en passant, far notare.

Qui si conclude ciò che concerne i sentimenti che si riferiscono all’Uomo in quanto egli è passivo. Mi resta di aggiungere poche considerazioni sui sentimenti che si riferiscono all’Uomo in quanto egli agisce o è attivo.

Prop. 58.

Oltre alla Letizia e alla Cupidità che sono passioni esistono altri sentimenti dì Letizia e di Cupidità che si riferiscono a noi in quanto siamo attivi.

Dimostrazione: Quando la Mente concepisce se stessa e la propria potenza di agire si allieta: e la Mente considera se stessa necessariamente quando concepisce un’idea vera o adeguata, cioè quando agisce come parte dell’Intelletto divino, ossia quando esprime unicamente e appieno la sua natura. Ma la Mente concepisce effettivamente talune idee adeguate: e dunque essa si allieta appunto in quanto concepisce tali idee adeguate, vale a dire in quanto essa è attiva. La Mente poi si sforza di perseverare nel proprio essere sia in quanto ha idee chiare e distinte, sia in quanto ha idee confuse; ma per lo sforzo noi intendiamo la Cupidità: e dunque pure la Cupidità si riferisce a noi (od esprime noi stessi) anche in quanto abbiamo idee, o conosciamo, ossia in quanto siamo attivi. (P. II, Chiarim. 2° d. Prop. 40; Prop. 43; P. III, Prop. l; Prop. 9 e suo Chiarim.; Prop. 53).

Prop. 59.

Tutti i sentimenti che si riferiscono alla Mente in quanto essa è attiva hanno relazione esclusivamente con la Letizia e con la Cupidità.

Dimostrazione: Tutti i sentimenti si riferiscono alla Cupidità o alla Letizia o alla Tristezza, come appare dalle definizioni che ne abbiamo dato. Ora, con il termine (e la condizione) di Tristezza noi intendiamo una diminuzione o una costrizione della potenza di pensare che ha la Mente; e quindi, in quanto la Mente è rattristata, in tanto la sua potenza di conoscere, che è la sua potenza d’agire, viene diminuita o coartata: e pertanto, in quanto la Mente è attiva, o agisce, nessun sentimento di Tristezza può riferirsi ad essa; possono riferirsi ad essa, in quanto è attiva, soltanto sentimenti di Letizia e di Cupidità, come abbiamo dimostrato qui sopra. (P. III, Prop. l; Prop. 11 e suo Chiarim.; Prop. 58).

Chiarimento: Tutte le azioni che derivano dai sentimenti riferibili alla Mente in quanto essa conosce vanno ricondotte alla Fortezza d’animo, che io considero sotto i due aspetti di Determinazione e di Generosità. Per Determinazione intendo la Cupidità per la quale un umano si sforza di conservare il proprio essere in base soltanto a ciò che prescrive la Ragione; per Generosità intendo invece la Cupidità per la quale un umano si sforza, solo in base a ciò che prescrive la Ragione, di essere utile agli altri umani e di farseli amici. Riferisco quindi alla Determinazione le azioni che mirano solo all’utile di chi le compie, e alla Generosità quelle che mirano anche all’utile altrui: così, la Temperanza, la Sobrietà, la Presenza d’animo nei pericoli, eccetera, sono specie, o aspetti, della Determinazione; la Costumatezza, la Clemenza, eccetera, sono specie, o aspetti, della Generosità.

Con questo credo d’avere dato spiegazione – illustrandoli per mezzo delle loro cause prime – ai principali sentimenti e alle fluttuazioni d’animo che sorgono dalla combinazione dei tre sentimenti primitivi o elementari, Cupidità e Letizia e Tristezza: spiegazione che mostra come noi siamo agitati da cause esterne in molti modi, e come, simili alle onde del mare sotto venti contrari, siamo spinti or qua or là, senza sapere che cosa accadrà e se ci salveremo. Ho detto però d’aver mostrato soltanto le principali fra le cause della nostra agitazion d’animo, non tutte quelle che possono darsi. Procedendo infatti per la stessa via seguita qui sopra possiamo mostrare facilmente che l’Amore si unisce al Rimorso, alla Disistima, alla Vergogna, eccetera; e anzi credo che da quanto ho detto sia chiaro a tutti che i sentimenti possono combinarsi gli uni con gli altri in tanti modi, e quindi dar luogo a tanti ibridi, che è praticamente impossibile contarli. Ai miei fini, però, basta avere enumerato i sentimenti principali: infatti la conoscenza degli altri, che ho omesso, avrebbe perlopiù un aspetto di curiosità piuttosto che di nozione utile.

Riguardo all’Amore, tuttavia, si deve ancora notare come spessissimo accada che, mentre fruiamo d’una cosa che desideravamo, da quella fruizione il nostro Corpo acquisti una nuova costituzione (o un nuovo stato, o un nuovo equilibrio interno) che lo determina diversamente da prima e che suscita in esso altre immagini di cose, al tempo stesso che la Mente comincia anch’essa ad immaginare e a desiderare cose diverse. Per esempio: quando immaginiamo qualche cosa che di solito assaporiamo con piacere, noi desideriamo di fruirne, ossia di mangiarla; ma, col mangiarla, lo stomaco si riempie, e il Corpo acquista un altro equilibrio: e se, in questa nuova condizione del Corpo, l’immagine di quel cibo si trova rafforzata (proprio perché ora esso è presente), e viene di conseguenza rafforzato anche lo sforzo, o Cupidità, di mangiarlo, a questa Cupidità o sforzo sarà contraria la nuova condizione del Corpo; e di conseguenza la presenza del cibo che desideravamo ci ripugnerà: e questo è ciò che chiamiamo Disgusto e Tedio o Noia.

Io ho poi trascurato di descrivere i riscontri somatici dei sentimenti, quali il tremore, il pallore, il singhiozzo, il riso eccetera, perché si tratta di eventi che si riferiscono solo al Corpo senza alcuna relazione alla Mente.

Si deve infine fare qualche osservazione sulle definizioni dei sentimenti: perciò ripeterò qui ordinatamente le definizioni stesse, inserendo a suo luogo ciò che vi è da aggiungere su ciascuna.

http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiHTML/Spinoza/Etica/Etica.htm

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