La princesse de Clèves by Madame de La Fayette – Internet Archive e video

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La principessa di Clèves: la modernità dell’antico

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Ho letto La principessa di Clèves, un romanzo pubblicato nel 1678 e scritto da Marie-Madeleine Pioche de la Vergne, contessa de La Fayette, preceduto da un ottimo saggio introduttivo di Armanda Guiducci, Il femminismo della camera blu e Madame de La Fayette. Piuttosto spesso mi capita di pensare, al termine della lettura di un’opera scritta parecchio tempo fa, che probabilmente è sciocco ostinarsi a scrivere, perché non c’è più nulla di nuovo da dire. Ma quello di raccontare storie è un vizio umano; io ho provato a smettere, con lo stesso impegno profuso da Zeno Cosini nello smettere di fumare e con lo stesso successo.

La principessa di Clèves ben merita l’appellativo di primo romanzo psicologico moderno. Io l’ho molto apprezzato, ma è piaciuto in passato anche a gentiluomini come Voltaire (certo non un palato facile), che ebbe a definirlo il capostipite dei moderni romanzi d’analisi e psicologici francesi e che ne lodò la verosimiglianza e lo stile sobrio. La lettura è veramente piacevole e scorrevole, come non ci si aspetterebbe da un romanzo secentesco. Ricordate l’Anonimo manzoniano? Ecco, siamo distanti anni luce, ma forse il merito è anche della traduzione: io non ho letto l’originale francese, né potrei permettermi di farlo.

La trama è semplice, benché il romanzo non sia brevissimo; ma è giocato su attentissime e dettagliate descrizioni di brevi sguardi, di cenni, di gesti, e se poco accade all’apparenza, moltissimo accade nell’animo dei personaggi. Tanto per cambiare, variazioni sul tema del triangolo amoroso. Siamo alla metà del Cinquecento, presso la corte di Enrico II di Francia, dove la giovane mademoiselle de Chartres incanta tutti con la sua bellezza. Tra i tanti corteggiatori, finisce per sposare il principe di Clèves, un uomo di cui ha stima, ma per il quale non prova amore. Il principe ne è consapevole, ne soffre, ma la condotta impeccabile della moglie gli impedisce di esserne geloso. Un giorno, alla corte torna il duca di Nemours, l’uomo più splendido che si possa immaginare, sotto tutti gli aspetti, che si innamora della principessa di Clèves e per amor suo pone fine alla sua esistenza di libertino, rompendo le relazioni con tutte le sue amanti e limitandosi a contemplare da lontano e con il massimo rispetto la donna che ammira, ben sapendo che è sposata. Lentamente, la principessa di Clèves comprende il sentimento del duca e si rende conto di essersene innamorata a sua volta. L’educazione ricevuta dalla madre e i suoi principi morali le impediscono di prendere anche solo in considerazione l’idea di tradire il marito. Cerca di stare lontana dalla corte, di evitare ogni occasione per imbattersi nel duca. Il principe nota il suo comportamento strano, gliene domanda ragione e allora la principessa – udite, udite – confessa al marito il suo sentimento per un altro, di cui non vuole fare il nome, pur assicurandogli di non aver mai permesso a quel sentimento di condizionare il suo agire. Il principe ne è addolorato, si tormenta nonostante sia convinto dell’onestà della sposa, tenta in ogni modo di scoprire chi sia l’uomo che ha saputo accendere in sua moglie i sentimenti che lui non è mai riuscito a meritare. Lo scopre. Infine muore, torturato dalla gelosia, sospettando un tradimento della moglie che in realtà non è mai avvenuto. E quando, dopo il termine del periodo di lutto, il duca di Nemours si presenta alla vedova per domandare finalmente la sua mano… Leggetelo, il romanzo, ché ne vale la pena.

Bellissimo anche il saggio introduttivo, che racconta dell’evoluzione della condizione femminile tra Cinquecento e Seicento e del milieu intellettuale di cui questo romanzo può dirsi in parte l’espressione. Esso è infatti maturato respirando l’atmosfera dei salotti delle Preziose. Nel famoso salotto di Madame de Rambouillet nascevano le prime teorie femministe: ci si ribellava alla condizione di passività e di inferiorità riservata alla donna, costretta a scegliere tra matrimonio e velo, ci si dedicava alla vita mondana in circoli e a discussioni cui gli uomini erano ammessi, ma che erano presiedute da donne, si discuteva di cultura ma soprattutto di amore, sviluppando un’ideologia che si incarnava negli scritti di Madeleine de Scudéry. Nei romanzi si tornava ai miti dell’amore cortese, cavalleresco, platonico, all’antica tradizione dei trovatori. Precorritrice del movimento era stata Marie de Gournay, autrice del rivoluzionario L’uguaglianza fra uomini e donne.

[…] sosteneva che la conclamata inferiorità femminile di cui il suo secolo era strenuamente convinto non era che una conseguenza della diversità dell’educazione. […] Lo stampo dell’uomo e della donna era il medesimo. Le donne venivano educate al conformismo della più sciocca vanità, a torpide cianfrusaglie, a congedare il pensiero a vantaggio del corpo. […] Mademoiselle de Gournay […] proponeva, a correzione delle idee del suo secolo, che le donne potessero essere ammesse allo studio delle lettere e delle scienze. E potessero incedere anche loro sulla strada della politica e del sacerdozio.

A onor del vero, Marie non aveva maturato tali idee in solitudine: portava alle estreme conseguenze il pensiero del suo maestro, uno degli intellettuali più celebri del suo tempo, che però su questo tema è rimasto tristemente inascoltato.

Un giorno di un qualche anno dopo il 1580 una luce pomeridiana invadeva, con un quieto sciame di pulviscolo solare, la singolare stanza semicircolare tappezzata da un buon migliaio di libri, una scrivania al centro, ricavata al secondo piano di una torre d’angolo orientata a mezzogiorno del castello di Montaigne. […] La fronte alta e spaziosa d’un uomo già alquanto calvo, verso la cinquantina, si chinava – come portata giù dal peso di gravi pensieri e seguendo l’invisibile torsione del collo nascosto da un alto collaretto a canne d’organo – sopra la mano inanellata che andava vergando un manoscritto. La mano non tradiva esitazioni mentre, lievemente scricchiolando, la cannuccia inchiostrata della penna d’oca andava tracciando le seguenti parole: “Per terminare questo notevole commentario…” Seguirono altre parole con svolazzi. Infine la cannuccia venne portata con decisione sulle parole: “dico che maschi e femmine sono modellati nello stesso stampo; a parte l’educazione e il costume, la differenza non è grande“. L’uomo col collaretto contemplò queste parole. Vi sparse sopra della fine sabbia per farle essiccare. Infine, voltando l’uno sull’altro i numerosi fogli manoscritti, su quello di testa appose la dicitura: Essais. Libro III. Capitolo V.

Grazie a Michel de Montaigne per aver dichiarato nei suoi Saggi qualcosa che a me pare evidente, ma che a quanto pare non lo è per tutti; e quando sento certe donne d’oggi blaterare della intrinseca, ontologica specificità femminile, che si traduce in genere nella dolcezza, nell’arrendevolezza, nella tendenza alla sottomissione (cfr. Sposati e sii sottomessa di Costanza Miriano), nella superiore capacità (che diventa quindi, implicitamente, dovere!) di amare e di soffrire, l’orrore che ne provo mi spinge a cercare nell’antico il conforto della modernità.

https://daszauberbuch.wordpress.com/2012/12/04/la-principessa-di-cleves-la-modernita-dellantico/

Le guerre di religione per Tavernier Un film sul passato che non passa

“La principessa di Montpensier” A Cannes il regista nella Francia del 1562: “La storia non fu, ma è”

CANNES
«La storia non fu, la storia è»: sta qui per un decano del cinema francese come Bertrand Tavernier, che ci ha deliziato con film come Una domenica in campagna per citarne uno, lo spirito e l’attualità del suo film apparentemente storicamente lontano, oggi in concorso al 63/mo festival di Cannes: “La princesse de Montpensier”.

Avventure, feroci ammazzamenti, duelli, irresistibili costumi in broccato, paesaggi di una natura incontaminata, castelli e borghi nella Francia del 1562 quando imperversava la guerra tra papisti e ugonotti, quando trovarsi con la casata nel posto sbagliato significava rischiare di perdere tutto e quando naturalmente alle giovani donne di rango non era dato di scegliersi il marito. «È una storia d’amore ambientata in un’epoca in cui le donne venivano trattate diversamente da oggi. Ma non è solo questo: è una love story che ci dà l’opportunità di scoprire come erano e si facevano le guerre di religione. Qualcosa che accade esattamente anche oggi, per questo il mio film è senza tempo».

Nel regno di Carlo IX, la giovane ereditiera di una delle più grandi fortune del regno, l’incantevole Maria de Mezieres (Melanie Thierry) ama, ricambiata, il giovane duca di Guisa (Gaspard Ulliel). L’attende però un matrimonio combinato dal padre marchese con il principe di Montpensier (Gregoire Leprince-Ringuet) che lei non ha mai visto neppure una volta e che il giorno dopo il matrimonio – la scena della prima notte con le famiglie di entrambe ad attendere nella stessa stanza la prova della verginità di lei è tra le più belle – parte accanto al cattolico re a fare la guerra ai Protestanti. La donna viene mandata in un castello più rustico in compagnia del conte di Chabannes (Lambert Wilson), amico del principe e persona che ha scelto di non combattere più, ma di dedicarsi solo alle arti e alla musica dopo aver visto e vissuto gli orrori di una conflitto che uccide fratelli.

A guerra finita, Maria viene chiamata dal marito che sente di non amare, alla corte a Parigi dove conosce il duca d’Anjou (Raphael Personnaz), futuro Enrico III e soprattutto rivede Guisa. La passione torna sfacciata e pericolosa, il marito sfida a duello Guisa, il duca d’Anjou lo minaccia perchè dovrebbe sposare sua sorella, ma i due si vedono di nascosto. Con la complicità di Chabannes riescono persino ad amarsi appassionatamente. Poi la vita prende altre strade: Chabannes muore per difendere una donna dalla follia della guerra, lasciando una lettera in cui confessa a Marie il suo amore, il marito di lei si rende conto di averla perduta per sempre, Maria pensando di essere libera va da Guida che però le annuncia di sposare un’altra. A Maria, piangente sulla tomba di Chabannes, non resta altro che lasciarsi morire.

«Volevo difendere questa donna, capirla», dice Tavernier che ne fa per il suo coraggio a sfidare le regole dell’epoca una ribelle ante litteram. «È un film senza tempo, molte di queste emozioni non sono affatto datate», spiega il regista che dal primo film L’orologiaio di Saint Paul prosegue un discorso sugli uomini non eroi ma che, come Chabannes, rifiutano l’ordine costituito, in questo caso l’assurda guerra di religione, rinunciando e rifugiandosi nel colto. E poi c’è il tema delle guerre fondamentaliste: «Attualmente ci sono le stesse assurde guerre di allora. Il passato non passa mai. È difficile fare paragoni con il 1560, la questione però è generale, l’intolleranza dilaga, i giornali ne sono pieni, il mio paese, la Francia, il suo governo, lo sono».

http://www.lastampa.it/2010/05/16/spettacoli/festival-di-cannes/le-guerre-di-religione-per-tavernier-un-film-sul-passato-che-non-passa-zemF6gSu89UPduBliMudjO/pagina.html



Assia Djebar | controappuntoblog.org

tarquinia molza 1542 a case study of women, music and .

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