UN ECONOMISTA ed Heinrich Boll: Tosse durante il concerto

UN ECONOMISTA CI SPIEGA PERCHÉ TOSSIAMO A TEATRO

29 aprile 2013 |

I frequentatori di opera e concerti sanno che ci sono regole di comportamento da osservare. Uno studio spiega i motivi e fornisce risposte terapeutiche alla domanda: perché le persone (non) tossiscono durante i concerti? Autore ne è un esperto di economia e le sue osservazioni hanno destato grande interesse. Il Prof. Andreas Wagener, della Facoltà di Economia dell’Università di Hannover, si è soffermato a riflettere sull’etichetta da osservare durante un concerto dopo
aver assistito ad un concerto ed aver notato che, alla tosse del vicino, si era aggiunta quella di altri nella sala e che probabilmente era una sorta di messaggio per la messa in scena o per lo stesso regista.
Ancora ai tempi di Mozart si ascoltava la musica mentre si facevano passeggiate, conversazioni e brindisi. Poi arrivò il XIX secolo e con esso le buone maniere si imposero sempre di più. Chi disdegnava la musica classica correva il rischio di essere escluso dall’élite economica, intellettuale e morale. “Dal punto di vista sociale era meno importante la musica suonata mentre contava soprattutto come questa venisse compresa a livello sociale. Le regole di comportamento sono costrutti sociali” per Wagener.

Le associazioni concertistiche, i musicisti ed i giornalisti musicali cercano ancora di educare il pubblico con regole, gesti ed esortazioni. I musicisti devono dare il loro meglio e la partitura deve essere riprodotta in modo veritiero e con una certa interpretazione. Il pubblico, a sua volta, si deve concentrare, ascoltare con serietà e in silenzio. Questo esige un suo tributo: “Nelle sale da concerto si tossisce il doppio che nella vita normale. Si tossisce di più di quanto non si parli ad alta voce, o ci si alzi per andar via, o si faccia rumore con lo scalpiccio dei passi!”
Il pianista Alfred Brendel, durante i propri concerti, reagisce in maniera particolarmente sensibile ai rumori provenienti dal pubblico. Ad Amburgo apostrofò gli spettatori con queste parole: “O la smettete di tossire o smetto di suonare!”.
Nella sala calò il silenzio. Per Andreas Wagener questo spiega tutto: “Le persone possono tossire con consapevolezza ma con la stessa consapevolezza anche evitarlo. Tossire durante un concerto, dunque, a differenza dello starnutire, avere il singhiozzo e sbadigliare, non è casuale.” Ma tossire fa parte di un concerto. “Partendo dal presupposto che tutti possiamo tossire ogni tanto, questo possibile riflesso fisico è una delle pochissime possibilità accettate per partecipare attivamente nella cornice dell’etichetta”, prosegue Wagener. L’umorista tedesco Loriot, in occasione del loro centenario, regalò ai Berliner Philarmoniker una “Sinfonia della tosse”, con la quale – come lui stesso disse – era riuscito ad integrare i rumori immanenti dei concerti arricchendo, in questo modo, l’opera.

Il fenomeno della tosse viene descritto dal Duden come “aria che, solitamente in seguito ad una irritazione delle vie respiratorie, proviene dai polmoni e fuoriesce dalla bocca ad intervalli, con forza e più o meno rumorosamente”. “Il volume della tosse aumenta tanto più quanto più la musica è sconosciuta e complicata”, scrive Wagener sulla moderna realtà concertistica. E il pianista Alfred Brendel ha addirittura composto una poesia furibonda su “Die Huster von Köln” (“I tossitori di Colonia”), a cui riconosce la
più precisa conoscenza delle opere musicali cosicché durante i momenti silenziosi, e soprattutto nel silenzio paralizzante delle pause generali, si possa tossire al momento (meno) opportuno. Ma vuole, così facendo, l’intenditore forse comunicare il suo non gradimento dell’opera o della sua rappresentazione? In base alla tosse si può cogliere l’atteggiamento critico degli spettatori? “Più un pubblico è poco preparato – e dunque anche insicuro – tanto più elevata è la possibilità di un generale attacco di tosse!”, pensa Wagener, sorpreso del clamore internazionale suscitato dal suo testo dedicato altresì ad tema di per sé abbastanza triviale. Non succede, infatti, molto spesso ad un esperto di economia che le proprie elucubrazioni mentali, addirittura su temi culturali, vengano prese in così tanta considerazione.
Sentire tossire durante un concerto fa innervosire. Questo Wagener non lo mette in discussione ma è convinto che senza pubblico non ci sarebbero concerti. E in queste occasioni sia l’etichetta che il suo non osservarla riportano alla stessa conclusione: la musica e la sua “corretta” percezione fanno parte della formazione delle persone. Comunicano prestigio
e stato sociale, generano conformità e rafforzano i suoi valori”, scrive Wagener. Un’affermazione che non ha lasciato
indifferenti e un giornalista ha criticato l’opinione del Prof. Wagener ed il suo nesso tra musica classica e le più elevate classi sociali e queste, a loro volta, con un comportamento che non ha altri scopi se non la demarcazione sociale.
Si è toccato, dunque, un argomento che accende gli animi. Lo ha dovuto constatare anche Wagener stesso riflettendo sulla reazione dei media tedeschi che, a differenza di quelli inglesi, hanno preso le sue riflessioni estremamente sul serio e senza senso dell’umorismo. Per la Signora Wagener la severa etichetta da rispettare durante i concerti è il rimasuglio di una mentalità elitaria, dove piacere e passione contano poco e quel che è più importante è la cultura. E allora spesso rimane volentieri a casa, si concede un bicchiere di vino rosso, si accende una sigaretta e mette su un Cd. Una registrazione live stupenda. Soltanto che i colpi di tosse non si sentono più.

http://www.nuovosoldo.it/2013/04/29/un-economista-ci-spiega-perche-tossiamo-a-teatro/

Heinrich Boll: Tosse durante il concerto

“Mio cugino Bertram è uno di quei nevrotici che, senza essere minimamente raffreddati, durante i concerti cominciano di punto in bianco a tossire. La cosa comincia con una blanda, quasi gentile raschiatina di gola non dissimile dall’accordatura di uno strumento, poi man mano aumenta finchè, con una snervante consequenzialità, assurge ad un abbaiare esplosivo, che fa sventolare come leggerissime vele i capelli delle signore sedute dinanzi a noi.
Conforme alla sua sensibilità, Bertram tossisce forte quando la musica scende al pianissimo, più leggermente quando invece aumenta di volume. Con quella sua voce sgradevole egli costituisce, per così dire un contrappunto disarmonico. Per di più, siccome ha una memoria eccellente e conosce le partiture da cima a fondo, mi fa quasi da guida musicale, a me che ho così poca cultura. Quando comincia a sudare, le orecchie gli si arrossano, quando trattiene il fiato e tira fuori di tasca delle pasticche per la tosse, quando comincia a diffondersi un odore penetrante di eucalipto, io so che la musica promette di attenuarsi. E in effetti: l’archetto del violinista sfiora appena lo strumento, le mani del pianista sembrano aleggiare immateriali sul pianoforte. Un’interiorità tutta tedesca, che par quasi di afferrare coi sensi, si diffonde nella sala, e Bertram siede ora con le guance gonfie, negli occhi una profondissima melanconia, finchè di colpo esplode.
Dato che nella nostra città ai concerti vanno solo le persone ben educate, è naturale che nessuno si volti a guardarlo e nemmeno bisbigli qualche formula pedagogica al suo indirizzo, eppure si sente come il pubblico stenti a reprimere l’indignazione, come ogni volta abbia un sussulto, perché ormai Bertram non ha più freni. Esce dalla sua bocca un muggito quasi ininterrotto, che, poi decresce quando il tempo da eseguire “piano” volge finalmente al termine. Dopo di che Bertram trangugia tutto quel succo di eucalipto, e il suo pomo d’Adamo va su e giù come un ascensore molto veloce.
Il tremendo è che Bertram, con la sua tosse, sembra chiamare in lizza gli altri nevrotici più o meno latenti. Come cani che si riconoscano al latrato, quelli gli rispondono da ogni lato della sala. E, cosa strana, io stesso, che di solito non mi raffreddo mai e ho tutt’altro che i nervi scossi, io stesso, quando più a lungo dura il concerto, sento una voglia sempre più irresistibile di tossire. Sento che le mani mi s’ inumidiscono, che un crampo interno mi afferra. E a un tratto so che ogni sforzo è inutile, so che dovrò tossire. Mi sento raschiare in gola, non riesco più a respirare, sono in un bagno di sudore, il mio spirito è fuori servizio e la mia anima è piena d’angoscia esistenziale. Comincio a sbagliare la respirazione, tiro fuori il fazzoletto, nervoso, per premerlo contro la bocca in caso di emergenza, e ormai non ascolto più il concerto, ma l’abbaiare nevrotico di questi ipersensibili che da un momento all’altro sono stati fatti scendere in lizza.
Poco prima dell’intervallo mi accorgo che l’infezione nevrotica ha ormai toccato il fondo. Non resisto ormai più e comincio a emulare Bertram, arrivo tra un colpo di tosse e l’altro sino all’inizio della pausa, poi corro al guardaroba appena iniziano gli applausi. Marcio di sudore, scosso da convulsioni, corro all’aperto passando davanti al portiere.
Ciascuno capirà che ho cominciato a rifiutare con cortese fermezza gli inviti di Bertram. Solo di tanto in tanto partecipo con lui a qualche manifestazione culturale: quando sono sicuro che in orchestra prevalgano gli ottoni o che cori maschili intonino canti come “Il rombo del tuono” o “La slavina”, composizioni insomma dov’è garantita una certa quantità di “fortissimi”. Però è proprio questo tipo di musica che mi interessa meno.
Non ha senso che i medici vogliano convincermi che è un fenomeno nervoso, per cui basta che faccia uno sforzo di volontà. Lo so che è un fenomeno nervoso, ma il fatto è che i miei nervi mi tradiscono quando sto vicino a Bertram. E non c’è sforzo di volontà che tenga. Non ce la faccio proprio. Si vede che stava scritto in cielo che come sforzi di volontà sarei sempre stato una frana.
Adesso scorro con tristezza i programmi delle società di concerto. Non posso accettare le loro gentili offerte, perché so che sarà presente anhe Bertram. E appena avrò sentito la sua prima raschiatina di gola, non riuscirò più a controllarmi.”

Heinrich Boll

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