Nell’anno del Signore di Magni Luigi film completo

Magni Luigi

Nell’anno del Signore

Mar, 29/08/2006 – 14:05 — Léon

“L’unica è volesse bene”. “Ma in un mondo cosi?” .“Ma proprio perché il mondo è cosi… l’ideale è volesse bene in due”

1825. Nella Roma oppressa dal dominio di Papa Leone XII una dozzina di carbonari si sta organizzando per progettare l’insurrezione. Voce del popolo è Pasquino, figura sfuggente che nessuno ha mai visto in volto, che cerca di scuotere le coscienze con i suoi  sarcastici epigrammi per lettera, adagiati sulla statua di Marco Aurelio o marchiati a inchiostro sui muri della città: nessuno immagina che il ciabattino Cornacchia (Nino Manfredi), fattosi credere analfabeta, sia in realtà la spina nel fianco dell’incontrastato potere del Cardinale Rivarola (Ugo Tognazzi). Cornacchia, dato il mestiere praticato, si viene a trovare spesso a contatto coi potenti: con la scusa di una palesata quanto fasulla ignoranza, carpisce parole e segreti dell’autorità costituita. Ma ha un punto debole: l’amore per una bella e giovane giudea (Claudia Cardinale). Pur avendo scelto il verbo – e il verso, la rima – come unica arma di suggestione collettiva, si trova, per coscienza e suo malgrado, ad aiutare due carbonari che decidono per l’assassinio d’un traditore della causa. L’assassinio fallisce, e il traditore, ferito, al risveglio da una situazione paradossale (il tutto avviene in un letto, a cielo aperto, in una piazza, tra la notte e le prime luci del mattino, con le guardie del papa e i due potenziali colpevoli trattenuti in attesa), fa i nomi degli attentatori: Leonida Montanari e Angelo Targhini – i due sventurati carbonari – vengono condannati a morte dal Cardinale senza processo alcuno. La giovane giudea è innamorata di Montanari, e Cornacchia, dopo un primo momento di naturale e inevitabile gelosia, è ispirato da un improvviso quanto sincero atto d’amore. Propone al vescovo uno scambio: la vera identità di Pasquino per la vita del carbonaro. Sua Eminenza, però, avendo intuito che Cornacchia è molto di più di ciò che vuole apparire, consegna al ciabattino una lettera che, invece di contenere parole di clemenza per il Montanari, ordinava di arrestare colui che la consegnava. Compresosi scoperto, e non ricambiato nell’amore, Coranacchia-Pasquino ha un’ultima geniale intuizione: lasciare gli ultimi corrosivi versi – affidati ad un possibile successore (un giovanissimo Pippo Franco) – all’alba di una consapevolezza: a quelli come lui li frega il cuore. Per combattere il potere non si può essere più sentimentali. Bisogna guardarlo in faccia e non averne pietà. Insinuandosi tra le sue fila: entrerà in un convento di frati. Intanto, Leonida e Angelo vengono giustiziati, tra l’euforia del popolo, in trepida attesa per uno spettacolo di piazza che lo ridestasse dal torpore.
Primo film di una ideale trilogia sulla Roma prerisorgimentale, Nell’anno del Signore porta alla ribalta un regista romano di indubbia sensibilità e di idee anticlericali quale si è rivelato essere nel tempo Luigi Magni. Magni ci parla con nostalgica malinconia di una Roma che non c’è più in cui il popolo, pur se dominato e oppresso, rappresentava ancora il fulcro e il cuore del suo sistema di vita. Nostalgia, come evidente, non del potere temporale del Papa, avversato e messo alla berlina con burloneria e sarcasmo, ma di una città in cui i vicoli e le piazze ancora parlavano alla gente. Non a caso Pasquino lascia le sue lettere sulla statua di Marco Aurelio, che si anima e si fa coscienza dello sdegno popolare, che strizza l’occhio ai carbonari i quali cantano inni alla libertà, che impera nella notte dove il coprifuoco invita a segrete cospirazioni. La ricostruzione storica del regista romano – di fatti totalmente ignorati dai libri di storia – è veramente all’altezza e offre degna cornice alle prove di attori ispirati ed in parte. Uno splendido Nino Manfredi, valorizzato come non mai proprio da Magni (vedere anche la sua superba prova nel successivo In nome del Papa Re), si erge su la pur valente compagnia, costruendo il suo personaggio con impressionante naturalezza, affidata a splendidi assoli di filosofia e saggezza popolare. I duetti con Tognazzi, in un’atmosfera dall’apparenza reverenziale, sono aperte e sottilissime sfide nelle quali, se Cornacchia sembra soccombere, Pasquino, suo alter ego, è invece l’unico a tener testa al Cardinale. Perché Pasquino, alla conclusione della vicenda, è più che mai convinto che: “ de teste ne poi tajà quante te ne pare. So le lingue che contano”. Gli ultimi versi che Pasquino regala alla sua città prima di confondersi e mimetizzarsi tra le pieghe del potere saranno i più misteriosi ed enigmatici mai scritti. Sono versi che, messa al bando l’umana pietà, cominciano a ragionare con spirito realmente rivoluzionario: i caduti carbonari sono martiri. La loro morte è, nonostante tutto – nonostante l’amore, l’amicizia, il dolore -, la scintilla che può rianimare e risvegliare il popolo: è il fuoco che attende di ardere da sotto le ceneri.
Lo stile con cui Luigi Magni comincia a caratterizzare i suoi film in costume sulla Roma papalina è sempre attento a dosare ilarità, sarcasmo e senso del dramma. Per farlo sceglie attori che hanno nelle loro corde un bagaglio universale, ancorché tutti protagonisti della brillante stagione della commedia all’italiana: Manfredi, Tognazzi, Claudia Cardinale, Enrico Maria Salerno e, in ultimo non ultimo, Alberto Sordi. Anch’egli in una parte su misura, nei panni di un frate confessore pronto a donar conforto ai condannati a morte. Farà di tutto per convincerli al pentimento, ma senza successo. Egli è un puro, un vero credente, ancorché consapevole di una Chiesa in cui l’obbedienza è cieca in tutti i sensi e la fede ha sempre ragione, soprattutto quando ha torto. Pure il frate, in fondo, è un perdente; anche lui muore un po’ con loro quando il Cardinale gli impedisce una improbabile redenzione dei condannati che non aveva senso neanche più per la forma, ma che avrebbe dato pace se non alle anime di Angelo e Leonida, quantomeno a quella di un frate che aveva fallito la sua missione.
Nel complesso, Nell’anno del Signore è una pellicola che attraversa degnamente un periodo fiorente e prolifico del cinema italiano, iscrivendo Luigi Magni tra i maestri della commedia a respiro nazionale. Perché, probabilmente, è vero che un romano può amare e sentire i suoi film come nessun altro italiano, ma Roma è città che è storia, bellezza e memoria, poesia, impero e rivoluzione. I suoi monumenti, le sue piazze, le sue vie e i suoi vicoli parlano un linguaggio universale: una sorta di esperanto che non ha bisogno di parole. Basta guardarla una volta e ce se ne innamora per sempre.
Curiosità: Ai due carbonari caduti in nome della libertà, Roma ha dedicato una targa a Piazza del Popolo. David di Donatello a Nino Manfredi come miglior attore protagonista.
Regia: Luigi Magni. Soggetto e sceneggiatura: Luigi Magni. Direttore della fotografia: Silvano Ippoliti. Montaggio: Ruggero Mastroianni. Scenografia: Carlo Egidi. Costumi: Lucia Mirisola. Interpreti principali: Nino Manfredi, Enrico Maria Salerno, Claudia Cardinale, Robert Hossein, Renaud Verley, Britt Ekland, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Pippo Franco, Stefano Oppedisano, Stefano Riva, Franco Abbina, Maria Cristina Farnese. Musica: Armando Trovajoli. Produzione: Bino Cicogna per San Marco, Les Films Corona, Francos film. Origine: Italia / Francia, 1969. Durata: 115 minuti.
Léon, Agosto 2006.

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