Corrado Alvaro, “L’età breve”

A vrascera.: 135 Corrado Alvaro: L’età breve (Bompiani, 1946)

Alvaro Corrado

L’età breve

Dom, 16/08/2009 – 18:40 — Movida

Da grande, Rinaldo Diacono voleva fare il poeta. Rispondeva così ad uno zio venuto da lontano, in cerca di un prestito presso la famiglia. Ridevano tutti all’espressione dell’innocente sogno d’infanzia e “parlavano di lui all’infinito, ed egli aveva l’impressione che possono provare gli agnelli quando si prendono in braccio e se ne sente il peso. Erano discorsi su quello che egli avrebbe fatto da grande, mentre egli non voleva mai diventare grande, sarebbe rimasto piccolo, essi non lo sapevano. Egli guardava gli uomini come esseri di un altro regno, simili alle montagne e agli alberi. Da essi dipende la vita dei ragazzi, da essi di un’età irraggiungibile, alla quale non si arriverà mai, perché tutto è eterno nell’infanzia, anche i vecchi, anche la morte” (pag.5).

Rinaldo conosceva i poeti del suo paese, il pellaio e il calzolaio, che si trasformavano svuotandosi delle grandi parole dettate da una divinità interiore davanti ai ricchi e potenti del paese. Questi ultimi non parlavano, limitandosi ad assentire e a sorridere della magnificenza dell’eloquenza nei brevi intermezzi dovuti loro durante una festa o una cerimonia, tranquillizzati dalla breve durata di quella posizione che ben presto sarebbe tornata di molto inferiore alla loro.

Rinaldo era in quella fase di età che gli permetteva di star seduto tra gli uomini che banchettavano, lontano dalle zone riservate alle donne. Eppure le osservava ancora, con timidezza e curiosità, assorte come erano a preparare le portate, ridanciane e sorridenti alle parole dei poeti, serie e riservate durante le libagioni, lasciando alle ragazze di una certa razza, come l’Antonia, il compito di servire tra gli uomini.

Il sogno di Rinaldo era poca cosa agli occhi del padre Filippo che un giorno gli annuncia il  trasferimento in un collegio nei pressi di Roma, com’era consuetudine dell’epoca.

Rinaldo deve abbandonare i giochi, le corse e i patti segreti con gli amici di Corace, il paese natio, perché il padre lo vuole dottore, occhialuto e potente da permettersi di dare del “tu” a tutti. È la voglia di un riscatto sociale che preme più forte delle esigenze del piccolo Rinaldo, neppure interrogato sul suo futuro. È la voglia di destare l’invidia e, quindi, il rispetto della popolazione di Corace che porta il padre ad accompagnare Rinaldo in giro per farsi omaggiare dai compaesani, mentre la madre lo implora di farlo partire in silenzio, per non destare turbamenti e gelosie che avrebbero portato solo sfortuna a quel povero figlio di cui ignoravano entrambi il destino. Il padre Filippo non sente ragioni; è così infervorato e sicuro da affermare “e se non riesce, poi, è meglio che non torni mai da queste parti. È meglio che si consideri morto” (pag.17).

E così Rinaldo inizia una complessa e tormentata esistenza agli studi nella scuola gestita dai preti dove, tra repressione e malizia, lo costringono a togliersi dalla mente qualsiasi istinto libertario. Il rettore, meschino e cattivo, lo rimprovera incessantemente, riconoscendo in lui la modesta condizione economica a cui non riconduce alcuna possibilità di crescita umana o culturale. Rinaldo vive nel disagio delle costrizioni scolastiche che gli impediscono di  approfondire certe tematiche che, all’epoca, in quella condizione, erano considerate proibite. Eppure, di nascosto, riesce a procurarsi il materiale che gli necessita per leggere e studiare quello che la scuola non può e non vuole insegnargli.

Ciò che lo turba nel profondo è il divieto assoluto del contatto con il genere femminile, considerato impuro ed inferiore, ricettacolo di tutte le malvagità del mondo. È confuso e stordito al ricordo di quello scorcio di sensibilità femminile che sentiva emergere in lui da piccolo e che gli faceva avvicinare il sesso femminile, negli animali come negli umani: “in tutte aveva sentito una scontrosa malinconia e il sentimento fisso dei loro nati. Gli erano parse infelici perché non si potevano difendere” (pag. 54). Ed è a quel punto che Rinaldo non può che rimanere dolorosamente colpito dallo scoprire, prima di ogni altra figura, che la mamma, la sua adorata e pietosa mamma, era “inferma senza rimedio per una maledizione: vaso di impurità. Ora ne era separato, non le apparteneva più” (pag. 53). Era questo che gli insegnavano in collegio, in contrasto con la sua natura poetica e rispettosa.

Corrado Alvaro riporta qui la magia delle donne dei suoi ricordi, a partire da quella madre, infelice e sottomessa in un mondo di uomini che non riconoscevano loro lo status di esseri umani. Sensibile com’era non poteva che dedicare pagine tra le più belle ed intense che il genere femminile abbia mai potuto apprezzare, prive di malizia o leziosità, ma gratificate da un vivo sentimento di amorosa fratellanza.

In ogni fase del suo complesso percorso formativo, Rinaldo è accompagnato da una figura femminile che lo inquieta e lo placa allo stesso tempo, in un patto solidale contro la famelica figura paterna che riversa su quell’unico figlio maschio le miserie e le speranze di tutta una vita di soggezione (figura che in collegio sarà sostituita dal rettore): prima la madre e, all’affacciarsi dell’adolescenza, da Amanda, la ragazzina “nemica dell’uomo” (pag.90) che aveva scorto una sera dalla finestra del collegio e a cui aveva assegnato quel nome spinto dal “bisogno di amare qualcuno” (pag. 90), un “refrigerio al suo pensiero stanco di fantasticare cosa fosse il peccato” (pag.90); Antonia, la prostituta del paese e, quindi, Mastrangelina, la furba e testarda sorellastra, lo accompagneranno nella fase più adulta. Anche Luisella, un compagno di studi, nel cui cognome riconosceva un’indubbia appartenenza al genere femminile, lo aveva, per un po’ di tempo consolato, prima di rendersi pienamente conto delle differenze.

Rinaldo è indubbiamente l’alter ego dello scrittore, anch’egli educato in un collegio di preti nei pressi di Roma da cui venne espulso per le letture proibite a cui si dedicava. Letture che potevano essere fonte di scoperta e, quindi, di apprendimento invise ad un’educazione rigidamente cattolica.

Rinaldo dunque viene cacciato via dalla scuola con grande amarezza del padre che non può e non vuole accettare quell’impossibile destino. Filippo Diacono ravvisa nella menzogna l’unica via per salvare le apparenze, per dignità a quella sua speranza ormai distrutta. Rinaldo viene costretto ad indossare spessi occhiali e una tuba che lo falsano nel fisico e nello spirito, nel girare per il paese rispondendo in latino a notabili e chierici che riconoscono in lui il dottorino, speranza fallita del padre. Ciò che conta è l’apparenza, prima che la sostanza e Rinaldo non riesce a ricordare una vita diversa da quella a cui il padre lo costringe. Ma è il ritorno a Corace che progressivamente insinuerà in Rinaldo l’istinto alla ribellione. Prima il contatto con Antonia e poi con Mastrangelina che, in cambio di una vita di privazioni affettive, chiede al padre naturale trecento lire per costruirsi un’idola (si nota la scelta del genere femminile), smuovono la sua istintività fino a riscoprire completamente la benevolenza della natura: “buttandosi sulla terra, egli la sentì sobbalzare come un ventre, e ricordandosi che la terra si muove, egli ne sentiva i movimenti nello spazio vertiginoso. Vi si coricò sopra, sentendo salire l’esalazione della natura. Era una voluttà spaventosa, che si andava cercando la sua strada in un mondo dove le valli potevano essere godute soltanto dagli alberi grandi, potenti, forti. Egli non la poteva abbracciare tanto era enorme, e vi brancicava sentendola inesauribile” (pag. 241).

La potenza della natura rende l’uomo libero dalla finzione, dalla menzogna del legame sociale ed è questo il messaggio finale di Corrado Alvaro che, con questo lirico ed intimista romanzo, inizia il ciclo di memorie del mondo sommerso che troverà la sua naturale continuazione in “Mastrangelina”. La libertà di Rinaldo/Alvaro è in quella natura – madre che lo rende uomo, che lo spinge a fuggire, lasciando la costrizione per salvarsi, in cerca di una realizzazione del suo essere più puro attraverso la poesia e la letteratura.

Edizione esaminata e brevi note

Corrado Alvaro (San Luca 15 aprile 1895 – Roma 11 giugno 1956), scrittore, poeta, sceneggiatore e giornalista italiano. Insieme a Libero Bigiaretti e Francesco Jovine fondò il Sindacato Nazionale Scrittori.

Corrado Alvaro, “L’età breve”, Bompiani, Milano, 1977.

Prima edizione: 1946.

Movida, 16 ag 2009

http://www.lankelot.eu/letteratura/alvaro-corrado-l-eta-breve.html



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