ZIBALDONE (pagg 2300-2999)

29. Dic. 1821.)

Ho detto altrove che gli antichi (e ciò per natura) consideravano il forestiero come naturalmente ed essenzialmente diverso dal paesano, e come ente d’altra natura. Quindi è ch’essi si difendevano da’ forestieri o gli assaltavano, come facevano colle bestie, cogli animali o colle cose d’altra specie, se non quanto ponevano maggior gloria nel vincer gli uomini, come vittoria più difficile. Ma la guerra nell’antica e primitiva idea non differiva o punto o quasi punto dalla caccia, (come non differisce presso i selvaggi). Quindi non quartiere, non pietà, non magnanimità (che allora non si credeva aver luogo col nemico), non perdono col vinto; quindi [2306]ostinazione, risolutezza di non cedere, (e come avrebbero voluto sottostare al governo di animali, di fiere ec.? come dunque a quello di uomini creduti d’altra specie?) disperazione di esser vinto, schiavitù, depredamenti, incendi, distruzioni degli alberghi e dei paesi, delle sostanze e delle persone dei vinti; quindi tutti gli altri effetti dell’antico odio nazionale, che altrove ho specificati, e che sono parimente moderni nei selvaggi, barbari ec.

 

29. Dic. 1821.)

Alla p.1283. principio. Io sospetto di aver trovato effettivamente questa radice hil nell’antichissimo latino. Osservate. Nihilum, è quasi ne hilum, dice il Forc. e seco gli etimologi. V. anche il Forcell. in Per hilum. E non v’è questione perocchè Lucrezio dice neque hilo ec. rompendo il composto, in vece di nihiloque, come solevano gli antichi latini, massime i poeti, (come Plauto disque trahere per et distrahere) e questi anche a’ buoni secoli: e così i greci. Nè solo Lucrezio ma altri che v. nel [2307]Forc. in Hilum. Della particella privativa ne (cambiata nella composizione in ni) vedi il Forcell. in ne, e in nego. Potrebbe anche essere un nec, come necopinans ec. significa non opinante ec. e il nec non è che particella privativa come l’Ž dei greci. V. anche lo Scapula in n¯, particella parimente privativa nell’antichissimo greco, del che v. pure Helladii Besantinoi Chrestomathia, colle note del Meursio.

(Nel qual proposito osservo di passaggio. La n è radicale e caratteristica della negativa in latino, e così pure per conseguenza in italiano. Quindi non, ne, nec, neque, (v. il Forcell.) nihil, nil, nemo, nullus cioè non ullus, come pure si dice, nego, nefas, nequam, nepus cioè non purus, nolo, nequeo, nequicquam, nedum, nequaquam ec. de’ quali v. il Forcell. ed osserva la forza e l’uso della particella ne in composizione. Non così nel linguaggio greco dei buoni secoli. Giacchè oé, oéx, oék, m¯, Ž ec. non hanno n. [2308]Eppure nell’antichissimo greco è chiaro per le sullodate testimonianze, e per l’uso di Omero ec. che la n avea forza di negazione, privazione, ec. Ecco un’altra prova e della fraternità antichissima delle dette due lingue, e dell’esser forse qualche cosa passata piuttosto dal latino nel greco, che viceversa; o certo dell’avere la lingua latina conservate assai più della greca le sue antichissime ed originarie proprietà. E notate che trattandosi della caratteristica negativa, si tratta di cosa primitiva affatto, e di primissima necessità in qualunque lingua.)

Nihilum pertanto è ne hilum, come nemo, ne homo, e v. il luogo di Varrone nel Forcell. in Nequam.

Che cosa significasse questo hilum, antichissima voce latina, non sanno affermarlo i gramatici. Putant esse, dice Festo, quod [2309]grano fabae adhaeret. Dunque egli non sa propriamente che significhi, nè si sapeva al suo tempo. Ed è cosa ben naturale quando tante parole di Dante e d’altri trecentisti o duecentisti (meno lontani da noi, che le origini della lingua latina da Festo) sono o di oscurissima e incertissima, o di perduta significazione.

Io credo che esso non significhi altro che materia, o cosa esistente (che per li primitivi uomini non poteva essere immaginata se non dentro la materia, ed estendi questo pensiero.). E penso che sia nè più nè meno l’ìlh dei greci, ossia quell’antichissimo hilh o hulh che abbiamo detto.

Vogliono che nihil, sia troncamento di nihilum. Al contrario a me pare che nihilum sia parola così ridotta da nihil, perchè divenisse capace di declinazione. Che troncamento barbaro sarebbe stato questo, e quanto contrario al costume latino, se da nihilum primitivo, avessero fatto nihil! e non piuttosto viceversa, [2310]che è naturalissimo. Addolcendosi la favella (massime quelle del gusto meridionale, del gusto della latina) non si troncano, anzi si aggiungono appunto allora le terminazioni, e si proccura inoltre di render declinabili, cioè modificabili secondo le diverse occorrenze del discorso, le voci che già esistono; e non per lo contrario. Indubitatamente per tanto non nihil da nihilum, ma questo viene da quello. Si dice parimente nil contrazione di nihil, (fatto più volte monosillabo da Lucrezio) ma nilum per nil si trova in Lucrezio appena una volta, e chi sa s’è vero, e che non sia errore in vece di nihilum dissillabo. In ogni modo è costante presso il più sciocco etimologo che le terminazioni non vanno calcolate, ed è chiaro che le sole radicali di nihilum, i, o, ec. sono nihil; di hilum, hil. E di questo secondo, la cosa è tanto più manifesta, quanto che abbiamo appunto da esso, nihil, e nil, senza la terminazione declinabile.

Eccoci dunque con questo hil nudo e manifesto nelle mani, e se attenderete alle [2311]cose dette di sopra, e se avrete niente di spirito filosofico, vedrete quanto sia naturale e probabile che siccome ne homo cioè nemo, vuol dire nessuna persona, così ne hil cioè nihil volesse dire primitivamente nessuna materia, cioè nessuna cosa (v. p.2309. mezzo, e i miei vari pensieri sulla necessaria e somma materialità di tutte le primitive lingue, e di tutte le primitive idee umane, anzi non pur delle primitive, ma di tutte le idee madri ed elementari); ovvero non materia, non cosa, cioè, insomma, e formalmente ed espressamente, nulla. (Così i greci oéd¢n neque unum ec. non quidquam mhd¢n, oëti, m®ti ec.)

Non vi par ella naturalissima questa etimologia? Non vi par dunque probabilissimo che l’antico e quasi ignoto hilum volesse dir materia, e fosse tutt’una radice con ìlh e silva adoprata pur essa in senso di materia? Non è chiaro che l’um in hilum non è radicale, ma declinabile ec. e per conseguenza la radice è solamente hil, massime che da hilum abbiamo nihil e nil, parole inverisimili, [2312]e strane e mostruose se fossero un’apocope ec.? Non abbiamo dunque probabilmente trovato in realtà nell’antichissimo latino la semplicissima radice di silva? di ìlh, ec.?

Osservate che in questo caso si renderebbe verisimile che il primitivo e proprio senso di ìlh silva ec. fra quelli ch’essi realmente hanno, fosse quello di materia.

Non so se possa fare al caso l’osservare che noi diciamo filo per nulla, il che potrebbe derivare non da filum da hilum, mutato l’h in f, come viceversa gli spagnuoli, onde appunto per filum dicono hilo. E ricordati di quanto ho detto circa l’antica proprietà della f, cioè di essere aspirazione. Del resto v. la Crusca, il Glossar. i Diz. franc. e spagn. ec. e il Forc. in filum, se avesse nulla.

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