Ficciones, por Jorge Luis Borges – Free-ebooks ; ” La lotteria di Babilonia” – “Las Ruinas Circulares”, pdf

« M’inganneranno, forse, la vecchiaia e il timore, ma sospetto che la specie umana – l’unica – stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta. »

Ficciones, por Jorge Luis BorgesFreeebooks.net

Genesi dell’opera

Finzioni è suddivisa in due parti, intitolate rispettivamente Il giardino dei sentieri che si biforcano e Artifici. La prima parte è stata pubblicata a parte nel 1941; Artifici nel 1944. Numerosi racconti erano stati pubblicati singolarmente in precedenza sulla rivista letteraria Sur. Le due parti furono riunite parzialmente nel 1944 dalle edizioni Sur di Buenos Aires e infine nel 1955, nella versione definitiva, a costituire il V volume delle “Obras completas” di Borges pubblicate dell’editore Emecé di Buenos Aires[1].

Il giardino dei sentieri che si biforcano

Pubblicata nel 1941 come libro a sé, raccoglie:

Artifici

La seconda parte della raccolta venne completata nel 1944; comprende:

  • Funes, o della memoria
  • La forma della spada
  • Tema del traditore e dell’eroe
  • La morte e la bussola
  • Il miracolo segreto
  • Tre versioni di Giuda

Nell’edizione in spagnolo appaiono inoltre

  • La fine
  • La setta della Fenice
  • Il Sud

http://it.wikipedia.org/wiki/Finzioni

“Finzioni” di Jorge Luis Borges è diviso in due parti: “Il giardino dei sentieri che si biforcano” e “Artifici”. La prima parte contiene otto racconti (Tlon Uqbar Orbis Tertius, L’accostamento ad Almotasim, Pierre Menard autore del Chisciotte, Le rovine circolari, La lotteria a Babilonia, Esame dell’opera di Herbert Quain, La biblioteca di Babele e Il giardino dei sentieri che si biforcano). La seconda parte contiene invece sei racconti (Funes o della memoria, La forma della spada, Tema del traditore e dell’eroe, La morte e la bussola, Il miracolo segreto e Tre versioni di Giuda).

Il racconto a mio parere più affascinante è “La lotteria di Babilonia“, di seguito sommariamente tratteggiato.

A Babilonia si stava diffondendo un curioso gioco, dove dando delle monete di rame si riceveva in cambio un rettangolo d’osso, alla stregua di un tagliando d’oggi, con la speranza di vincere delle monete d’argento, se sorteggiati.

Poi il gioco, evolvendosi, prevedeva l’estrazione di rettangoli d’osso fortunati, ricompensati con premi, e sfortunati che costringevano a pagare una multa (in proporzione uno a trenta). La multa poi non bastava più come esito infausto, ai numeri sorteggiati quindi venivano associati i giorni di prigione da scontare.

Improvvisamente la lotteria poi diveniva segreta, automaticamente senza costo e destinata a tutti, oltre che gestita definitivamente dalla Compagnia. La cosa terribile ora era che l’evento associato a ciascun numero per ogni estrazione -che si teneva tenebrosamente ogni sessanta notti- era tremendo (un danno grave, una ferita, addirittura la morte), piuttosto che bellissimo (avere in dono i poteri della magia, ammaliare la donna desiderata, e cosi’ via).

Ma cosa simboleggia questa nuova versione della lotteria, se non il fato con il quale ci confrontiamo ogni giorno, e chi compone la Compagnia, cosi’ smisuratamente potente? Semplicemente indimenticabile.

Recensione di Pierandrea Formusa

Nella premessa dell’autore:

“L’ottavo racconto, ‘Il giardino dei sentieri che si biforcano’ è un poliziesco, gli altri sono fantastici, simbolici”

Borges si compiace di scrivere su libri immaginari articoli brevi a fronte di altri che hanno scritto moltissime pagine quando potevano risparmiarsi con un riassunto o un commentario.

I racconti di Borges non possono essere riassunti secondo il senso comune della narrazione, siamo su piani di livello altissimi e i contenuti sono come scatole cinesi che racchiudono tesori. In Borges la fantasia, l’immaginazione danno vita a personaggi deprivati di note biografiche, ma con propositi impossibili o soprannaturali, progetti magici che esauriscono lo spazio della propria anima; scaturiscono paesaggi indefiniti dalle caratteristiche universali che si rispecchiano e si rinfrangono in schegge di luce. La scrittura borghesiana è poesia allo stato puro, così faconda, ricercata ed effusiva che suscita incanto e stupore in chi legge; il pensiero, l’analisi, l’invenzione sono la normale respirazione della sua intelligenza, la sua letteratura si fa metafisica e la filosofia in lui si trasmuta in un gioco dialettico o in sofismi concatenati come frammenti di uno stesso elemento. La narrazione è un moltiplicarsi di espressioni, un indefinito fluire della memoria che si sperde in meandri labirintici, regno di specchi e falsi piani, non segue percorsi orizzontali e dunque sequenze temporali ordinate: citazioni dotte, letture rare e misconosciute o inventate, teorie filosofiche, scientifiche, ci rapiscono e non sempre la bussola dell’orientamento ci aiuta. Le parole stesse hanno un intrinseco valore metaforico, le voci neologiche non ancora consacrate dall’uso sono impiegate in modo temerario e non tutti gli intendimenti di affabulazione sono comprensibili. Borges è scrittore poliedrico e multiforme: non solo modella una forma forbita ed estremamente limata, ma contiene nella materia narrativa, impressa, una pluralità argomentativa con tutte le permutazioni possibili. Borges informa le sue opere di una soggettività indivisibile con altri autori e le sue storie assumono dimensioni atemporali.

http://www.sololibri.net/Finzioni-di-Jorge-Luis-Borges.html

“Noi scaviamo il pozzo di Babele.” Franz Kafka

” Tu che mi leggi, sei sicuro d’intendere la mia lingua? Jorge Luis Borges.

L’universo (che altri chiamano “la Biblioteca”) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella d’una biblioteca normale. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un’altra galleria, identica alla prima e a tutte. A destra e a sinistra del corridoio vi sono due gabinetti minuscoli. Uno permette di dormire in piedi; l’altro di soddisfare le necessità fecali. Di qui passa la scala spirale, che s’inabissa e s’innalza nel remoto. Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze. Gli uomini sogliono inferire da questo specchio che la Biblioteca non è infinita (se realmente fosse tale, perché questa duplicazione illusoria?) io preferisco sognare che queste superfici argentate figurino e promettano l’infinito… La luce procede da frutti sferici che hanno il nome di lampade. Ve ne sono due per esagono, su una traversa. La luce che emettono è insufficiente, incessante.

Come tutti gli uomini della Biblioteca, in gioventù io ho viaggiato; ho peregrinato in cerca di un libro, forse del catalogo dei cataloghi; ora che i miei occhi quasi non possono decifrare ciò che scrivo, mi preparo a morire a poche leghe dall’esagono in cui nacqui. Morto, non mancheranno mani pietose che mi gettino fuori della ringhiera; mia sepoltura sarà l’aria insondabile; il mio corpo affonderà lungamente e si corromperà e si dissolverà nel vento generato dalla caduta, che è infinita. Io affermo che la Biblioteca è interminabile. Gli idealisti argomentano che le sale esagonali sono una forma necessaria dello spazio assoluto o, per lo meno, della nostra intuizione dello spazio. Ragionano che è inconcepibile una sala triangolare o pentagonale. (I mistici pretendono di avere, nell’estasi, la rivelazione d’una camera circolare con un gran libro circolare dalla costola continua, che fa il giro completo delle pareti; ma la loro testimonianza è sospetta; le loro parole, oscure. Questo libro ciclico è Dio.) Mi basti, per ora, “ripetere la sentenza classica: «La Biblioteca è una sfera il cui centro esatto è qualsiasi esagono, e la cui circonferenza è inaccessibile».

A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali; ciascuno scaffale contiene trentadue libri di formato uniforme; ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina, di quaranta righe; ciascuna una riga, di quaranta lettere di colore nero. Vi sono anche delle lettere sulla costola di ciascun libro; non, però, che indichino o prefigurino ciò che diranno le pagine. So che questa incoerenza, un tempo, parve misteriosa. Prima d’accennare alla soluzione (la cui scoperta, a prescindere dalle sue tragiche proiezioni, è forse il fatto capitale della storia) voglio rammentare alcuni assiomi.

Primo: La Biblioteca esiste ab aeterno. Di questa verità, il cui corollario immediato è l’eternità futura del mondo, nessuna mente ragionevole può dubitare. L’uomo, questo imperfetto bibliotecario, può essere opera del caso o di demiurghi malevoli; l’universo, con la sua elegante dotazione di scaffali, di tomi enigmatici, di infaticabili scale per il viaggiatore e di latrine per il bibliotecario seduto, non può essere che l’opera di un dio. Per avvertire la distanza che c’è tra il divino e l’umano, basta paragonare questi rozzi, tremuli simboli che la mia fallibile mano sgorbia sulla copertina d’un libro, con le lettere organiche dell’interno: puntuali, delicate, nerissime, inimitabilmente simmetriche.
Secondo: Il numero dei simboli ortografici è di venticinque (*). Questa constatazione permise, or sono tre secoli, di formulare una teoria generale della Biblioteca e di risolvere soddisfacentemente il problema che nessuna congettura aveva permesso di decifrare: la natura informe e caotica di quasi tutti i libri. Uno di questi, che mio padre vide in un esagono del circuito quindici novantaquattro, constava delle lettere M C V, perversamente ripetute dalla prima all’ultima riga. Un altro (molto consultato in questa zona) è un mero labirinto di lettere, ma l’ultima pagina dice:

-Oh tempo le tue piramidi!

E ormai risaputo: per una riga ragionevole, per una notizia corretta, vi sono leghe di insensate cacofonie, di farragini verbali e di incoerenze. (So d’una regione barbarica i cui bibliotecari ripudiano la superstiziosa e vana abitudine di cercare un senso nei libri, e la paragonano a quella di cercare un senso nei sogni o nelle linee caotiche della mano… Ammettono che gli inventori della scrittura imitarono i venticinque simboli naturali, ma sostengono che questa applicazione è casuale, e che i libri non significano nulla di per sé. Questa affermazione, lo vedremo, non è del tutto erronea.)

Per molto tempo si credette che questi libri impenetrabili corrispondessero a lingue preterite o remote. Ora, è vero che gli uomini più antichi, i primi bibliotecari, parlavano una lingua molto diversa da quella che noi parliamo oggi; è vero che poche miglia a destra la lingua è già dialettale, e novanta piani più sopra è incomprensibile. Tutto questo, lo ripeto, è vero, ma quattrocentodieci pagine di inalterabili M C V non possono corrispondere ad alcun idioma, per dialettale o rudimentale che sia. Alcuni insinuarono che ogni lettera poteva influire sulla seguente, e che il valore di M C V nella terza riga della pagina 71 non era lo stesso di quello che la medesima serie poteva avere in altra riga di altra pagina; ma questa vaga tesi non prosperò. Altri pensarono a una crittografia; quest’ipotesi è stata universalmente accettata, ma non nel senso in cui la formularono i suoi inventori.
Cinquecento anni fa, il capo d’un esagono superiore (**) trovò un libro tanto confuso come gli altri, ma in cui v’erano quasi due pagine di scrittura omogenea, verosimilmente leggibile. Mostrò la sua scoperta a un decifratore ambulante, e questo gli disse che erano scritte in portoghese; altri gli dissero che erano scritte in yiddish. Poté infine stabilirsi, dopo ricerche che durarono quasi un secolo, che si trattava d’un dialetto samoiedo-lituano del guaranì, con inflessioni di arabo classico. Si decifrò anche il contenuto: nozioni di analisi combinatoria, illustrate con esempi di permutazioni a ripetizione illimitata. Questi esempi permisero a un bibliotecario di genio di scoprire la legge fondamentale della Biblioteca. Questo pensatore osservò che tutti i libri, per diversi che fossero, constavano di elementi eguali: lo spazio, il punto, la virgola, le ventidue lettere dell’alfabeto. Stabilì, inoltre, un fatto che tutti i viaggiatori hanno confermato: non vi sono, nella vasta Biblioteca, due soli libri identici. Da queste premesse incontrovertibili dedusse che la Biblioteca è totale, e che i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni del venticinque simboli ortografici (numero, anche se vastissimo, non infinito) cioè tutto cioè ch’è dato di esprimere, in tutte le lingue. Tutto: la storia minuziosa dell’avvenire, le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fedele della Biblioteca, migliaia e migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la dimostrazione della falsità del catalogo autentico, l’evangelo gnostico di Basilide, il commento di questo evangelo, il commento del commento di questo evangelo, il resoconto veridico della tua morte, Ia traduzione di ogni libro in tutte le lingue, le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri.

Quando si proclamò che la Biblioteca comprendeva tutti i libri, la prima impressione fu di straordinaria felicità. Tutti gli uomini si sentirono padroni di un tesoro intatto e segreto. Non v’era problema personale o mondiale la cui eloquente soluzione non esistesse: in un qualche esagono. L’universo era giustificato, l’universo attingeva bruscamente le dimensioni illimitate della speranza. A quel tempo si parlò molto delle Vendette: libri di apologia e di profezia che giustificavano per sempre gli atti di ciascun uomo dell’universo e serbavano arcani prodigiosi per il sue futuro.

Migliaia di ambiziosi abbandonarono il dolce esagono natale e si lanciarono su per le scale, spinti dal vano proposito di trovare la propria Vendetta. Questi pellegrini s’accapigliavano negli stretti corridoi, profferivano oscure minacce, si strangolavano per le scale divine, scagliavano i libri ingannevoli nei pozzi senza fondo, vi morivano essi stessi, precipitativi dagli uomini di regioni remote. Molti impazzirono…

Le Vendette esistono (io ne ho viste due, che si riferiscono a persone da venire, e forse non immaginarie), ma quei ricercatori dimenticavano che la possibilità che un uomo trovi la sua, o qualche perfida variante della sua, è sostanzialmente zero.
Anche si sperò, a quel tempo, nella spiegazione dei misteri fondamentali dell’umanità: l’origine della Biblioteca e del tempo. E’ verosimile che di questi gravi misteri possa darsi una spiegazione in parole: se il linguaggio del filosofi non basta, la multiforme Biblioteca avrà prodotto essa stessa l’inaudito idioma necessario, e i vocabolari e la grammatica di questa lingua. Già da quattro secoli gli uomini affaticano gli esagoni.. Vi sono cercatori ufficiali, gli Inquisitori. Li ho visti nell’esercizio della loro funzione: arrivano sempre scoraggiati parlano di scale senza un gradino, dove per poco non s’ammazzarono; parlano di scale e di gallerie con il bibliotecario; ogni tanto, prendono il libro più vicino e lo sfogliano, in cerca di parole infami. Nessuno, visibilmente, s’aspetta di trovare nulla.

– fine della prima parte –

http://www.neteditor.it/content/199854/la-biblioteca-di-babele-di-jorge-luis-borges-prima-parte-versione-imago-litweb

Alla speranza smodata, com’è naturale, successe una eccessiva depressione. La certezza che un qualche scaffale d’un qualche esagono celava libri preziosi e che questi libri preziosi erano inaccessibili, parve quasi intollerabile. Una setta blasfema suggerì che s’interrompessero le ricerche e che tutti gli uomini si dessero a mescolare lettere e simboli, fine a costruire, per un improbabile dono del caso, questi libri canonici. Le autorità si videro obbligate, a promulgare ordinanze severe. La setta sparì, ma nella mia fanciullezza ho visto vecchi uomini che lungamente s’occultavano nelle latrine, con dischetti di metallo in un bossolo proibito, e debolmente rimediavano al divino disordine.

Altri, per contro, credettero che l’importante fosse di sbarazzarsi delle opere inutili. Invadevano gli esagoni, esibivano credenziali non sempre false, sfogliavano stizzosamente un volume e condannavano scaffali interi: al loro furore igienico, ascetico, si deve l’insensata distruzione di milioni di libri. Il loro nome è esecrato, ma chi si dispera per i “tesori” che la frenesia di coloro distrusse, trascura due fatti evidenti. Primo: la Biblioteca è cosi enorme che ogni riduzione d’origine umana risulta infinitesima. Secondo: ogni esemplare è unico, insostituibile, ma (poiché la Biblioteca è totale) restano sempre varie centinaia di migliaia di facsimili imperfetti, cioè di opere che non differiscono che per una lettera o per una virgola. Contrariamente all’opinione generale, credo dunque che le conseguenze delle depredazioni commesse dai Purificatori siano state esagerate a causa dell’orrore che quei fanatici ispirarono. Li sospingeva l’idea delirante di conquistare i libri dell’Esagono Cremisi: libri di formato minore dei normali; onnipotenti, illustrati e magici.

– i Purificatori –

Sappiamo anche d’un’altra superstizione di quel tempo: quella dell’Uomo del Libro. In un certo scaffale d’un certo esagono (ragionarono gli uomini) deve esistere un libro che sia la chiave e il compendio perfetto di tutti gli altri: un bibliotecario l’ha letto, ed è simile a un dio. Nel linguaggio di questa zona si conservano alcune tracce del culto di quel funzionario remoto. Molti peregrinarono in cerca di Lui, si spinsero invano nelle più lontane gallerie. Come localizzare il venerando esagono segreto che l’ospitava? Qualcuno propose un metodo regressivo: per localizzare il libro A, consultare previamente il libro B; per localizzare il libro B, consultare previamente il libro C; e cosi all’infinito… In avventure come queste ho prodigato e consumato i miei anni.
Non mi sembra inverosimile che in un certo scaffale dell’universo esista un libro totale (***); prego gli del ignoti che un uomo – uno solo, e sia pure da migliaia d’anni! – l’abbia trovato e l’abbia letto. Se l’onore e la sapienza e la felicità non sono per me, che siano per altri. Che il cielo esista, anche se il mio posto è all’inferno. Ch’io sia oltraggiato e annientato, ma che per un istante, in un essere, la Tua enorme Biblioteca si giustifichi.

– l’Uomo del Libro –

Affermano gli empi che il nonsenso è normale nella Biblioteca, e che il ragionevole (come anche l’umile e semplice coerenza) è una quasi una miracolosa eccezione. Parlano (lo so) della “Biblioteca febbrile, i cui casuali volumi corrono il rischio incessante di mutarsi in altri, e tutto affermano, negano e confondono come una divinità in delirio”. Queste parole, che non solo denunciano il disordine, ma lo illustrano, testimoniano generalmente del pessimo gusto e della disperata ignoranza di chi le pronuncia.

In realtà, la Biblioteca include tutte le strutture verbali, tutte le variazioni permesse dai venticinque simboli ortografici, ma non un solo nonsenso assoluto. Inutile osservarmi che il miglior volume dei molti esagoni che amministro s’intitolaTuono pettinato, un altro Il crampo di gesso e un altro Axaxaxas mlo.Queste proposizioni, a prima vista incoerenti, sono indubbiamente suscettibili d’una giustificazione crittografica o allegorica; questa giustificazione e verbale, e però, ex hypothesi, già figura nella Biblioteca. Non posso immaginare alcuna combinazione di caratteri

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che la divina Biblioteca non abbia previsto, e che in alcuna delle sue lingue segrete non racchiuda un terribile significato. Nessuno può articolare una sillaba che non sia piena di tenerezze e di terrori; che non sia, in alcuno di quei linguaggi, il nome poderoso di un dio. Parlare è incorrere in tautologie. Questa epistola inutile e verbosa già esiste in uno del trenta volumi del cinque scaffali di uno degli innumerabili esagoni e cosi pure la sua confutazione. (Un numero n di lingue possibili usa lo stesso vocabolario; in alcune, il simbolo biblioteca ammette la definizione corretta di sistema duraturo e ubiquitario di gallerie esagonali, ma biblioteca sta qui per pane, o per piramide, o per qualsiasi altra cosa, e per altre cose stanno le sette parole che la definiscono. Tu, che mi leggi, sei sicuro d’intendere la mia lingua?)

Lo scrivere metodico mi distrae dalla presente condizione degli uomini, cui la certezza di ciò, che tutto sta scritto, annienta o istupidisce. So di distretti in cui i giovani si prosternano dinanzi ai libri e ne baciano con barbarie le pagine, ma non sanno decifrare una sola lettera. Le epidemie, le discordie eretiche, le peregrinazioni che inevitabilmente degenerano in banditismo, hanno decimato la popolazione. Credo di aver già accennato ai suicidi, ogni anno più frequenti. M’inganneranno, forse, la vecchiezza e il timore, ma sospetto che la specie umana – l’unica – stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta.
Aggiungo: infinita.

Non introduco quest’aggettivo per un’abitudine retorica; dico che non è illogico pensare che il mondo sia infinito. Chi lo giudica limitato, suppone che in qualche luogo remoto i corridoi e le scale e gli esagoni possano inconcepibilmente cessare; ciò che è assurdo. Chi lo immagina senza limiti, dimentica che è limitato il numero possibile dei libri. lo m’arrischio a insinuare questa soluzione: La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine (****).

– Fine –

1941, Mar della Plata.

http://www.neteditor.it/content/199914/la-biblioteca-di-babele-di-jorge-luis-borges-seconda-parte-e-fine-versione-imago-litw


Las Ruinas Circulares“, por: Jorge Luis Borges – PDF Gra

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