Genova Opera : – Ceci n’est pas une pipe

Genova Opera : – Ceci n’est pas une pipe

Pubblicato il 6 luglio 2012 da admin

pubblicato lunedì 7 marzo 2005
Sulla tela un’immagine dipinta in modo così verosimigliante da non lasciare dubbi. Rappresenta sicuamente un oggetto chiamato pipa. Una didascalia da abbecedario afferma però che no, Ceci n’est pas une pipe. A questo proposito scrisse il filosofo Michel Foucault nel saggio omonimo: “paragonato alla tradizionale funzione della didascalia, il testo di Magritte è doppiamente paradossale. Si propone di nominare ciò che, evidentemente, non ha bisogno di esserlo (la forma è troppo nota, il nome troppo familiare). Ed ecco che nel momento in cui dovrebbe dare un nome, lo dà negando che sia tale.” La didascalia contesta dunque il criterio di equivalenza tra somiglianza e affermazione e afferma che la pipa del quadro è solo la rappresentazione di un oggetto tangibile che non ha niente a che vedere con essa.
René Magritte (1898-1967), grande protagonista del surrealismo, dipinse più volte durante la sua vita il quadro con la pipa e la sua didascalia; la prima volta nel ’26, l’ultima negli anni ’60. Vari i titoli: dal classico Questo non è una pipa a L’alba agli antipodi, passando per Il tradimento delle immagini e I due misteri. Mentre in alcune versioni il quadro è composto semplicemente dalla realistica raffigurazione di una pipa corredata da una didascalia che contraddice quanto sopra, in altri il motivo appena descritto appare su di un quadro (o una lavagna) appoggiato a un cavalletto mentre in alto aleggia fluttuante una pipa più grande, grigia e indefinita. In questa versione il mistero s’infittisce: cosa significa la grande pipa grigia? Sta a simboleggiare l’idea platonica di “Pipa”, aleggiante nell’iperuranio, o è solo un dispositivo per confondere ancor di più chi guarda? Qual è insomma la vera pipa? Nessuna delle due ovviamente.
Il messaggio di Magritte è infondo abbastanza chiaro, ovvero: attenzione, rappresentazione non significa realtà, l’immagine di un oggetto non è l’oggetto stesso! La pipa del quadro non si può fumare così come le mele delle nature morte non si possono addentare…
Foucault vide nell’arte di Magritte degli elementi ancora più rivoluzionari che nell’astrattismo di Klee o Kandinskj. Apparentemente lontani, i tre artisti hanno in comune- secondo il filosofo- l’aver scardinato il sistema gerarchico, vigente nell’arte, tra realtà, rappresentazione e significato, in particolare Magritte è impegnato a “separare scrupolosamente, crudelmente, l’elemento grafico dall’elemento plastico: se ad essi accade di trovarsi sovrapposti all’interno del quadro, come una didascalia e la sua immagine, è a condizione che l’enunciato contesti l’identità esplicita della figura e il nome che si è pronti a darle”.

Ossessionato dai nomi e dalle cose, Magritte ha molto giocato con le forme e la loro definizione, come in un altro quadro L’uso della parola (1928) in cui due macchie informi quasi identiche portano rispettivamente le didascalie “Corpo femminile” e “Specchio”; un’operazione ironica che vuole esprimere la consapevolezza della discrepanza tra parola e oggetto. Il critico Robert Hughes definì i suoi quadri “istantanee che fotografano l’impossibile… vignette sul linguaggio e sulla realtà, imprigionati nel reciproco annullamento”. Tra i surrealisti il pittore belga si è ritagliato un ruolo a sé: non ne condivise gli eccessi nello stile di vita e anche artisticamente si affidò a uno stile piatto, noioso, di precisa, realistica descrittività. I soggetti dei suoi quadri sono oggetti banali: una mela, un ombrello, una bombetta, dipinti così realisticamente da sembrare usciti da un libro illustrato per ragazzi. Ciò che inquieta e sorprende è la giustapposizione incongrua di essi o l’abisso che si apre improvvisamente negli scenari più rassicuranti e familiari.
La riflessione di Magritte ha aperto a operazioni come quelle dell’artista concettuale Joseph Kosuth (U.S.A. 1945) che nel ’65 espose per la prima volta l’opera Una e tre sedie, l’accostamento di una sedia, una sua fotografia e l’ingrandimento della pagina di un dizionario che ne dà la definizione linguistica. Ed è con Kosuth che si è giunti all’esplicitazione dei quadri con la “pipa” di Magritte. Il cerchio forse si chiude.

http://www.exibart.com/notizia.asp/IDNotizia/12239/IDCategoria/208

SULLA SENTENZA DIAZ

La sentenza per il massacro alla scuola Diaz è l’ennesimo atto di arroganza e prova di forza del potere, ma siamo ben coscienti che la vicenda processuale non potesse finire diversamente. Questa democrazia, infatti, non può difendersi se non con i soliti mezzi: prima reprimere ed opprimere per poi sprezzantemente legittimare se stessi e raccontarla a noi.
I cani da guardia, le cosiddette forze dell’ordine, al G8 non hanno fatto altro che fare quello che fanno sempre con chi non accetta passivamente lo stato di cose presenti (Perugini e compari non fanno i calciatori solo nei grandi avvenimenti…)
Alcuni che gridano oggi “vergogna” possono essere in buona fede, credere che ci possa essere uno “stato di diritto”. Come se qualche magistrato democratico potesse essere la chiave di volta di un sistema basato sullo sfruttamento, come se “diritto” non volesse dire che bisogna tutelare i manifestanti, ma anche chi detiene il potere. E il potere ha mezzi ben precisi e sempre violenti per conservare se stesso.
E proprio così è avvenuto: condannate a pene irrisorie le mele marce (peccato che tutte quelle mele lo siano, perché emanazione di un marciume ben più esteso) da giudici uguali a tutti gli altri, uguali anche a quelli che ogni tanti condannano tangentari o avvelenatori dell’ambiente, per poi comminare anni di galera a chi lotta ed ai proletari costretti a “svoltare” in qualche modo la propria esistenza. Lo stesso pubblico ministero ha dichiarato” Sentenza scontata: quando mai, al mondo, la polizia è stata condannata?”. Erano forse stati condannati i mandanti delle stragi fasciste? I politici collusi con la mafia? Qualcuno,… ogni tanto,… quelli caduti in disgrazia. Del resto I BOIA della legge e i BOIA della schiavitù del lavoro saranno condannati sì, ma a scomparire, solo quando il proletariato sarà padrone del suo destin.
Prevediamo già ora lo stesso copione  per il processo contro i padroni assassini delle Thyssen, del resto per la strage di Bhopal i padroni e la Union Carbide non sono  stati assolti?.

Cosa poteva dunque accadere in una situazione per la prima volta così poco locale, determinata da dettami internazionali, preparata di conseguenza da almeno un anno, qualsiasi fosse la risposta della piazza. Dovevano essere colpiti tutti e così è stato.
La piazza è stata una sorpresa, un’inattesa dimostrazione di affermazione di dignità. Ma quanto è durata?
Le stragi del ’69 erano conseguenza dell’autunno caldo, i carri armati nelle piazze nel ’77 erano proporzionati al fatto che al fuoco si rispondeva con il fuoco. Ogni giorno.
Ma due giorni di piazza calda potevano prevedere una tale risposta?

Ma la cosa più terribile è che moltissimi fra coloro che gridano “vergogna” per questa sentenza hanno fatto i pompieri per tutti questi anni tentando di spegnere ogni scintilla tesa a non dimenticare la grande rivolta dei giorni del G8, a mantenere vive quelle istanze, a tirar fuori dalla galera i manifestanti arrestati. Anzi: proprio sugli arrestati si sono accaniti, li hanno giudicati ancora prima del processo, etichettati, divisi fra buoni e cattivi, e poi costruito fortunate carriere politiche sulla pelle di chi era stato torturato, arrestato, di chi era morto. Carriere politiche peraltro significative solo per i compensi che portano a casa. Ben diverse le loro fortune di “rappresentanza”: scomparsi dal parlamento!

Nessuno si sente coinvolto, solo chi era in piazza o che ci sarebbe andato. Ma nessuno si sente coinvolto nemmeno se vengono comminate multe a chi mangia la pastasciutta in spiaggia, sta seduto sulle panchine pubbliche dopo una “certa” ora, si porta da casa una lattina di birra senza il bicchiere di plastica. Nessuno pensa sia giusto fermarsi a casa in mutua, forse nemmeno in gravidanza, o per accudire bimbi ed anziani. E’ giusto produrre e crepare (ormai non si riesce nemmeno più consumare), stare a casa per pulire e guardare la TV, al mare solo se si hanno i soldi per gabine e ristorante, uscire per andare al cinema e bar.
E al G8 chi glielo ha fatto fare di andarci?

La verità è che c’è qualcosa di terribilmente marcio in questo paese. Crudeltà e ingiustizia, intolleranza e oppressione. E lì dove una volta c’era la libertà di obiettare, di pensare, di parlare nel modo ritenuto più opportuno, lì ora avete censori e sistemi di sorveglianza, che vi costringono ad accondiscendere a ciò.
Com’è accaduto? Di chi è la colpa?
Sicuramente ci sono alcuni più responsabili di altri che dovranno rispondere di tutto ciò; ma ancora una volta, a dire la verità, se cercate un colpevole… non c’è che da guardarsi allo specchio. […] La paura si è impadronita di voi, ed il Caos mentale ha fatto sì che vi rivolgeste all’attuale Alto Cancelliere, Adam Sutler. Vi ha promesso ordine e pace in cambio del vostro silenzioso, obbediente consenso.
(dal film V for Vendetta, USA, 2006)

”Questo non è un pestaggio e nessuno lo ha ordinato”
(Tribunale di Genova)

Spazio di documentazione Il Grimaldello – Genova
L’Avamposto degli Incompatibili – Viterbo

Perinfo: grimaldelloge@libero.it – grimaldello@canaglie.org
huambos@virgilio.it
www.controappunto.org
http://spazio-di-documentazione-il-grimaldello.noblogs.org

25 Novembre 2008

http://www.controappunto.org/documentipolitici/pdiaz.html

IL DITO E LA LUNA, OVVERO: GENOVA E LA LESIONE DELLO STATO DI DIRITTO

Scientifica, tecnica, senza teoremi, è stata definita dalla procura di Genova l’inchiesta che ha mandato agli arresti 23 compagni/e, il 5 dicembre scorso, per i fatti di Genova 2001. Nessuna associazione sovversiva contestata, solo fatti specifici.ma in realtà accuse gravissime di devastazione e saccheggio (pena dagli 8 ai 15 anni) quelle ipotizzate, e soprattutto una interpretazione dilatata del concorso di persone nei reati, che arriva fino alla configurazione di un disegno “collettivo” dei manifestanti che parteciparono alle manifestazioni anti G8 del luglio 2001, di “turbativa dell’ordine pubblico” a Genova. Una città “blindata dalla violenza delle manifestazioni di protesta”, come scrive la gip di Genova nell’ordinanza (!).

L’accusa per il reato di devastazione e saccheggio, che è rimasto tale e quale dalla emanazione del codice Rocco e ripete sostanzialmente la previsione del precedente codice Zanardelli, è significativa.

Si tratta, infatti, di una figura di reato che ha trovato una sua relativamente vasta applicazione negli anni dell’immediato dopoguerra, con giurisprudenza che risale soprattutto al periodo 1946-1950. Non è un caso che il reato abbia avuto come momento di massima applicazione proprio quegli anni. Esso infatti si innesta, si può dire ontologicamente, in momenti e periodi di grosse turbolenze. È impensabile infatti che in una situazione socialmente pacificata, pur se conflittuale, qualcuno devasti o saccheggi: più probabilmente lo stesso fatto in un tale contesto avrà il significato di semplice danneggiamento e semplice furto.

Devastazione e saccheggio prevedono una grossa frattura nell’ordine sociale e si innestano, come si è detto all’inizio, su momenti di ribellione collettiva. Tutto ciò non era presente a Genova in quei giorni e tanto meno nelle giornate precedenti, in cui il presunto “accordo criminoso” per consumare tali reati si sarebbe dovuto raggiungere. Basta pensare a come è stata colorata e pacifica la manifestazione dei migranti del giovedì pomeriggio, alla quale pure hanno preso parte sostanzialmente gli stessi soggetti sociali che sono scesi in piazza la mattina del venerdì.

È vero invece che molti degli atti di danneggiamento e di violenza sono avvenuti come reazioni ad un intervento delle forze dell’ordine – ed in generale ad una gestione dell’ordine nelle strade e nelle piazze – caratterizzato, questo sì, da arbitrio e illegalità contro i manifestanti. Come è possibile parlare di porre in crisi l’ordine pubblico, come si sostiene nell’ordinanza per motivare l’uso di tale reato, quando l’ordine stesso era stato gestito in maniera tale da costituire esso stesso un momento di crisi per la collettività?

Ci si pone questa domanda perché i delitti contro l’ordine pubblico hanno come “soggetto passivo” del reato non una singola specifica situazione sociale, ma l’assetto dell’ordine nell’intero paese. Riguardando all’indietro ai giorni di Genova risulta chiaro che se un momento di crisi vi fu, esso non fu dovuto ai manifestanti, ma alla gestione dell’ordine pubblico da parte di chi vi era preposto.

Così, un anno e mezzo di indagini, 500 videocassette visionate, 24.000 foto, per arrestare 23 compagni/e dei 300.000 che invasero Genova in quei giorni e spedirne 9 in custodia cautelare in carcere, per aver concorso tutti psicologicamente al disegno collettivo di devastare la città anche “rafforzando” con la loro sola e semplice presenza fisica sui luoghi degli scontri o dei danneggiamenti “l’altrui proposito criminoso”. E’ questa la pericolosissima figura della cd. compartecipazione psichica, utilizzata dalla procura di Genova per muovere accuse “collettive” pur non contestando formalmente il reato associativo.

Inoltre, sono stati arrestati (e ancora tutti sottoposti a misure cautelari, mentre sei di loro sono ancora detenuti nelle patrie galere sparsi su tutto il territorio nazionale) per il rischio che ci riprovino (e quando? al prossimo G8??), e soprattutto per il sospetto lombrosiano che tendano spontaneamente, quasi “geneticamente”, alla violenza.

La mistificazione della realtà delle giornate di Genova riportata nell’ordinanza è patente: una città in assedio di guerra, con il potere blindato e le forze dell’ordine armate e pronte a sparare da una parte, e una contestazione oceanica disarmata dall’altra.

Le numerosissime manifestazioni (oltre 30) che, dal luglio 2001 ad oggi, hanno portato in piazza centinaia di migliaia di persone in Italia, culminate con la grandiosa manifestazione contro la guerra a Firenze del 10 novembre scorso, e anche con la manifestazione di Cosenza contro la repressione e per la liberazione dei compagni arrestati su mandato della procura di Cosenza per associazione sovversiva, subito dopo il Forum Europeo sociale di Firenze, invece di gettare luce sul perché anche Genova avrebbe potuto essere pacifica e invece non lo è stata, sono state usate per gettare buio sul movimento e sulla “intrinseca” e originaria violenza dei cd. no global, redenti finora ma poi chissà…

Questa operazione repressiva serve, insieme alla richiesta di archiviazione per Placanica per l’assassinio di Carlo Giuliani, per confermare un teorema confezionato fin da subito: un movimento violento tenuto a bada a stento da forze dell’ordine in perfetta buona fede, che hanno agito solo per legittima difesa. Servono i capri espiatori da mostrare in pubblica piazza. Eccoli..

Ma a Genova la guerra non fu dichiarata dal movimento bensì dalle forze dell’ordine, e prima ancora da un potere sovranazionale tanto vuoto da doversi blindare, recingere. Cariche violentissime ed indiscriminate contro chiunque passasse per le vie della città, lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo, colpi di arma da fuoco, blindati lanciati a tutta velocità contro la folla, un giovane compagno ammazzato, il blitz sanguinoso alla scuola Diaz in notturna, la tortura reintrodotta nelle caserme di Bolzaneto e Forte S. Giuliano.Questo fu Genova: lo stato di diritto fatto a pezzi. E finchè questa verità non sarà agli atti dei tribunali, delle istituzioni, nella società civile, non ci saranno inchieste né su cassonetti ribaltati, né su furgoni bruciati, che possano placare la memoria ferita di chi a Genova c’era e di chi pur non essendoci ha potuto vedere.come tutti nel mondo.

Anche dall’inchiesta di Cosenza è emerso un dato che dà allo stesso tempo la misura della “politicità” di questo tipo di operazioni giudiziarie e l’indicazione chiara degli obbiettivi che esse puntano a raggiungere. La figura della cd. “compartecipazione psichica”, come descritta sopra (“sperimentata” per la prima volta proprio dalla procura di Genova nel luglio 2001 per mantenere agli arresti i 25 compagni austriaci della compagnia di teatro di strada), è stata usata dalla stessa procura di Cosenza per sostenere il concorso di tutti i compagni, accusati di reati politici gravissimi, come cospirazione politica (reato contestato in rarissime occasioni dall’entrata in vigore della costituzione ad oggi), associazione sovversiva (sul cui uso e abuso non ci dilunghiamo oltre) e addirittura attentato contro organi costituzionali, negli scontri e nei disordini sia a Genova che a Napoli. Allo stesso tempo, anche in quel caso, la sussistenza di “esigenze cautelari” inesistenti, come un presunto pericolo di fuga frutto di vere e proprie fantasie e il pericolo di reiterazione degli stessi reati a causa “dell’indole violenta” connaturata nei cd. no global, avevano giustificato i mandati di cattura e la detenzione in carceri speciali dei compagni per 18 giorni.

Se poi leggiamo le motivazioni delle prime scarcerazioni del gip di Cosenza salta subito agli occhi la centralità di un meccanismo premiale basato sulla differenziazione delle posizioni, ed al di là della debolezza tecnica dell’intero impianto, si è corso il rischio concreto che anche settori di compagni, e aree di movimento, cadessero nel tranello di pensare in quella logica. Una capacità di risposta collettiva ed intelligente, insieme alla assoluta evidenza della sproporzione tra fatti addebitati e reati contestati, ha permesso una grande mobilitazione unitaria che ha portato alla liberazione dei compagni arrestati.

Sembra che in quest’ultimo caso le cose stiano andando in maniera differente, dimostrando quindi una pericolosa debolezza interna del “movimento”, un possibile tallone d’achille sul quale, non è difficile prevederlo, potranno innestarsi altre operazioni “a catena”, sulla scia dell’ordinanza della procura di Genova.

In effetti, la mancanza di dibattito, i pericolosi “distinguo”, l’insufficienza di una risposta forte e collettiva subito dopo gli arresti, insieme alle cose dette poc’anzi ci lasciano la forte sensazione che la magistratura genovese abbia colpito nel segno. Se neppure di fronte all’evidenza di una richiesta esplicita di dissociazione (“abiura” è il termine ricorrente negli atti dei tribunali, ultimamente) si riesce a cogliere la gravità di operazioni come questa evitando le polemiche strumentali e la politica degli schieramenti; se neppure di fronte al paradosso di ordinanze che rifiutano la liberazione degli arrestati con l’assurda motivazione che “gli anarchici preferiscono rimanere in galera per guadagnare consenso di fronte al loro schieramento” (parole dei giudici!!!), si riesce a tenere una minima linea di difesa comune, che vuol dire semplicemente impegnarsi per mettere in piedi una mobilitazione ampia, inclusiva finchè si vuole, ma determinata a ristabilire una verità prima di tutto storica e politica, oltre che giudiziaria, su Genova e su Napoli (presto o tardi anche quella procura si muoverà, non ci si illuda), è bene prepararsi a tempi piuttosto duri.

Una valutazione, questa, che ci sembrerebbe banale, e che però, evidentemente, si scontra con muri che difficilmente riusciamo a considerare esclusivamente prodotti da miopia politica. L’abbiamo detto fin da subito dopo Genova: questi arresti erano annunciati, e non certo perché la repressione abbia compiuto chissà quale salto di qualità, men che meno per la “protervia della destra al governo”. E’ indubbio che uno scivolamento in avanti ci sia stato, che i processi legati alla repressione della conflittualità sociale abbiano avuto in questi ultimi mesi una poderosa spinta in avanti, parallelamente alla crescita nel Paese di un’insofferenza generalizzata di sempre più ampi settori sociali verso le scelte economiche politiche e sociali di questo governo. E’ altresì indubbio però che non è certo questo l’elemento di “novità”, per così dire, che ci preoccupa: uno slogan che gridavamo fino a qualche anno fa diceva “aumenta la crisi, aumenta la lotta”.è inevitabile che aumenti anche la repressione. In ogni caso, è bene sottolinearlo, si tratta di processi che si dispiegano su scala sovranazionale, sui quali riteniamo superfluo soffermarci ancora.

Quello che francamente ci lascia piuttosto perplessi è la scelta di diverse aree di “movimento” di tenere un profilo volutamente basso, non tanto e non solo rispetto alla questione degli arresti (che comunque lascia aperto più di qualche interrogativo circa lo stato di salute del “movimento dei movimenti”), quanto nel mostrare di non tenere in nessun conto gli scenari che vanno ad aprirsi nel momento in cui si palesa un attacco dichiarato ai movimenti sociali ed emerge un’indicazione chiara di quali siano i percorsi che lo Stato cerca di scongiurare lasciando intravedere invece la possibilità di praticare altri terreni (anche antitetici tra loro, almeno a prima vista) senza che ciò abbia conseguenze rilevanti. Da una lettura complessiva degli atti delle ultime inchieste (Taranto, Cosenza e Genova), infatti, si evidenzia che il punto nodale su cui, pur con le dovute differenze, i giudici convergono è il tentativo di scoraggiare la partecipazione di massa alle manifestazioni ed alle iniziative promosse dai diversi settori sociali fin qui colpiti, prima ancora che la sanzione di comportamenti specifici (per i quali c’è sempre tempo.). Come leggere altrimenti l’inchiesta tarantina del maggio 2002: accusa di associazione sovversiva di stampo locale(!), reati contestati ridicoli (uova, slogan, bombolettaggi, ecc), una settimana di arresti domiciliari e la scarcerazione dopo un interrogatorio-farsa nel quale emerge senza ombra di dubbio l’intento di “ammonire” e spaventare soprattutto i compagni più giovani ed i settori sociali da essi intercettati- della serie: per questa volta passi, ma evitate di fare politica attivamente,e se proprio volete farla lasciate perdere gli antagonisti, i cobas. altrimenti la prossima volta.-.

L’inchiesta di Cosenza ricalca questo modello: stessa filosofia a reggere un impianto accusatorio fragile, ma questa volta maggiore uso di “effetti speciali”(supercarceri, carabinieri incappucciati, ecc.),e soprattutto un salto di qualità: per il gip la dissociazione è il passaggio obbligato attraverso il quale uscire dal carcere, e va compiuta in maniera esplicita ed inequivocabile. Tant’è che i giudici di Genova ne fanno il perno centrale di tutta l’inchiesta, legandola questa volta al concetto del concorso (la compartecipazione psichica di cui sopra), infatti i compagni che ancora sono detenuti hanno il terribile torto di essersi avvalsi della facoltà di non rispondere, quindi di aver negato al giudice la possibilità di accertarsi che abbiano effettivamente ripudiato la violenza e condannato i manifestanti che a Genova non sono rimasti con le mani alzate a farsi massacrare.

Non la facciamo lunga, d’altro canto le ordinanze e i verbali d’interrogatorio sono atti pubblici, consultabili da chiunque. Gli elementi con cui confrontarsi ci pare che ci siano tutti: dove non arriva la repressione di piazza, quando non basta l’imbecillità più o meno eterodiretta di chi si (auto)esalta con proclami e gesti altisonanti, ecco pronta la magistratura con l’elmetto, che rispolvera tutto il più squallido e datato armamentario dell’epoca dell’emergenza per prestarsi a costruire una provocazione a largo raggio finalizzata a colpire le pratiche politiche ed i settori di movimento “incompatibili”. Oppure qualcuno ha ancora dei dubbi, anche alla luce dell’ultima brillante trovata della procura di Tucson.pardon, Genova?

Ora: se la posta in gioco è la possibilità e la scommessa di far vivere nella materialità del quotidiano un movimento che non si limita all’enunciazione del puro principio, ma rivendica un cambiamento concreto nelle condizioni di vita reali, e non altri fini più o meno nascosti, ci chiediamo: è pensabile oggi fare uno sforzo affinché ci si possa mettere tutti in condizione di guardare la luna, invece del dito?

Taranto, 8/1/2003

Cobas Cconfederazione Taranto

http://www.controappunto.org/carcereerepressione/ilditoelaluna.htm

 

http://www.controappuntoblog.org/2012/07/06/genova-opera-ceci-n%E2%80%99est-pas-une-pipe/

erotismo di sbirri : REMEMBER! | controappuntoblog.org

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