non haec sine numine divum eveniunt: Eneide libro 2 ; lezione di epica – ENEIDE – la caduta di Troia (1/2) – regia di Franco Rossi, Rai 1971

non haec sine numine divum eveniunt; nec te comitem hinc portare Creusam fas, aut ille sinit superi regnator Olympi. longa tibi exsilia et vastum maris aequor arandum, et terram Hesperiam venies, ubi Lydius arva inter opima virum leni fluit agmine Thybris. illic res laetae regnumque et regia coniunx parta tibi; lacrimas dilectae pelle Creusae. non ego Myrmidonum sedes Dolopumve superbas aspiciam aut Grais servitum matribus ibo, Dardanis et divae Veneris nurus; sed me magna deum genetrix his detinet oris. iamque vale et nati serva communis amorem.’ haec ubi dicta dedit, lacrimantem et multa volentem dicere deseruit, tenuisque recessit in auras. ter conatus ibi collo dare bracchia circum; ter frustra comprensa manus effugit imago, par levibus ventis volucrique simillima somno. sic demum socios consumpta nocte reviso. Atque hic ingentem comitum adfluxisse novorum invenio admirans numerum, matresque virosque, collectam exsilio pubem, miserabile vulgus. undique convenere animis opibusque parati in quascumque velim pelago deducere terras. iamque iugis summae surgebat Lucifer Idae ducebatque diem, Danaique obsessa tenebant limina portarum, nec spes opis ulla dabatur. cessi et sublato montis genitore petivi.

Ed ormai m’avvicinavo alle porte e mi sembrava d’aver superato ogni via, quando d’improvviso sembrò presentarsi alle orecchie un fitto rumore di piedi ed il padre scrutando per il buio esclama: “Figlio, fuggi, figlio; s’avvicinano. Scorgo fiammeggianti scudi e bronzi brillanti.” Allora non so che divinità malvagiamente amica strappò la mente confusa a me trepidante. E mentre di corsa seguo luoghi impervi ed esco dalla posizione nota delle vie, ahimè la sposa Creusa forse strappata da misera sorte si fermò, forse deviò dalla via o caduta si fermò, è (cosa) incerta; né poi fu restituita ai nostri occhi. né perdutala la osservai o feci attenzione prima che giungessimo all’altura ed alla sede santa dell’antica Cerere: qui finalmente, raccolti tutti, le sola mancò e deluse i compagni ed il figlio ed il marito. Chi non accusai, pazzo, degli dei e degli uomini, o cosa vidi di più crudele in una città distrutta? Ascanio ed il padre Anchise ed i penati Teucri li affido ai compagni e li nascondo nella valle profonda; io ritorno in città e sono cinto di splendenti armi. E’ deciso di rinnovare ogni vicenda e ritornare per tutta Troia ed offrire di nuovo la vita ai pericoli. Al principio ripercorro le mura e le oscure soglie della porta donde avevo preso il cammino e seguo a ritroso le orme percorse nella notte e scruto con la luce (della notte): ovunque spavento pel cuore, insieme gli stessi silenzi atterriscono. Poi mi riporto a casa, se mai vi avesse rivolto, se mai, il passo: vi erano penetrati i Danai e tenevano tutta la casa. D’improvviso il fuoco vorace col vento si avvolge ai tetti, le fiamme stravincono, la vampa infuria per l’aria. Avanzo e rivedo il palazzo e la rocca di Priamo: ed ormai nei vasti porticati nell’asilo di Giunone guardie scelte Fenice ed il crudele Ulisse curavano il bottino. Qui da ogni parte si ammucchiano i tesori troiani saccheggiati, bruciati i penetrali, mense degli dei, vasi massicci d’oro e vestiario catturato. Bambini e madri impaurite stanno attorno in lunga fila. Anzi osando anche lanciare grida per l’ombra riempii le vie di richiami, e triste invano gemendo più e più volte chiamai Creusa. Cercando e correndo senza fine nelle case della città mi apparve davanti agli occhi il fantasma e l’ ombra della stessa Creusa e la figura maggiore di quella nota. Stupii, i capelli si drizzarono e la voce s’attaccò alla gola. Allora così parlava e alleviava le pene con queste parole: “ Che serve abbandonarsi sì tanto ad un pazzesco dolore, o dolce marito? Queste cose non accadono senza il volere degli dei; né ti è lecito portare di qui Creusa come compagna, o lo permette lui, i re del celeste Olimpo. Lunghi gli esili per te e la vasta distesa del mare da solcare, e giungerai alla terra Esperia, dove il Lidio Tevere tra campi fecondi di semi scorre con lieve corso. Lì sorti propizie e regno e sposa regina, fatti per te; scaccia le lacrime per l’amata Creusa. Io non vedrò le superbe regge dei Mirmidoni o dei Dolopio andrò a servire i Grai, io nuora di Dardano e della divina Venere; ma la grande genitrice degli dei mi tiene su questi lidi. Ormai addio serba l’amore del figlio comune”. Come disse queste frasi, lasciò me che piangevo e volevo dire molte cose, e e scomparve tra l’arie leggere. re volte tentai allora stringerle le braccia al collo; tre volte l’immagine invano afferrata sfuggì dalle mani, uguale ai venti leggeri e molto simile al sonno fugace. Cosi finalmente, consumata la notte, rivedo i compagni. E qui trovo meravigliandomi che un enorme numero di nuovi compagni è affluito,sia madri che mariti, gioventù raccolta per l’esilio, miserevole volgo. Da ogni parte convennero pronti nei cuori e nei mezzi in qualunque terra volessi condurli per mare. Ormai Lucifero sorgeva dai gioghi del sommo Ida e guidava il giorno, ed i Danai tenevano assediate le soglie delle porte, né alcuna speranza d’aiuto era data. Mi rassegnai e sollevato il padre mi diressi sui monti.

Avea già ‘l foco appresa
la città tutta, e già le fiamme e i vampi
ne ferian da vicino, allor che ‘l vecchio
cosí dicea: “Caro mio padre, adunque, –
soggiuns’io – com’è d’uopo, in su le spalle
a me ti reca, e mi t’adatta al collo
acconciamente: ch’io robusto e forte
sono a tal peso: e sia poscia che vuole:
ch’un sol periglio, una salute sola
fia d’ambedue. Seguami Iulo al pari;
Creúsa dopo: e voi, miei servi, udite
quel ch’io diviso. È de la porta fuori
un colle, ov’ha di Cerere un antico
e deserto delúbro, a cui vicino
sorge un cipresso, già molt’anni e molti
in onor de la dea serbato e cólto.
Qui per diverse vie tutti in un loco
vi ridurrete; e tu con le tue mani
sosterrai, padre mio, de’ santi arredi
e de’ patrii Penati il sacro incarco,
che a me, sí lordo e sí recente uscito
da tanta uccisïon, toccar non lece
pria che di vivo fiume onda mi lave”.
Ciò detto, con la veste e con la pelle
d’un villoso leon m’adeguo il tergo;
e ‘l caro peso a gli omeri m’impongo.
Indi a la destra il fanciulletto Iulo
mi s’aggavigna e non con moto eguale
ei segue i passi miei, Creúsa l’orme.
Andiam per luoghi solitari e bui:
e me, cui dianzi intrepido e sicuro
vider de l’arme i nembi e de gli armati
le folte schiere, or ogni suono, ogni aura
empie di téma: sí geloso fammi
e la soma e ‘l compagno

Era il tempo in cui per gli stanchi mortali il primo sonno comincia e serpeggia graditissimo per dono degli dei. Nei sogni, ecco, davanti agli occhi mi sembrò presentarsi Ettore mestissimo e versare larghi pianti , come quando strappato dalle bighe e nero di cruenta polvere e trafitto nei piedi gonfi per le cinghie. Ahimè, qual era, quanto mutato da quell’Ettore che ritorna rivestito delle spoglie d’Achille o dopo aver gettato fuochi frigi sulle poppe dei Danai. portando una barba incolta e capelli inzuppati di sangue e quelle ferite, che numerosissime ricevette attorno alle mura patrie. Inoltre mi sembrava che io piangendo chiamassi l’eroe ed esprimessi angosciose frasi: “O luce dei Dardania, o sicurissima speranza dei Teucri, quali sì lunghi indugi ti trattennero? Da quali spiagge vieni, o aspettato Ettore? come ti vediamo dopo molte morti dei tuoi, dopo vari affanni di uomini e della città, noi stanchi. Quale indegna causa macchiò le fattezze serene? o perché scorgo queste ferite? Egli nulla, né aspetta me che chiedo cose vane, ma traendo dolorosamente dal profondo del cuore i gemiti: “Ah. fuggi, figlio di dea, dice, e togliti da queste fiamme. Il nemico tiene le mura; Troia crolla dall’alta cima. Abbastanza fu dato alla patria e a Priamo: se Pergamo si fosse potuta difendere con la destra, sarebbe stata difesa anche da questa. Troia ti consegna le cose sacre ed i Penati; prendi questi come compagni dei fati, con questi cerca le grandi mura che infine costruirai, percorso il mare”. Così dice e con le mani trae fuori dai profondi penetrali le bende, Vesta potente e l’eterno fuoco

 

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