La vita di Castruccio Castracani da Lucca descritta da Niccolò Machiavelli e mandata da Zanobi Buondelmonte e a Luigi Alamanni suoi amicissimI

Mentre che Castruccio aveva posate le armi co’ Fiorentini e che e’ si affortificava in Lucca, non mancava di fare quelle cose che poteva sanza manifesta guerra operare, per fare maggiore la sua grandezza. E avendo desiderio grande di occupare Pistoia, parendogli, quando ottenessi la possessione di quella città, di avere un piè in Firenze, si fece in varii modi tutta la montagna amica; e con le parti di Pistoia si governava in modo che ciascuna confidava in lui. Era allora quella città divisa, come fu sempre, in Bianchi e Neri. Capo de’ Bianchi era Bastiano di Possente, de’ Neri, Iacopo da Gia; de’ quali ciascuno teneva con Castruccio strettissime pratiche, e qualunque di loro desiderava cacciare l’altro; tanto che l’uno e l’altro, dopo molti sospetti, vennono alle armi. Iacopo si fece forte alla Porta Fiorentina, Bastiano alla Lucchese, e confidando l’uno e l’altro più in Castruccio che ne’ Fiorentini, giudicandolo più espedito e più presto in su la guerra, mandorono a lui secretamente, l’uno e l’altro, per aiuti; e Castruccio all’uno e all’altro gli promisse, dicendo a Iacopo che verrebbe in persona, e a Bastiano che manderebbe Pagolo Giunigi suo allievo. E dato loro il tempo a punto, mandò Pagolo per la via di Pescia, ed esso a dirittura se n’andò a Pistoia; e in su la mezza notte, ché così erano convenuti Castruccio e Pagolo, ciascuno fu a Pistoia, e l’uno e l’altro fu ricevuto come amico. Tanto che entrati dentro, quando parve a Castruccio, fece il cenno a Pagolo; dopo il quale l’uno uccise Iacopo da Gia e l’altro Bastiano di Possente; e tutti gli altri loro partigiani furono parte presi e parte morti; e corsono sanza altre opposizioni Pistoia per loro; e tratta la Signoria di palagio, costrinse Castruccio il popolo a dargli obedienza, faccendo a quello molte rimessioni di debiti vecchi e molte offerte; e così fece a tutto el contado, il quale era corso in buona parte a vedere il nuovo principe; tale che ognuno, ripieno di speranza, mosso in buona parte dalle virtù sue, si quietò.

         Occorse, in questi tempi, che il popolo di Roma cominciò a tumultuare per il vivere caro, causandone l’assenzia del pontefice che si trovava in Avignone, e biasimando i governi tedeschi in modo che e’ si facevano ogni dì degli omicidii e altri disordini, sanza che Enrico luogotenente dello imperadore vi potesse rimediare, tanto che ad Enrico entrò un gran sospetto, che i Romani non chiamassino el re Ruberto di Napoli, e lui cacciassero di Roma, e restituissenla al papa. Né avendo el più propinquo amico a chi ricorrere che Castruccio. Lo mandò a pregare fussi contento, non solamente mandare aiuti, ma venire in persona a Roma. Giudicò Castruccio che non fussi da differire, sì per rendere qualche merito allo imperadore, sì perché giudicava, qualunche volta lo imperadore non fussi a Roma, non avere rimedio. Lasciato adunque Pagolo Guinigi a Lucca, se ne andò con secento cavagli a Roma, dove fu ricevuto da Enrico con grandissimo onore; e in brevissimo tempo la sua presenza rendé tanta riputazione alla parte dello Imperio che, sanza sangue o altra violenza, si mitigò ogni cosa; perché, fatto venire Castruccio per mare assai frumento del paese di Pisa, levò la cagione dello scandalo; di poi, parte ammunendo, parte gastigando i capi di Roma, gli ridusse volontariamente sotto il governo di Enrico. E Castruccio fu fatto senatore di Roma, e datogli molti altri onori dal popolo romano. Il quale ufficio Castruccio prese con grandissima pompa, e si misse una toga di broccato indosso, con lettere dinanzi che dicevano: “Egli è quel che Dio vuole”, e di dietro dicevano: “E’ sarà quel che Dio vorrà”.

LA VITA DI CASTRUCCIO CASTRACANI DA LUCCA – O

Vita di Castruccio Castracani: tiranno magnanimo e crudele

 

23-09-2012 / Fatti e personaggi / Nazareno Giusti

COREGLIA ANTELMINELLI, 23 settembre – Si è tenuto sabato mattina al Teatro “Bambi” di Coreglia il convegno in occasione dei centocinquanta anni dell’assunzione da parte del comune dell’epiteto Antelminelli. Una scelta non casuale essendo stato il borgo luogo di residenza e sede di governo di questa importante famiglia molto legata alla nota figura di Castruccio Castracani “il più grande capitano del suo tempo”.
Tiranno magnanimo, saggio, prudente. Crudele verso i suoi rivali; terribile con i suoi nemici, grato con gli amici, giusto con i sudditi.  “Niuno- scrissero- fu mai più audace a entrare ne’ pericoli, né più cauto a uscirne”.

Figlio di un importante famiglia ghibellina, era nato a Lucca il 29 marzo del 1281. Indirizzato alla carriera ecclesiastica ma attratto di gran lunga dall’esercizio fisico. Diverrà un ottimo cavaliere. Nel  1300  cacciato da Lucca, insieme alla sua famiglia, per motivi politici dalla fazione dei Neri, guidati da Bonturo Dati. Inizialmente visse per un breve periodo in esilio a Pisa, poi se ne andò in Inghilterra, nelle terre in cui era nato e vissuto il mitico Riccardo Cuor di Leone. Qui si ingraziò  i favori del re Edoardo II,  grazie alla sua abilità nell’uso delle armi che gli valse la vittoria di innumerevoli tornei. In poco tempo divenne molto famoso. Piaceva alle donne, e a chi gli rimprovera troppa passione per il gentil sesso, risponde: “Sono io  che le prendo, non loro me”.

Finalmente per il giovane lucchese le cose stavano andando bene, ma un giorno… colpì al petto uccidendolo un rivale che lo aveva offeso e schiaffeggiato. Fu costretto di nuovo a una precipitosa fuga. Andò in Francia, dove Filippo il Bello, aveva bisogno “d’uomini d’ arme”. Si distinse, come comandante della cavalleria, nella battaglia di Arras e nella difesa di Thérouanne nella Guerra di Fiandra. Dopo alcuni anni rientrò in Italia dove combatté nelle armate ghibelline. Nel 1314, in seguito alla discesa di Arrigo VII in Italia, si aggregò alle truppe ghibelline di Uguccione della Faggiola, capo riconosciuto dei ghibellini toscani e signore di Arezzo e Pisa, assieme al quale partecipò alla presa e al successivo sacco di Lucca, retta sino allora dalla parte guelfa. Nell’agosto del 1315 combatté, come comandante di una parte dell’esercito ghibellino nella battaglia di Montecatini: fu lui l’ artefice della vittoria del giorno 29.

Morto l’Imperatore, Uguccione lo scelse come suo braccio destro per attacchi e incursioni al contado lucchese. Poi, però il capo ghibellino lo intravide come concorrente per la signoria, e lo fece, quindi, imprigionare in attesa di essere giustiziato. Tuttavia a seguito di una rivolta popolare a Lucca e Pisa, Uguccione fu costretto a fuggire. Castruccio venne liberato ed acclamato, dal popolo, Capitano Generale della città di Lucca  e Console a vita. In quel giorno le campane della città “fecero festa”.

Con lui i ghibellini presero sempre più forza al punto che Firenze fu costretta a combattere svariate guerre contro il Signore di Lucca che, con grande abilità politica e bellica, riuscì sempre a tenerla in scacco arrivando a conquistare vaste aree della Toscana e della Liguria e ad infliggergli, nel 1325, una sonora disfatta nella battaglia di Altopascio  che vide la completa distruzione dell’esercito fiorentino.

Poi, il Capitano indirizzò i suoi interessi verso Pistoia, minacciando anche Prato, e riprendendo improvvisamente le ostilità contro i fiorentini, irrompendo nel loro territorio, incendiando e razziando dove passava.

Il re Federico III d’Austria, lo nominò vicario di Lucca, della Lunigiana e della Val di Nievole. In tale incarico fu confermato, nel 1324, dall’imperatore Ludovico il Bavaro, suo amico e alleato, che lo nominò, anche, Grande Legato per l’Italia e Duca di Lucca.

Mentre partecipava a Roma all’incoronazione dell’amico imperatore fu costretto, per l’insurrezione di Pistoia, a tornare velocemente a Pisa, dove lo attendeva l’esercito lucchese con  il suo speciale corpo di duemila balestrieri con i quali in poco tempo riuscì ad impossessarsi nuovamente della città ribelle. Nel 1327, insieme all’Imperatore Ludovico, venne scomunicato, da Papa Giovanni XXII, per la sua avversione al potere temporale della Chiesa.

Ormai, però, era una leggenda: temuto dai nemici e amato dal popolo. I successi si susseguivano facendolo divenire il più autorevole e popolare personaggio della storia italiana del XIV secolo.  Gran parte della Toscana era da lui dominata. Arbitro dell’intera politica in quel periodo.

Nel giro di tre soli lustri, egli fu incontrastato Signore della Repubblica di Lucca e referente della Toscana ghibellina, dotandosi di enorme potere; unificando la Lunigiana; lasciando ricche testimonianze della sua attività politica ed urbanistica.

Castruccio fece, infatti, costruire decine di castelli e fortificazioni, che diverranno patrimonio storico e monumentale del Medioevo italiano e che ancor oggi sfidano il tempo e gli uomini. Tali costruzioni, sono sparse un po’ in tutti i luoghi da lui dominati: dalla Lunigiana, al Pistoiese, dalla Versilia, alla Garfagnana.
Nel 1322, fece costruire a Lucca, la fortezza Augusta, difesa da 29 torri e quattro porte d’accesso. Qui, mentre si preparava a riprendere le armi contro Firenze, morì il 3 settembre del 1328, ufficialmente a causa di febbri malariche, ma qualcuno, più verosimilmente, sostiene che fu avvelenato.

Nei secoli successivi fu oggetto dell’attenzione di numerosi  storici. La sua vita ispirò Niccolò Machiavelli, che nel 1520 pubblicò una sua biografia (romanzata), dal titolo “La vita di Castruccio Castracani da Lucca”.

“Visse – scriveva nella parte finale del suo lavoro l’autore de “Il Principe”- quarantaquattro anni, e fu in ogni fortuna principe. E come della sua buona fortuna ne appariscono assai memorie, così volle che ancora della cattiva apparissino; per che le manette, con le quali stette incatenato in prigione, si veggono ancora oggi fitte nella torre della sua abitazione, dove da lui furono messe acciò facessino sempre fede della sua avversità. E perché vivendo ei non fu inferiore né a Filippo di Macedonia padre di Alessandro, né a Scipione di Roma, ei morì nella età dell’uno e dell’altro; e sanza dubbio arebbe superato l’uno e l’altro se, in cambio di Lucca, egli avessi avuto per sua patria Macedonia o Roma”.

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