La scomparsa del punto e virgola , la fine della scrittura a mano

TELEMACO SIGNORINI (1835-1901)

Bambina che scrive, cm. 14,8 x 26,8, Collezione privata, Firenze

«Una minima parte della popolazione adulta utilizza il corsivo per la scrittura quotidiana – afferma Morgan Polikoff, professore di didattica alla University of Southern California al New York Times -. La maggior parte della nostra comunicazione avviene mediante una tastiera.

Tutti  ormai siamo  abituati a scrivere su una tastiera, sia essa di un telefonino, di un pc o quella virtuale del tablet

La scomparsa del punto e virgola

 

 

Questo è il primo post che classifico come articolo (ne ho un po’ da parte, ahivoi). Comincio con uno “leggero”…

Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal.” Ecco, con questa frase comincia un giallo appassionante.

No, “Il fu Mattia Pascal” non è un giallo, nonostante narri vicende sorprendenti e, almeno per alcuni personaggi, misteriose. Il giallo al quale voglio interessarvi è: chi ha ucciso il punto e virgola? Già, perché in questo che è il più importante romanzo italiano del primo Novecento nella prima pagina compare un punto e virgola; nella seconda due, nella terza due, e così via. Era ben vivo il punto e virgola, nel 1904. A ucciderlo non è stato, quindi, Luigi Pirandello.
Prendiamo ora un romanzo di oggi: “Senza sangue”, di Alessandro Baricco: nelle prime dieci pagine, salvo errore, non c’è neanche un punto e virgola. Anzi, sarei sorpreso se ce ne fosse uno in tutto il libro.
Sarà un caso? Provo un altro paio di romanzi recenti: nulla. Voglio fare una controprova: finora ho controllato autori che scrivono con uno stile relativamente simile, frasi brevi, pochi periodi ariosi. Prendo un libro recente di Antonio Tabucchi, uno agli antipodi, con uno stile classico e molto piacevole: “Si sta facendo sempre più tardi”. Uno, nelle prime sei pagine. Un sopravvissuto, di una specie praticamente estinta. Ultima verifica: articolo di fondo del giornale di oggi: neanche un punto e virgola.

Eppure, quando andavo a scuola, era ancora vivo: leggevo Italo Calvino, ad esempio, che, cinquant’anni dopo Pirandello, ne faceva ancora un buon uso. Ed io sono cresciuto convinto che avesse un senso, il punto e virgola. Perché il punto dà il segnale della chiusura di un pensiero, mentre il punto e virgola no, separa due frasi che hanno qualcosa in comune, sgorgano dallo stesso moto di pensiero.
Ma se l’eliminazione del punto e virgola è il segno più evidente, altri indizi ci fanno sospettare un delitto su più vasta scala: la soppressione della punteggiatura. Lo so che virgole e punti sono vivi e vegeti, che i due punti sopravvivono un po’ a fatica, e i puntini di sospensione prosperano; ma sono vuote parvenze dei segni di una volta. Una volta, i segni di interpunzione riflettevano la struttura sintattica di un periodo: le virgole separavano principali e subordinate, e i punti chiudevano un periodo logicamente concluso. Oggi, a me sembra che i segni trascrivano piuttosto le cadenze del parlato, e se queste non coincidono con la struttura, peggio per la struttura.

E c’è chi fa di peggio: mai separare con una virgola soggetto e predicato!

Sono superato, senza speranza? Ho controllato: temo di sì. Nelle cose che scrivo, sia pure saltuariamente, uso il punto e virgola, e anche altri segnali testimoniano impietosamente che sono legato ad una vecchia concezione della punteggiatura.

A questo punto, chiamerei in causa qualche esperto, perché mi illumini: cosa è accaduto? Perché la scrittura sta diventando una specie di trascrizione della lingua parlata, comprese pause brevi, lunghe e sospensioni? O forse abbiamo perso la capacità di pensare (e scrivere) due cose di fila senza fermarci a prendere fiato?

http://blogincompetente.wordpress.com/2007/11/10/la-scomparsa-del-punto-e-virgola/

Libri digitali e la fine della scrittura a mano: un pezzetto di noi che se ne va

Pochi giorni prima che andasse in scena il balletto della crisi di governo, il Ministro Carrozza ha firmato il decreto per la digitalizzazione dei testi scolastici che avverrebbe, secondo quanto si apprende, gradatamente, a partire dal prossimo anno 2014-15, e riguarderebbe unicamente i nuovi testi da adottare e non quelli riconfermati. Insomma, una rivoluzione all’italiana, per far contenti tutti e nessuno e, tra sostenitori e contrari, pesano sulla scuola quei dieci milioni stanziati per il rafforzamento delle competenze digitali di una classe insegnante stanca e, in vero, molto più preoccupata dello stato degli edifici in cui è costretta a lavorare (trentamila le strutture a rischio secondo l’Ance) che dell’annoso problema della modernizzazione a tutti i costi.

E se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, non sarà fantascienza ipotizzare anche per la nostra Italia – col dovuto ritardo con cui spesso prendiamo il buono e il cattivo esempio dagli Stati Uniti – la revoca dell’obbligatorietà dell’insegnamento della scrittura a mano imposta, ormai un anno fa, ai suoi docenti,  dal Dipartimento di Istruzione dell’Indiana, che ha reso imprescindibile quello dell’utilizzo della tastiera; e se la notizia, presa così da un pubblico di fruitori di ipad, tablet, smartphone ecc, potrebbe apparire normale, se si pensa che davanti a quelle tastiere sono posti dei bambini di sei anni o meno, il gioco cambia completamente.

E poi, per una volta, ci sia concesso un giudizio datato e anti futurista: ma che brutta quella comunicazione anonima che fa di ciascuno un foglio digitale in caratteri prestabiliti dai computers, quanta tristezza che si porta dietro l’ipotetica morte della scrittura a mano, tristezza non certo dovuta alla fine di una tradizione perpetuata da secoli, come se l’utilizzo di penna e la carta possa essere considerato mera abitudine superabile da più nuove modalità.

La grafia di ciascuno racconta più di quanto si dica, descrive e vive; la grafia parla e a volte piange, a volte trema e pesa sulla carta; la grafia soffre o ride, e quando ride è piena di voli, di bellezza e della cura che chi scrive infonde ai segni, come ad un regalo. La scrittura a mano invecchia e soprattutto resta, resiste, dura persino oltre chi ha vergato quelle parole sulla carta;  e se è vero che lo stesso compito è affidato a files e cartelle multimediali, tra un biglietto sgualcito e un foglio word non c’è competizione se non quella possibile tra le parole dette e gli emoticons che accompagnano spesso la comunicazione digitale.

Assurdo voler negare ai nostri nipoti o forse, peggio, già ai nostri figli, la meraviglia che suscita quel sentimento di riscoperta che accompagna il ritrovamento di un vecchio biglietto ricevuto, soprattutto quando esso diventa traccia di un percorso finito, di chi non c’è più; assurdo voler negare – cosa che accadrà già con l’abbandono della carta a favore dei libri digitali – la possibilità dello “stare” che lettura e scrittura su foglio impongono, quello stare intimo e privato che si ha con  le pagine, quelle vere, che si possono anche strappare, ma non cancellare, che si possono annusare e  sentire. Sarà anacronistico, ma se la modernità deve coincidere con una semplificazione che sa tanto di abbandono, forse non ne vale troppo la pena, specie quando il decantato risparmio economico che deriverebbe dalla rivoluzione digitale non è che infinitesimale, come da più parti è stato dimostrato.
Eppure non ce l’avevano detto che le emozioni, nel mondo delle banche e degli affari, della modernità forzata, non valgono che pochi euro.

Asteria Casadio

http://notizie.tiscali.it/regioni/abruzzo/socialnews/Casadio/9380/articoli/Libri-digitali-e-la-fine-della-scrittura-a-mano-un-pezzetto-di-noi-che-se-ne-va.html

Addio al corsivo, a causa dei Pc i bimbi scrivono sempre più spesso in stampatello

Una volta la calligrafia era un vanto. Si facevano gare e si riceveva un voto per questo a scuola. Ora, complici tastiere, computer e smartphone, scrivere in corsivo è diventata un’arte in via d’estinzione, un cimelio misterioso per le nuove generazioni, che usano sempre di più lo stampatello e stanno disimparando a scrivere. A rilevare il problema è la rivista della Società italiana di pediatria, sulla scorta dell’allarme lanciato nei mesi scorsi da alcuni studiosi americani. Un fenomeno evidente in tutto il mondo. “Quando chiedo in aula di alzare la mano a chi scrive abitualmente in corsivo – spiega Jimmy Bryant, docente della Central Arkansas University – nessuno studente, ormai da anni, risponde e a malapena sanno leggerlo”.
La colpa è da imputare al fatto che si scrive sempre più con tastiere e smartphone, spesso in stampatello, e al fatto che in molte scuole si dedica sempre meno tempo all’insegnare a scrivere a mano e in corsivo. “In Italia il fenomeno è più limitato e coinvolge soprattutto i ragazzi, che scrivono poco e quando lo fanno, è in stampatello – rileva Alberto Ugazio, presidente della Società italiana di pediatria -. Alle elementari si continua ancora a scrivere e usare il corsivo. Il che da un lato è una fortuna, ma dall’altro dimostra che il Pc è scarsamente diffuso nella scuola primaria”.
A preoccupare non è però tanto uno stile di scrittura o l’altro, precisa Ugazio, ma il fatto che “si scrive sempre meno e in modo più povero, con un vocabolario molto ridotto e una minore complessità di linguaggio. Spesso chi scrive messaggi su pc e telefoni lo fa in modo così modesto che comunica in modo apparente e non reale”. Imparare a scrivere in corsivo “aiuta i bambini a perfezionare le loro capacità motorie – avverte Sandy Schefkind, terapista pediatrica dell’ospedale di Bethesda – La chiave è la destrezza, la fluidità, la capacità di dosare la pressione della penna sul foglio”. Non solo.
Il corsivo, da sempre, “è stata una fonte di arte, e il passaggio allo stampatello – aggiunge Ugazio – significa una perdita di creatività”. In alcuni casi poi, rileva Vincenzo Mastronardi, psicopatologo forense della Sapienza, “la tendenza a non diversificare la propria grafia usando lo stampatello è la manifestazione di una sorta di disagio. Nel senso che si ritarda sempre più la ricerca della propria identità, di cui la grafia è una parte importante”.

http://notizie.tiscali.it/articoli/scienza/11/06/28/addio-corsivo-colpa-pc.html

Storia della Scrittura- La historia de la escritura: la evolucion : “Vorrei …

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