Gruppo di famiglia in un interno : Visconti

TRAMA: Un anziano professore vive ritirato in un antico palazzo romano, circondato da libri, sculture e quadri, dei quali è appassionato ed esperto collezionista. Come dice lui stesso, in precedenza ha studiato, viaggiato, fatto la guerra, si è sposato ma è andata male e quando ha avuto il tempo di guardarsi intorno si è trovato in mezzo a gente che non capiva più. A sconvolgere il suo quotidiano e l’immutabile, ripetitiva serenità della sua esistenza, irrompe la ricchissima marchesa Bianca Brumonti la quale, con un atteggiamento volgare, spregiudicato e sfrontato insiste perché il professore le affitti l’appartamento sopra il suo per regalarlo al suo amante e gigolò Konrad, la figlia Lietta ed il suo fidanzato Stefano. Dapprima imbarazzato e sorpreso, poi nauseato dall’immoralità e la superficialità di queste persone, il professore resta comunque colpito dalla figura di Konrad, contraddittoria e dannata, ma migliore di quel che sembra apparentemente. Nonostante l’evidente distonia fra i principi del professore e la dissolutezza di queste persone, egli viene coinvolto nelle loro perversioni e non riesce più a distaccarsene sino al tragico epilogo.     

VALUTAZIONE: straordinaria opera decadente e crepuscolare di Luchino Visconti, alla sua penultima prova. Pungente e lucida metafora sulla solitudine come scelta e difesa dalle volgarità dei prepotenti e degli ignoranti, ma anche come illusione, innaturale forzatura e umana contraddizione.

E’ curioso che due autori di indubitabile cultura e rigore come Luchino Visconti e Valerio Zurlini abbiano inserito in un paio di opere fra le più significative della loro filmografia e non solo, un paio di canzoni popolari i cui testi in qualche modo le descrivono. In entrambi i casi i protagonisti sono due professori i quali, pur da differenti ed opposte prospettive ma comuni origini sociali, hanno uno stretto rapporto con quella che molti considerano un disagio sociale, soprattutto se volontariamente cercata, cioè la solitudine. In queste due opere invece vivere distaccati dagli altri come scelta di vita è da considerarsi alla stregua di una difesa (Burt Lancaster) e del rifiuto (Alain Delon) della società esterna, di una cultura sociale che non è più compresa e condivisa.   

Mentre ne ‘La Prima Notte Di Quiete’ è Ornella Vanoni con il suo brano ‘Domani è un altro giorno’ a sottolineare un momento di svolta nel corso del film, in ‘Gruppo Di Famiglia In Un Interno’ è Iva Zanicchi e la sua ‘Testarda io’ a caratterizzare, non solo musicalmente, ma anche con il suo testo, uno dei momenti più conturbanti della penultima opera dello scomparso regista milanese. ‘…La mia solitudine sei tu, la mia rabbia vera sei sempre tu, ora non mi chiedere perche’ se a testa bassa vado via per ripicca senza te…’ E’ solo un passo del brano della canzone, che si riferisce però ambiguamente (si capirà in seguito perchè, considerando le due figure maschili principali) ad uno dei temi fondamentali di quest’opera, la solitudine appunto, come soluzione, rimedio, focolare ed alternativa sociale, in questo caso rappresentata da una famiglia di ricchi borghesi che ‘sono vuoti, stupidi, soprattutto inutili’, come dice il professore. L’assonanza fra le due opere è evidente anche nel rumoroso inizio. Nel caso di Zurlini, una musica quasi assordante anticipa il dramma incombente ed in quella di Visconti una violenta esplosione, precorritrice del tragico finale. Entrambe contrastano decisamente con i silenzi ed i ritmi compassati e riflessivi che sono invece predominanti nel prosieguo. 

‘Gruppo Di Famiglia In Un Interno’ si svolge per intero all’interno, appunto, di un maestoso palazzo antico, in pieno centro a Roma. Viene in mente in qualche modo, per analogia, un romanzo che recentemente ha avuto un successo straordinario, ‘L’Eleganza del  Riccio’ di Muriel Barbery, trasposto al cinema da Mona Achache con il titolo più coinciso de ‘Il Riccio’. Entrambe le versioni sono ambientate dentro un rispettabile palazzo, nel loro caso, della borghesia parigina. Pur non essendoci una sola sequenza nel film di Visconti che sia stata girata in esterni, catturati dal drammatico intreccio narrativo, la cui mirabile sceneggiatura è frutto della prestigiosa penna di  Suso Cecchi D’Amico, Enrico Medioli e lo stesso regista, dopo due ore che sembrano molto più brevi, ci si rende conto di non aver assolutamente sofferto della staticità degli ambienti, per così dire ed anzi di averne ammirato e goduto l’eleganza e l’imponenza. 

I dialoghi in quest’opera rivestono notevole importanza perchè spesso sintetizzano in una battuta decisivi punti di raccordo fra le varie fasi della storia e anticipano concetti più vasti. Per tale ragione ne citerò parecchi durante il prosieguo di questo commento, certo che nel ricordarli il lettore ne potrà riconoscere la collocazione ed il significato nel contesto dell’opera. La prima impressione che si prova scorrendo i nomi del cast è che il rimpianto regista milanese abbia focalizzato la sua attenzione soprattutto sulla figura del professore, interpretato da uno straordinario Burt Lancaster, il quale meglio non avrebbe potuto tratteggiare le molteplici sfumature del suo personaggio con alcune espressioni, nei primi piani soprattutto, assolutamente da antologia. Non verremo mai a conoscere nel corso del film il suo nome per esteso, ma solo il titolo cattedratico che genera deferenza ma allo stesso tempo spersonalizza l’uomo specifico che lo rappresenta, rendendolo universale, più che il caso limite di un singolo…(leggi il resto del commento cliccando qui sotto su ’Continua a leggere)

E’ lui che si spranga in casa con ben tre serrature e sopporta a malapena i passi della collaboratrice domestica Erminia che lo assiste fedelmente e rispettosamente da 25 anni oramai. Il professore, subendo l’assalto della spregiudicata, inopportuna e scurrile marchesa Bianca Brumonti (una splendida Silvana Mangano) e degli altri componenti la sua famiglia, è come se si trovasse a fronteggiare gente che parla una lingua diversa, senza possibilità d’intendersi e con la quale lui da tempo ha perso i contatti. La marchesa infatti, nonostante il professore abbia manifestato sorpresa per la richiesta ed un netto rifiuto, sfrontatamente gli chiede ugualmente in affitto l’appartamento al piano di sopra ed egli, imbarazzato e stizzito, cerca di giustificarsi sostenendo che è ‘…un uomo vecchio, nevrotico, forse anche isterico che viene disturbato nel vedere estranei, nel sentirne i rumori e che rifugge da ogni sorta di formalità.’.

Il professore infatti vive in una sorta di museo, gli spazi soffocati per la gran parte da quadri e libri, in un quotidiano e perenne religioso silenzio, intento a leggere oppure a studiare ed analizzare i dipinti degli autori che le case d’arte gli portano direttamente in visione a casa, confidando sulla sua generosità nell’acquistarli. Egli pertanto dedica tutta la sua dedizione al prodotto dell’uomo, escludendo l’uomo stesso per tutto il resto, stando accuratamente alla larga dai suoi problemi, evitando il rischio di rimanerne coinvolto e deluso. In tal modo è sempre riuscito a difendere il delicato ed egoistico equilibrio che ha costruito intorno a sé da tempo e che gli garantisce il più appropriato e rassicurante stile di vita. 

Anche i particolari in un’opera come questa spesso sono decisivi e persino più incisivi di molte parole. Quando la marchesa Brumonti, dopo aver insistito con il professore perchè gli mostri almeno l’appartamento che non intende comunque affittarle, ottiene il suo assenso ed al termine del sopralluogo getta il mozzicone per terra senza riguardo, non solo esprime con un gesto la sua arroganza e mancanza di rispetto, ma anticipa anche quello che di lì a breve ha intenzione di mettere in atto in dispregio ad ogni forma di correttezza verso il professore nel particolare ma in generale denunciando quello che è il suo standard comportamentale.

I vecchi diventano strani animali, non lo sapeva? Scontrosi, intolleranti, a volte impauriti dalla solitudine che hanno voluto loro stessi e che tornano a difendere quando e’ minacciata…’ e dicendo ciò il professore spera ancora di dissuaderli, senza fare i conti però con la subdola scaltrezza dei Brumonti i quali, avendo inteso la difficoltà a convincerlo, gli portano in pegno e personalmente sino a casa un dipinto al quale aveva a malincuore rinunciato per ragioni economiche. Lo stesso professore però è ben presto turbato dalla figura di Konrad, gigolò al servizio della marchesa Brumonti e destinatario dell’appartamento soprastante: un uomo che è sprofondato, pur provenendo da diverse origini e possedendo doti culturali di ben altro livello, nell’oblio di un’esistenza agiata ma priva di valori, dalla quale egli è stato irresistibilmente attratto e fagocitato. Nonostante ciò egli è però ancora in grado di apprezzare la sensibilità della musica di Mozart o i tratti distintivi della pittura settecentesca inglese, pur confusi da atteggiamenti contraddittori ed irrispettosi. 

Dopo aver ceduto infine alle lusinghe dei Brumonti ed aver concesso loro l’affitto per un anno dell’appartamento al piano di sopra, il professore assiste impotente poco dopo alla devastante ristrutturazione dello stesso, subendone i danni persino dentro casa sua al piano di sotto, perché per quella gente l’esistenza è declinata al presente e considera persino ingombrante o inutile la convivenza ed il rispetto della storia intorno a sé. Egli è ancora fuori di sé per ciò a cui ha appena assistito, quando con una cortesia d’altri tempi che proprio non riesce ad evitare, riceve Konrad e si ritrova compiaciuto nello scoprirne doti di sensibilità che non avrebbe mai supposto egli potesse avere. Ne è testimonianza l’accenno di un sorriso compiaciuto mentre ascoltano assieme l’aria di ‘Vorrei spiegarvi, oh Dio!’ di Mozart, seppure poco dopo lo stesso Konrad si smentisce distraendosi con una serie di telefonate, che si sovrappongono alle stesse note musicali, rendendole superflue. Il suo è un mondo che corre veloce e nel quale non c’è tempo per rimanere a lungo assorti e rapiti come il professore che appena il giovane lo lascia solo riprende l’ascolto dell’aria dall’inizio come a restituirle dignità. Analogamente il professore scopre in Konrad doti artistiche sorprendenti riguardo lo stile pittorico dell’inglese Arthur Davies. Egli descrive infatti alcuni particolari di un quadro che ha avuto modo di osservare in casa di amici con una padronanza di linguaggio e nella cura del particolare che  lasciano stupito il professore. Subito dopo però, quasi a volersi schernire oppure a nascondersi dopo essersi scoperto troppo, Konrad corregge il tiro affermando di ricordarsi quei dettagli solo perché quel dipinto nella casa dei suoi amici si trova vicino al telefono. Insomma quest’ultimo diventa agli occhi del professore, che ne è profondamente colpito, un personaggio a mezza via fra consapevolezza ed istinto, fra intuito e sfrontatezza, fra ciò che il giovane è stato un tempo e ciò che è diventato in seguito, assumendo una sorta di centralità nel film, a scapito persino dello stesso professore e rappresentando quindi il collante, il trait d’union, fra quest’ultimo ed i Brumonti. 

Il professore, pur dichiarandosi non curioso di natura, un po’ per volta viene coinvolto nelle vicende della famiglia che ha oramai totalmente invaso la sua privacy, in un processo inarrestabile di rifiuto ed attrazione, qualcosa che è l’opposto della solitaria perfezione cui egli era abituato. Una sconosciuta ed intrigante sensazione di vitalità, se non altro: ‘…voi mi avete svegliato bruscamente da un sonno che era profondo, insensibile e sordo come la morte…‘. Dopo aver improvvisato in cucina, come avviene comunemente fra appartenenti alla stessa famiglia, senza formalità, in semplicità, una merenda a base di salame e vino provenienti dalle sue proprietà toscane (a confermare quindi la confidenza che si è instaurata fra di loro), Lietta prova persino a convincerlo ad uscire di casa per andare al mare assieme a loro ma il professore, che si sente comunque ancora scomodo in quel ruolo e profondamente diverso da loro, seppure non ne disdegna oramai la presenza e l’invadenza provandone al contrario un inconsueto e contraddittorio piacere, si limita a declamare una sorta di ode, un pensiero, un grano d’intimità: ‘Il mare è sempre bello: i suoi colori, le sue voci, i suoi rumori… Non sono mai riuscito a capire come gli artisti greci abbiano potuto concentrarsi e dare forma a tante meraviglie avendo sotto gli occhi sempre un tale spettacolo fascinoso, ammaliante. A me basta il ricordo del mare ad occupare tutta la mia fantasia…’. E quando Lietta lo provoca insinuando ‘tutti ripetono che è meglio stare soli ma non è vero’, egli se ne esce con una battuta di grande intuito, efficacia e verità allo stesso tempo: ‘I corvi vanno a schiere, l’aquila vola sola!’ zittendo tutti tranne Konrad, l’unico in grado di ribattere, come se lui e il professore avessero un’affinità intellettuale inarrivabile per gli altri, con una frase tratta niente meno che dalla Bibbia: ‘Guai a chi è solo, perché quando cade non avrà nessuno pronto a sollevarlo…’ suscitando l’ammirazione e l’ironica sorpresa persino dell’amante Bianca Brumonti e rimarcando in poche parole l’inutile condizione solitaria vissuta in precedenza dal professore. Anche in questo caso si evidenza l’analogia con la già citata opera di Zurlini le cui figure interpretate dalla coppia Alain Delon e Giancarlo Giannini, in questo caso a parti ribaltate, sono rappresentate da Burt Lancaster ed Helmut Berger.

In realtà l’amante della marchesa Brumonti ha un passato di grandi ideali, sulle barricate del ’68 parigino, anche se ora non gl’importa più niente di quello in cui credeva e si è adattato ad un ruolo di mantenuto prezzolato. Il professore potrebbe perciò diventare per lui una sorta di padre, lo stesso che forse non ha mai avuto, o perlomeno un confidente privilegiato. Lietta scherza sul fatto che potrebbe persino adottarlo ed il professore si ritrova a riflettere dentro di sé su tale eventualità, però quando Konrad gli chiede consiglio riguardo i suoi rapporti con la marchesa ai quali sarebbe tentato di dare un taglio netto, riceve in cambio solo una generica e poco impegnativa frase: ‘un uomo della sua intelligenza ed età sa benissimo quello che deve fare’. 

D’altronde non si può neppure chiedere al professore di sostituire d’amblè tutti i principi maturati nel corso di una vita. Egli sta vivendo uno stato confusionale dopo aver soccorso ed aiutato Konrad (che nel frattempo ha subito nell’appartamento di sopra la brutale aggressione da parte di un paio di malavitosi con i quali ha contratto dei debiti di gioco), averlo amorevolmente curato ed ospitato, per poi scoprirlo nottetempo nel suo stesso salotto in atteggiamenti inequivocabili assieme a Lietta e Stefano, tutti nudi in un ‘ménage a trois’ che lo disorienta e spaventa. Quest’ultima in realtà tenta di rassicurarlo sulla spontaneità e libera interpretazione dei loro rapporti, frutto di costumi profondamente diversi da quelli della generazione del professore e addirittura lo lusinga confessandogli di ritenerlo un uomo ancora di gran fascino che potrebbe addirittura sposare se glielo chiedesse. ‘Mi vedo nei panni di uno di quei personaggi d’opera buffa, il vecchio tradito e preso in giro. L’unica storia d’amore giusta per me e’ quella di re Lear, di un padre con i suoi figli…’.

Questa battuta rappresenta una sorta di giro di boa per il professore e rivela al tempo stesso la scelta definitiva che ha nel frattempo maturato. Egli quindi ha raggiunto la consapevolezza dell’inutilità della sua vita consumata fuori dal tempo ed anche se non comprende mai i fatti che gli accadono intorno decide comunque di dare un taglio al passato, rischiando, prima che la morte lo colga: ‘…avevo paura della vicinanza di gente che non conoscevo, che avrebbe potuto disturbarmi, tutto invece e’ stato molto peggio di quanto potessi immaginare. Ma poi mi sono trovato a pensare, che avrebbero potuto essere la mia famiglia, riuscita o meno, diversa sino allo spasimo e siccome amo questa sciagurata famiglia vorrei fare qualcosa per lei, come lei senza rendersene conto ha fatto per me…’. A conferma di ciò egli racconta alla famiglia riunita a pranzo a casa sua (lui e la marchesa a capotavola e Konrad, Lietta e Stefano nei panni dei figli, ‘un pò incestuosi‘ scherza persino quest’ultimo) un’illuminante allegoria: ‘C’è uno scrittore del quale tengo i libri in camera mia  e che rileggo continuamente. Racconta di un inquilino che un giorno s’insedia nell’appartamento sopra il suo. Lo scrittore lo sente muoversi, camminare, aggirarsi, poi tutto ad un tratto sparisce e per lungo tempo c’è solo il silenzio, ma all’improvviso ritorna. In seguito le sue assenze si fanno più rare e la sua presenza più costante. E’ la morte. La coscienza di essere giunto al termine della sua vita e che si e’ annunciata in uno dei suoi innumerevoli ed ingannevoli travestimenti…’.

Tanta apparente saggezza e ritrovata motivazione di vita però non hanno fatto i conti con la natura perversa  e marcia sin alle fondamenta delle persone alle quali si è legato nel frattempo il professore con l’illusione di poter recuperare in un sol colpo quello che non è riuscito a realizzare nel corso degli anni precedenti. Lo stesso Visconti considera questa ‘la scena più bella, quella che, nell’ultima parte, riunisce intorno a un tavolo i cinque personaggi principali. Questa sequenza consente che i personaggi si affrontino dicendosi le verità più atroci: un quadro e un pranzo di famiglia che si trasforma in tragedia. Vorrei cercare di dire che, se un uomo anziano tenta di accostarsi ai giovani come se fossero suoi figli, il rapporto non può funzionare perché essi non si comprenderanno mai‘. 

Quella che doveva essere una sorta di consacrazione familiare diventa invece una vera e propria resa dei conti, ancora più esplicita e feroce per il contrasto fra l’apparente armonia, la sontuosità ed opulenza degli arredi e della tavola imbandita sin nei minimi dettagli dal professore e la brutalità dello scontro, dapprima verbale per poi degenerare in quello fisico fra i Brumonti e Konrad. Il tutto parte dalla marchesa Brumonti che annuncia il suo divorzio dal marito, un industriale fascista golpista fuggito in Spagna, ma che rifiuta di sposarsi nuovamente con Konrad ora che potrebbe farlo visto che sta per tornare libera. Quest’ultimo allora reagisce con l’ultimo moto di orgoglio che gli è rimasto: ‘…sono il cagnolino che una signora importante può portare anche nei posti dove l’ingresso dei cani e’ severamente vietato. Gli altri lo sopporteranno per forza…’ e poi rincara la dose confessando di aver denunciato egli stesso il tentativo di colpo di stato nel quale era coinvolto anche il padre di Stefano ‘Il cagnolino era da punta, oltre che da salotto…’. Non solo, spiega finalmente anche le ragioni per le quali s’è adattato a quel ruolo di mantenuto di lusso: ‘Ero come il cercatore d’oro che vede luccicare per la prima volta la sabbia nel ruscello. Era quello che volevo ed ho fatto di tutto per restarci. I miei metodi, di cui ti vergogni tanto, li ho imparati là. Sono gli stessi metodi usati nel tuo mondo, solo i nomi sono diversi perché le poste in gioco sono più alte!‘.

Ce n’è abbastanza perchè Stefano si avventi su Konrad accusandolo di essere un traditore di sinistra opportunista: ‘La società capitalistica e borghese neanche esiste oggi e se c’è ancora, tu ringrazia Dio, tu sei stato uno degli ultimi a beneficiarne‘. E qui subentra l’unico intervento del professore che smentisce Stefano sostenendo che  ’…se e’ per questo esiste ancora, esiste eccome ed e’ molto più pericolosa oggi di sempre perché e’ mimetizzata… Gli intellettuali della mia generazione hanno cercato molto un equilibrio tra la politica e la morale: la ricerca dell’impossibile…‘. La riflessione del professore, che suona comunque ancora minacciosamente attuale, non è però sufficiente a sostenere Konrad nel serrato confronto, che è divenuto ideologico, più ancora che personale e difatti si conclude con il suo definitivo addio.

Il drammatico finale che ne segue, con la doppia versione sulle cause della morte di Konrad che la marchesa Brumonti (‘per Konrad uccidersi e’ stato il suo modo di avere l’ultima parola, in modo crudele e insensato ha voluto punirci per sempre. Ma c’è una cosa che Konrad non ha fatto in tempo a sapere: che ce lo dimenticheremo. Era troppo giovane per capire questa ennesima bruttura, che anche il dolore e’ labile come tutto il resto…‘) e la figlia Lietta (‘…non si e’ ucciso, l’hanno ammazzato. Lei e’ stato l’unico ad avere fiducia in lui, non gliela tolga adesso che e’ morto…‘) dichiarano separatamente al professore sul letto di morte, testimoniano, se ancora ce ne fosse bisogno, che non può esserci pacificazione in una società, della quale la famiglia è il più antico e prezioso baluardo, nella quale vige la regola dell”homo homini lupus’. L’ultima immagine del professore morente, che sente i passi della morte nell’appartamento di sopra, è quella di un uomo sconfitto due volte: dal suo egoismo e dall’illusione. Le sue braccia tese verso il vuoto in una immagine che sembra tratta da un dipinto così diverso nello stile dai pittori del settecento inglese che aveva discusso e condiviso con Konrad, rappresentano al tempo stesso l’ammissione di una sconfitta e la ricerca sino all’ultimo respiro di un perdono che non potrà mai arrivare.

Quest’ultima parte è contraddistinta da un forte messaggio ideologico che in precedenza era rimasto perlomeno latente, limitato a livello di confronto fra opposti stili di vita e generazionali. E’ sicuramente la parte più debole del film perchè lo radicalizza, togliendogli l’efficacia ‘super partes’ che l’aveva caratterizzato in precedenza ed ampliando a dismisura ed anche inaspettatamente le tematiche sin lì affrontate, aprendo nuovi orizzonti (dice la marchesa Brumonti: ‘…mio marito e’ un industriale, di destra naturalmente, ma dove sono questi industriali di sinistra? Magari forse a parole qualcuno. Mio marito dunque e’ di destra e lo dichiara apertamente, viva la faccia…’), forse inopportuni. Quasi come se Visconti avesse voluto dare soddisfazione a chi, essendo ancora forti nel 1974 i richiami della rivolta sessantottina, non si accontenta più di un’opera intimista, pur fra evidenti contrasti, racchiusa dentro un palazzo non solo metaforicamente, quando la società fuori è in fermento.

Detto ciò, siamo davanti ad un’opera di straordinario impatto emotivo di un gigante del cinema del novecento come Luchino Visconti, che si affianca idealmente ad altri suoi capolavori, per citarne alcuni, come ‘Il Gattopardo’, ‘Morte a Venezia’, ‘Bellissima’, ‘Rocco e i suoi Fratelli’, ‘Ludwig’, ‘La Caduta Degli Dei’, che solo a nominarne i titoli si avverte immediatamente un senso di rispetto, lasciando intendere l’importanza di questo autore per la storia mondiale del cinema, non solo nostrana. A sua volta affiancato da altri nomi che nel loro genere hanno fatto scuola come Ruggero Mastroianni, fratello di Marcello, al montaggio, Pasqualino De Santis alla fotografia, mirabile ancora a distanza di tanti anni ed i costumi inappuntabili di Piero Tosi.

A ben vedere gli interpreti che contano di ‘Gruppo di Famiglia in un Interno’ sono ‘solo’ cinque: già detto di Burt Lancaster e Silvana Mangano, due icone del cinema internazionale che nell’occasione restano impresse nella memoria con una prova, per così dire, da ‘standing ovation’, le due meteore Claudia Marsani (Lietta) e Stefano Patrizi (Stefano), misteriosamente perse nella memoria nel giro di poche altre insignificanti interpretazioni limitate anche negli anni a seguire, non rimane che sottolineare la prova sontuosa dell’interprete simbolo della filmografia viscontiana, Helmut Berger, definito a suo tempo da uno che se ne intende, cioè Quentin Tarantino, come uno dei più grandi attori viventi. In tre brevi cammei appaiono Dominique Sanda nei panni di Sandra, la madre del professore, che egli ricorda in un curioso parallelo fra la condizione del nonno e quella sua al presente: ‘…e’ molto triste rimanere soli quando si e’ vecchi e malandati. Solo? Non e’ solo, ha una cuoca ed una cameriera, ha perfino un gatto… Io non ce l’ho mica un gatto…‘; quindi Claudia Cardinale in quelli della moglie, dapprima fulgida nell’abito da sposa e poi disperata e piangente nell’imminenza della separazione ed infine Romolo Valli, nei panni dell’avvocato del professore.

Dopo aver ripreso molte frasi significative dai dialoghi di un film che si presta decisamente al riguardo, non si può evitare di concludere con quella che il professore rivolge innanzitutto a se stesso, per sancire il suo fallimento e che ha valore di epigrafe: ‘Io spero che Konrad non perdonerà nessuno, me per primo!‘. Ci sono tanti modi di affrontare il cinema: per svago, divertimento, per provare emozioni forti, ma di fronte ad opere come questa viene decisamente da suggerire, soprattutto ai più giovani, di lasciar perdere tanti film rispettabili forse, ma fondamentalmente inutili, non prima perlomeno di dedicare parte dell’arricchimento della loro cultura cinematografica ad esempi eccelsi come questo che riconciliano con il cinema e trasmettono sensazioni uniche, certi che poi ne converranno.

 http://maupes.wordpress.com/2012/03/20/film-gruppo-di-famiglia-in-un-interno/




 

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