Seconda elegia a Duino – (Agli angeli) – Schubert: String Quintet in C (Adagio)

Poiché noi sentendo svaniamo; ah, noi

esaliamo fino ad estinguerci; un legno che di ardore

in ardore dà sempre più tenue profumo. Uno dice:

sì, tu mi sei dentro nel sangue, questa stanza, la primavera

è ricolma di te… A che giova, non ci può trattenere,

in lui, intorno a lui dileguiamo. E quanti son belli,

o, chi li può trattenere? Senza posa sorge sembianza

sul viso loro e dispare. Come rugiada dalla tenebra erba

ciò che è nostro svapora da noi, come il calore da una

calda vivanda. O sorriso, ove tendi? O sguardo:

nuova, calda onda che sfugge al cuore-;

ahimè: eppure questo lo siamo. L’universo in cui dilaghiamo,

dissolti, ha forse sapore di noi? Afferrano gli angeli

solo del proprio che da loro promana

o talora, per una svista quasi, vi s’insinua un poco

dell’essere nostro? Siamo forse nei tratti loro

frammisti quanto il vago nei visi

di gravide donne? Non lo notano, nel turbine

del loro ritorno a se stessi. (E come notarlo).

Gli amanti potrebbero, se l’intendessero, nell’aria notturna

dire cose mirabili. Perché su di noi tutto sembra

serbare il segreto. Vedi, gli alberi sono: le case

che noi abitiamo sussistono ancora. Noi soli

come aria che si rinnova trascorriamo su tutte le cose.

E tutto in accordo ci tace, metà per

vergogna forse e metà per speranza indicibile

Rainer Maria Rilke


 

A TUTTI QUELLI CHE SI SENTONO UNA PANTERA IN GABBIA

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