Una piccola impresa meridionale : Regia: Rocco Papaleo, Genere Commedia – la colonna sonora

– Sono appena andata in pensione.
– Di già? Così giovane? Che lavoro facevi?
– La prostituta.

Me lo sentivo. Sentivo che la genuinità di Basilicata coast to coast sarebbe stata irripetibile, ma la doppietta cinematografica di Rocco Papaleo non me la sono persa. Si chiama Una piccola impresa meridionale il nuovo film del comico lucano e di nuovo ci trascina a sud, sulle coste immacolate fatte di rocce, lievi rumori di acque e ristrette comunità di persone che provano ancora a non ignorarsi.

Papaleo veste i panni di Don Costantino, prete spretato che ritorna al suo Paese per iniziare una nuova vita. La relazione con una donna durante il sacerdozio, lo obbliga ad abbandonare le prediche, ma tolto l’abito, svanisce anche il suo fascino e l’infatuazione. Solo e senza più lavoro, non gli resta che tornare ad abitare il faro in cui il padre per vent’anni aveva fatto il guardiano. Il faro è fatiscente, ma lontano dal Paese in cui le chiacchiere e i pettegolezzi hanno ali robuste. Costantino però, non è l’unica disgrazia per mamma Stella (una splendida Giuliana Lojodice), che deve cercare di digerire il tradimento della figlia Rosa Maria, sposata con Arturo (Riccardo Scamarcio) e scappata via con un altro di cui nessuno conosce l’identità, se non lo stesso marito tradito. Intanto al faro arriva Magnolia (interpretata da Barbara Bobulova), la sorella della donna delle pulizie di Stella, Valbona (Sarah Felberbaum), ex prostituta, arricchita e ormai in pensione. Un prete spretato, una ex prostituta orgogliosa e senza alcun rammarico, se non quello di non riuscire a innamorarsi, poi Arturo, il “cornuto”, come lo apostrofano in Paese, che non riesce più a tollerare gli insulti. Ma poco più giù del faro, tra la riva e il pendio roccioso, in una capanna di legno vive un segreto. Rosa Maria non è scappata con un altro uomo, ma con una donna, Valbona. Personaggi accomunati da anomalie, da scelte di vita poco condivisibili e con il rischio di essere considerati dal pensiero ben pensante, esempi vergognosi, esistenze deprecabili da cui stare lontani. Alla già eterogenea combriccola si aggiungono due uomini e una bambina, una ditta itinerante munita di camper e attrezzature, che svolge lavori di manutenzione edilizia. Per completare arriva mamma Stella, ormai paonazza dalla vergogna e impossibilitata a rimanere in Paese dove le voci iniziavano a diventare più taglienti delle lame.

Un giro di vite disperate, un faro che si erge su uno specchio di imbarazzante bellezza, un isolamento forzato che conduce i personaggi a un’accettazione reciproca, al superamento delle difficoltà comunicative e all’abitudine di vedersi così, sorridenti e difettosi.

Non amo i confronti, ma diventa inevitabile rosicchiare avidamente il primo grande lavoro cinematografico di Papaleo. In Basilicata coast to coast è tutto avvolto in una naturalezza di gesti e pensieri che rende adeguato ogni azzardo e paradosso, ogni episodio di comicità esasperata. Questo secondo tentativo invece, pur crescendo dalla radice di una felice intuizione narrativa, spesso scivola in un turbinio di retoriche e luoghi comuni che lo annegano.

È semplice ottenere un ottimo risultato fotografico con un palcoscenico di acqua e cielo terso così superbi, e forse è semplice anche dirigere degli attori chiedendogli di ritornare ai loro albori, al dialetto, alla loro vita prima del successo. E’ meno semplice liberarsi di immagini ormai ingiallite di un Sud fatto di indiscrezioni, tradizioni codarde e rifugi per miserabili, come fosse una terra di nessuno in cui convivono le contraddizioni. So bene che Papaleo non voleva dipingere questo, l’ho capito dal percorso che il film intraprende. Dagli sguardi biechi e dai rimproveri i che i personaggi reciprocamente si riservano, a un’armonia nata nel grembo delle sofferenze, quella che diventa così equilibrata da essere indistruttibile. Ma il sud è ancora il luogo in cui si impara ad accettarsi? Lo era, lo so, come tutti gli angoli di mondo in cui c’è più pianto che riso, e c’è più sudore che aroma di essenze, ma non sono certa sia ancora così.

Una piccola impresa meridionale vuole parlare da sud a un’Italia intera, raccontare le diversità e dare una dimostrazione della loro innocenza, ma forse Papaleo ha sbagliato a mescolare gli ingredienti e il loro dosaggio. Il sapore è rancido. Per cui mi riguardo Basilicata coast to coast, sempre per rafforzare la consapevolezza che i sogni sanno raggiungerti ovunque.

http://www.cinemabendato.it/index.php/film-in-sala/item/1346-una-piccola-impresa-meridionale-recensione



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