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Redemption: il corto documentario candidato agli Oscar 2013

Scritto da: Pietro Ferraro

Ancora nomination agli Oscar 2013 e ancora uno dei candidati alla categoria Miglior cortometraggio documentario. Oggi ci occupiamo di Redemption, short a sfondo sociale diretto a quattro mani dai filmmakers americani Jon Alpert e Matthew O’Neill che ci porta in quel di New York, per mostrarci uomini e donne, chiamati in gergo “Canners” o “riciclatori”, che sopravvivono vendendo bottiglie e lattine che raccolgono in mercati, bidoni della spazzatura e condomini. Li si vede spesso setacciare la spazzatura, ma pochi hanno avuto modo di incontrarli e condividere con loro qualche pensiero su una vita vissuta ai margini della società. Il corto di Alpert e O’Neill è uno sguardo inedito e intimo nel difficile quotidiano di questi veri e propri “spigolatori post-industriali”.

Jon Alpert è un pluripremiato documentarista e giornalista investigativo (all’attivo per lui 15 Emmy Awards), mentre Matthew O’Neill è un filmmaker specializzatosi in documentari e reportage in ambito internazionale. La coppia di documentaristi ha ricevuto una candidatura agli Oscar nel 2010, sempre nella categoria Miglior corto documentario, per China’s Unnatural Disaster: The Tears of Sichuan Province, che raccontava del catastrofico terremoto che nel 2008 ha colpito la provincia di Sichuan nella Cina rurale, uccidendo circa 70.000 persone, tra cui 10.000 bambini e sempre insieme i due hanno realizzato per la HBO il documentario Baghdad ER, che mostra la Guerra del golfo dal punto di vista di un ospedale militare e che è valso ai due tre Emmy Awards. Ricordiamo anche che Alpert oltre ad aver intervistato svariate volte Fidel Castro, è stato anche uno dei pochi giornalisti occidentali ad aver realizzato un’intervista video con Saddam Hussein dopo la Guerra del Golfo.

Dedicato a questa occupazione che spesso è fonte di sopravvivenza di molti senzatetto c’è anche un sito.

Redemption corto documentario foto

“But there’s always been serious poverty in the US despite our propaganda. The seriously poor have always been invisible, the American step-child kept in the closet.

    For decades people have been living in the subway tunnels under NYC, in the rainwater drainage system in Las Vegas, under bridges in Atlanta, in dirt poor rural Appalachia

In hard times their numbers swell. ….”


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